HO FATTO NAUFRAGIO
Ho fatto naufragio,
alla deriva in un mare di
rifiuti umani,
relitto anch’io per avere troppo amato
aggrappata, crocifissa a questo legno
battuto dalle grida,
nessuno più soffocherà la mia poesia
il silenzio l’ha tenuta per anni
serrata nella gola
come una gabbia di sacrificio,
è venuto così il momento
di cantare un’elegia al passato,
di approdare su queste terre
addolorate, di scendere in mezzo agli esiliati
riciclati nelle secche d’una pietà umana martirizzata,
e poi… poi niente,
accarezzerò i piedi ghiacciati
aspettando che arrivi un po’ di sole.
NASCOSTA FRA LE VITE DI CHI PASSA
Nascosta fra le vite di chi passa
sento che mi cerchi
ma io non voglio niente
nemmeno il calore della tua pelle
ho visto l’orizzonte ricucire
una ferita di dolore.
MALINCONICHE DONNE
Malinconiche donne
dai seni maldicenti
che non danno
più latte ai
figli partoriti
strangolati dal gozzo
dell’emorroissa,
l’infamia
è un un’ omicidio tardivo,
nessuno più vi strapperà il cuore
con queste mani lievi
imbrattate d’amore.
MI HANNO LEVATO I VESTITI DI DOSSO …
Mi hanno levato i vestiti di dosso, mi hanno chiuso
la bocca con del *nastro adesivo
perché mangiassi di sola vergogna.
Così, nuda, come una bimba *assaltatrice di erbe
e di prati
ho lanciato la mia folle corsa verso di *te
centrando in pieno i tuoi punti interrogativi.
Tu mi hai rivestita
di una tunica di lino e io sono rinvenuta partorendo
poesia.
SE NE ANDRÀ UN GIORNO..
… se ne andrà un giorno, se ne andrà
lontano, perché conosce terre infinite e
spazi che non hanno riscontro nella *mente
umana, se ne andrà senza rimpianti
poiché l’hanno talmente tradito *cercando di
afferrarlo, che quel sonno d’amore, lo porta dentro urlando
soffiandolo
su un palmo di una mano…
FESTIVAL
I pomeriggi brevi della domenica, seguivo il mio amico al campo spelato di
pallone in uno di quei paesini dimenticati della Bassa pianura padana. Giocava a calcio come certi atleti zingari, magiari o slavi.
“Quelli” dicono di loro allo stadio “un giorno tirano come un dio, l’altro è meglio stiano a casa”.
Così io, seduto su di una panchina, guardavo il mio amico come si muoveva fra gli avversari col passo e il modo suo di capire in anticipo i movimenti degli altri. Intanto talvolta si vedeva nascosto fra la gente come un’animale brutto e spaventato, il futuro e famoso genio della pittura, Antonio Ligabue che emetteva versi striduli, simili a strani esseri notturni delle pioppete in cui si aggirava la notte.
Quando venivamo via, il mio amico mi teneva la mano alla spalla fiero se aveva inventato qualcosa di spettacolare, altrimenti restava solo coi suoi pensieri duri.
“Zingaro” gridavano gli altri passandoci davanti con la bicicletta e rispondeva lui, al nome bellissimo. A questo pensavo mentre guardavo la terra arida del campo di pallone recintato fra gli orti bassi del paese emiliano.
Era una mattina di festa,scialba nel cielo ma forte nelle mie gambe giovani e chiare nel dirmi cosa tenere e cosa invece buttare alle ortiche prima che toccasse anche a me farmi padre.
In quei giorni si tenevano tornei di bocce nell’unico campo vicino al Po e c’erano anche compagnie teatrali provenienti dalle province vicine che recitavano i loro pezzi nei cortili all’aperto di certe fattorie dismesse.
I giocatori di bocce prendevano la mira e giocavano le loro sfere vicino alla palla avversaria con margini di errore straordinariamente stretti fino a che un altro metteva la boccia vicino al pallino. Noi guardavamo tutte le sere, quando i morsi del sole che toccavano pure i quarantacinque gradi, lasciavano spazio a un minimo soffio d’aria.
Il mio amico, assorto, mi chiedeva cosa ne pensassi di quelle compagnie di teatro che vagavano sparse a vendere i biglietti del loro spettacolo. Cosa pensavo? Pensavo che avevo visto bene negli occhi di uno di loro, quello magro con la camicia celeste, come in realtà mi stesse dicendo che lui dell’arte avrebbe voluto farne un mestiere. Un mestiere che gli durasse negli anni, una ricerca, un viaggio, una bella compagnia. E che delle cose della vita si può parlare bene, occorre soltanto alzare la voce un po’ su certi morti valori, farne di nuovi.
Questo pensavo e lui rideva del mio modo di immaginare, inventare le cose. Poi tornava serio e indicava un vecchio, berretto in testa, intento a mirare, piegato, poggiato sui suoi talloni, il braccio in avanti, quasi solo così nella spianata bianca e sassosa del campo di bocce.
” Guarda quanto ci credono certi uomini”, mi disse il mio amico
“speriamo che il cielo porti loro un po’ di fortuna “.
BREVE PRESENTAZIONE DI GIUSEPPE CALICETI:
BELLEZZA E FEROCIA DEL DOLORE
Da tempo non mi imbattevo in un esordio poetico così luminoso e doloroso. Linda Motti mette a nudo senza reticenze la sua anima e i suoi nervi, il suo cuore e le sue afasie, i suoi turbamenti e le sue emozioni attraverso un’alternanza di testi poetici e di prosa in forma di poesia pieni di una visionarietà e una sincerità che non passano inosservate.
Il suo dettato poetico è sicuro, maturo, vorace, perentorio. La considero una delle migliori poetesse incontrate nell’ultimo panorama di prosa italiana.