Luca Di Pietra - Poesie

ESEQUIE BEATRICE

 

Beatrice,

un nome comune,

donato a non molte,

che riaffiora un ricordo.

non corimbo per molti,

ammazza il singolo secondo,

Per percepire,

anche l’attimo più profondo.

un seme ubertoso,

Che ci ha donato la sapienza,

Con quella voglia demiurgica,

che abbatteva ogni nostra resistenza.

Rendevi,

tutto ludico all’apparenza,

nella tua materia peculiare,

Che rispecchiava la tua bellezza singolare.

Finita questa magia,

nessuno la voleva lasciare andar via,

così radunammo il nostro amore,

In un singolo mucchio di parole;

ma non tutte erano indirizzate,

per colpa di una concrezione indecente,

che il cheto,

non voleva nella mente.

un tipo ritroso,

che ancora,

non si trovava sul punto di riposo,

teneva una tenaglia in bocca,

che spezzavan le nostre ossa.

Senza ratio,

e senza nessi,

si burlava,

dei più depressi.

mantici ingenti,

considerati sacri,

che insidiano i nostri cuori,

aritmici per mancanza di affetti e di amori.

come dire…un danno irreparabile,

indelebile sulla pelle,

che resterà per sempre,

sui nostri contenitori,

sapido,

per le tue azioni.

 


 

CHISSÀ, SARÀ?

 

Cara amica,

ho provato ad accettare,

ma il consiglio non consta nel guardare!

ma io… che cosa ci posso fare!?

 

Tutt’ora cerco un’alterazione,

ma non vi trovo alcun amore,

che mi possa riportare,

ad inarcare quella monotonia immane.

Inversamente,

sono intarsiato,

dal tuo interesse sproporzionato.

Chissà…se questi monologhi,

ci porteranno,

a qualcosa che possa commuoverci.

 


 

BARATRO, SENZA ANIMO

 

Che soave giornata,

per sbatterti in faccia,

Tutto quel che non mi è

Piaciuto della tua lastra.

Il nome scolpito,

e il volto dipinto,

non faranno di te,

Quell’uomo di arbitrio.

Che devo dire…mi

manchi davvero,

anche se adesso,

Tu vaghi disperso nel cielo.

 


 

SOLIDA VITA

 

È come se volesse recidere,

è come se volesse svezzare,

tutto quello che volevamo amare.

Tutto quel che fu stereotipato dal tempo,

Si distrusse,

a causa di una futile incomprensione,

Che assorbì tutto il nostro

Indomabile ardore.

Ero così soave nei miei confronti,

Dal non riuscire

A cedere alle tue sbirciate,

Finendo per ignorare,

Tutte le circostanze mai allarmate.

Ma tu… eri così distante,

Accompagnata

dalla tua musa ispiratrice,

Che non facevi altro,

Che inorridire Beatrice.

Così

provai a lenire il mio dolore,

Incidendo il peso

Sulla mia corazza in dolore,

Che non trovava

pace in ogni dove,

lasciando di lato la solita rima,

Che ci raccontava

Della sua solida riga.

 


 

IL PRIMO SCONTRO

 

Arrivai con la mia guarnigione,

dove giocondità

non trovava intenzione;

quel modello d’ispirazione

denotava il mio essere,

Il mio incauto tipo di vivere,

ma non riuscendo

a smettere di decidere,

finivo per smettere di sopravvivere.

Il mondo onirico lo raggiunse,

ma la realtà non lo assunse,

Finendo dimane,

Per distruggere,

Tutto quello che mi aggiunse.

 


 

SERRATURA DI LETTURA

 

A te,

che stravolgi ogni significato,

ti propongo un rompicapo.

Tutto è assoggettabile,

ma non con questa mante,

che giustifica

ogni distacco costante;

per capirla,

bisogna immergersi,

ma! nella via più dolorante;

e in fondo capirai,

che raggiungermi,

alla fine,

non era così assordante.

 


 

FATTO INDELEBILE

 

Sei come l’olio,

Prima ti amo

e poi ti odio;

impresso nel tessuto,

Lasciando il segno

Del contenuto.

 


 

QUESTIONE DI FONDO

 

Inutile vizio,

di un vizio scontroso,

incolto nell’orto,

inchiodato

nel prefisso di un morto.

Stimolo arduo,

cruento nel tempo,

che mi riporta indietro,

ai miei tempi del grembo.

Infarinato dal vento,

inevitabile

fu il detto,

dove l’inganno

è l’ingegno,

che raggira ogni mio impegno.

Fossa profonda,

dove la bestia anaconda,

informa la fionda,

che ci ammazza la forma.

Informe da tempo,

dall’inrecuperabile sgomento,

che ci ha incamminati,

senza una via di smarrimento.

 


 

ESPEDIENTE PER NIENTE

 

Lei,

piena di passione,

non regalava spazio,

alla propria visione.

Un quadro straordinario,

che fungeva da musa,

per coloro,

che toccavan corna musa.

Bloccata nello sfondo,

vi è

solo l’immagine di fondo,

piacevole per molti,

anche se all’interno si è morti.

Una conclusione penosa,

di un’immagine scandalosa,

che distrugge l’ingresso,

Senza un vario permesso.

E così,

si ritorna ancora,

A ogni scappatoia,

che non varchi la sua mezz’ora.

 


 

 

AMOR CHE TI SMEZZA

 

Troppi fori su quel molo,

procurati da vuoti mai colmati,

Da un’immane ricostruzione,

Mai intrapresa

Per ogni pezzo di assemblazione.

Non restava

molto del raccolto,

solo un poveruomo,

spoglio di contenuto reale,

a causa

Del pozzo senza fondo,

che non voleva

lasciarlo fecondare.

Usando gli occhi,

fatti per guardare,

diede vita alla luce,

a colui

che voleva tramontare.

Un sadico pazzo,

tormentato dal proprio

sacrificio personale,

che si fece sabotare,

da una salma

Che poteva ancora amare.

Entrambi,

Una volta riuniti,

diedero vita a una morte,

per sempre condivisa e,

Mai del tutto divisa.