Luca Boldrin - Poesie

Innalzando austeri volumi

Innalzando austeri volumi
per le volte dei cieli celesti
dimenticammo le ore sacre
delle tormentate orazioni notturne,
quando il nostro dolce astro
silenzioso percorreva antico viaggio
ed i nostri timori ardevano
dinnanzi alla fioca luce della luna.
Dimenticammo di gioire
per l’ardente impeto
che’l telo nero squarcia
quando le ossa nostre molli
pietà chiedevan all’oblio;
e devastammo quella superba
candida bellezza che uomo
superbo non necessita.
Gioia e malinconia
dei più vivi attimi del giorno
derisi per banalità dal nuovo idolo,
desideroso di misurar
suo imperfetto intelletto.
Con egoistica solita gioia,
al sacro preferì l’appassire
sotto una squallida fredda luce.
Con arroganza d’un re uccise
il divino che tosto volle salvarci:
mille avvertimenti e poi mille ancora
non penetrarono l’occhio cieco del pazzo
che con smisurata superbia
costruì il suo impero di carte.
E se rimorso, o paura sorgon ora,
non potrà salvarci indulgenza alcuna.


Or devastate le membra si levan

Or devastate le membra si levan
poi che dal giorno vengono destate,
or nuova luce sconfitta da forte:
dal bel sogno sì duro il ritorno.
Piacer dolce conobbi nella vita
che col familiar dolor è finita.

Oscuro cielo sì come il mare;
mi accese il cuor dolce compagna.
Di beltà simil donna non starebbe
di tal trappola il filo intrecciar,
sì ch’io derivai fu proprio amor:
per diletto in incubo mi pose.
D’ardor e disìo i’ fui governato
infine giunsi al labbro sperato.


Commedianti

Commedianti morenti
nella loro immaginaria realtà.
Torneranno, provando infinito
l’eterno dolore dei viventi.


Di nuove sensazioni ascoltavo il canto

Di nuove sensazioni
ascoltavo il canto
che libero mi rapì,
sì ch’io andai cercando
un sentimento pari.
Molti fogli alterni
amai leggendo;
per altri versi scarni
io errai imparando.
E se qualche parola
alleviò mio tomento
l’idea che io ebbi
fu solo smarrimento.
Compresi così
mia più profonda natura
odi questa mia maledizione:
tutto mi è disillusione.


Famelica creatura

Famelica creatura,
che dell’umano dolor
si nutre, qual gusto provi
a tormentare creature
sì insignificanti?
Qual padre serba sorte
tale per sua prole?
A terribile destino
siam dunque costretti,

Cadono quelle dolci
illusione che presto
diverranno l’orrido
familiare dolore.
Ombre libere nella sera
svaniscono, in realtà
d’intelletto.
Corrotte tenebre
liberano i lupi
che ci appartengono.


Dimmi

Dimmi,
ove la mia Musa è scappata,
a me medesmo abbandonandomi.
Narrami chi ha allettato
col dolce suo bel canto;
sì ch’io in tal dolore
pur gioisca per sua beltà.


I bei momenti

I bei momenti la mente traveste,
gli infantil dolor ormai dispersi.
Sotto pietre giacion
gli avi silenziosi,
partecipi dei nostri dolori.


I giorni brillano

I giorni brillano
per pochi eletti.
I dannati devastano
il loro tempo
con sciocchi passatempi.


Qual tempo ei ci lasciò

Qual tempo
ei ci lasciò?
Dell’umano senso
tu non sei dotata
eppure il tuo calor
al petto stringo.
Per tanto la carne
fu preclusa
all’intelletto
ardente.

Che stai?
Svanì alle prime luci.


Nuove ere

Quali battaglie schiacciarono i campi
che oggi ospitano indisturbate
galassie di fioche luci?
Sterile ormai la terra calpesta
chiede d’esser girata
così che nuove antiche ere
ci sarà dato di vivere.