Luigi Armentano - Racconti

VELENO DI TARANTOLA

Non è un giorno come tanti. Siamo nel millenovecentosessantotto, anno miliare lungo la strada delle rivendicazioni giovanili studentesche.
Dino, un ragazzo diciassettenne, avanza preoccupato verso l ‘ingresso della scuola, a stento si fa strada tra la calca e il clamore degli studenti.
Deve prendere visione del risultato di ammissione alla seconda liceo.
Cerca febbrilmente nella bacheca della scuola l’elenco della sua classe ed il suo nome.
L’ansia di sapere lo divora, non è tranquillo circa l’esito sia per le numerose assenze che per il non completo recupero nelle materie scientifiche, ma spera e confida nella intima bontà dei suoi insegnanti.
Alla fine trova, vede, legge la sentenza: “ Non ammesso “
Un tremore serpeggia per le membra, la lingua diviene muta, gli occhi non ardiscono di guardare più nulla e poco lungi dal morire sembra.
Un livido pallore lo invade e lo divora, subito mutatosi in acceso rossore.
Altre grida di disapprovazione e denuncia, alte si levano: “ E’ una carneficina, una mattanza, un ‘ecatombe.
Una sordida, infida vendetta dei professori contro gli studenti contestatori!”
Disperazione, pianti angoscianti, lacrime irrefrenabili lungo la scalinata del liceo, ragazze, dalle lunghe chiome dietro cui, affrante, nascondono il viso e ragazzi, capelloni alla beatles, adirati inveiscono contro i professori e la scuola selettiva.
Una sforbiciata del trenta per cento hanno dato a questi studenti capelloni i professori fautori della scuola conservatrice.
In una classe di ventinove allievi ne hanno fermati ben quindici.
Questi ragazzi sono precipitati in una condizione di amara sofferenza, mentre tanti altri esultano per lo scampato pericolo di bocciatura, pur rimandati a settembre con due, tre, anche quattro materie. Solo il trenta per cento ha conseguito la promozione senza alcuna penalizzazione!
Ci sono andati pesanti questi professori! Eppure siamo nel ’68, anno della contestazione studentesca. Ma si sa nel profondo Sud anche le riforme tardano ad essere applicate.
I professori vogliono continuare ad avere il coltello dalla parte del manico e a tenere in pugno gli alunni. Cosa importa a questi cattedratici di ***** se a rimetterci sono degli studenti non figli di papà che non sono stati loro neppure caldamente raccomandati!
Con la coda tra le gambe i bocciati sfilano avviliti e smarriti allontanandosi dal liceo e dal corso principale avvertendo tutto il peso insostenibile dell’onta di risentimento e di profonda, amara vergogna.
Pian, piano davanti alla scuola restano solo gli alunni promossi e i rimandati a settembre.
Un’aria di festa è intorno a questi eletti: giovani studenti esultano, si abbracciano sorridenti, chiassosi, non si danno gran pena per i loro compagni meno fortunati che invece, sono stati bocciati.
E presto fanno progetti di andare a disputare una partita di calcio oppure di bagnarsi nel fresco mare che li attende impaziente dopo i mesi delle stagioni morte.
Elio, Roberto, Mino e Nicola propendono per il mare e corrono a prendere le bici e raggiungere, quindi, la ridente cala di levante caratterizzata da ciottoli tondi, levigati e da una stretta, bianca distesa di sabbia fine.
Altri giovanotti organizzano con compagni dello Scientifico una partitella di calcio al campo della Polisportiva Landolfi e versano fiumi di parole sui ruoli, sulla composizione delle squadre.
Nessuno, però, bada a lui, Dino che piano, piano s’incammina per la via del porto, silenzioso, senza che alcuno gli sia vicino.
Solo Beppe, vedendolo stordito, gli chiede:” Ma che c’è, Dino? Che hai? No!?! Non ti avranno mica bocciato?”
Non segue risposta alcuna perché il giovane studente continua a camminare freddo, indifferente.
“ Dai, Dino, fermati! Non sarà la più bella notizia, ma ricordati che non è mica la fine del mondo!
Se vuoi la mia compagnia, io sono qua! Sono o non sono il tuo migliore amico?
Dai andiamo insieme al mare, non posso lasciarti da solo, così, in questa situazione. Ma ti devi sbrigare!
Monta con me in bici! Sulla spiaggia, sai, ci sono già ad aspettarci Gianna, Bea, Manuela e Lena, sì, proprio lei a cui tu fai il filo da tanto. Chissà che non vi mettiate insieme! Chiodo scaccia chiodo, si sa! “
Dino: “ Sai come Lena sarebbe felice di mettersi con uno sfigato come me e, per di più, bocciato!? “
Beppe: “ Ma che dici?! Se c’è una fila di ragazze “ bone “ che ti punta!
Ehi, bello mio, decidi in fretta se vieni con me ché il tempo passa e ho voglia di andare a nuotare nel mio incantevole mare per togliermi di dosso la polvere delle ” sudate carte ”, dopo mesi e mesi di studio voglio tornare a stare all’aria aperta! “
Dino sembra proprio non ascoltare e afflitto riprende ad avanzare.
Beppe: “Ehi, Dino, non mi stai neppure a sentire, per la miseria! “
Dino:” Gli insegnanti non mi ammettono a causa delle assenze fatte per salute oppure per aver partecipato agli scioperi, all’occupazione della scuola? Perché se è per quest’ultimo motivo non hanno capito che il ’68 è un evento

planetario, è il fiume che sfocia in mare e non lo si può fermare.
Gli adulti devono solo riuscire a controllarlo con il dialogo, pazientemente con la mediazione e l’accordo con i giovani, adottando nuove regole più democratiche e aborrendo l’autoritarismo lesivo, nefasto e fascista.
Questi nostri docenti, contrari ad ogni trattativa per loro evidentemente lesiva della loro immagine di austeri, severi censori, mi “ fregano”con quattro cinque! Come è possibile tollerare, accettare questo crudele verdetto?
Non c’è umanità in questo mondo? Ed io ne pago lo scotto. Che faccio ora? Ai miei che dico? Mi hanno stroncato. Mi hanno tarpato le ali al primo volo.
In altre classi hanno rimandato anche in quattro materie. Perché non anche me?
Beppe: “ I nostri saggi professori disperavano, forse, di poter recuperare alunni con insufficienze in più di tre materie o forse più verosimilmente avrebbero dato segno di eccessivo buonismo e tolleranza e questo per docenti cattedratici e refrattari al dialogo sarebbe apparso come un segno di disdicevole debolezza“.
Dino: “ Spietati! Ecco cosa sono stati! Non hanno attitudine alla psicologia!
Un insegnante, secondo me, fallisce nel suo ruolo se non tenta di comprendere l’alunno, se antepone la logica del risultato matematico all’importanza di individuare le vere motivazioni che possono essere di ostacolo all’apprendimento.
Se ne “ impipano” di individuare le cause per cui “ Dino” non coglie risultati idonei in matematica. La materia è per loro prioritaria. L’insegnante deve essere essenzialmente psicologo, deve ripromettersi di capire prioritariamente l’allievo in quanto persona, ne deve individuare le difficoltà, cambiare le strategie di approccio e di insegnamento. Deve attuare interventi idonei a promuovere la motivazione, instaurare dialogo, essere disponibile a riprendere precedenti spiegazioni, a dare validi suggerimenti. Non dico che debbano essere al servizio degli allievi, ma che devono rendersi utili, essere sinceri professionisti, mediatori di conoscenza e veramente disponibili verso i discenti seri, consapevoli dei loro limiti, ma anche delle loro potenzialità, pronti a gratificare ogni piccolo progresso perché è anche dando fiducia che
se ne guadagna altrettanta.
Beppe: “ Ma tu, Dino benedetto, che dialogo pretendi da insegnanti che si credono infallibili, che se ne stanno ieratici nella loro condizione di cattedratici, che come Paganini non concedono “ bis “, cioè non ti spiegano nuovamente un passaggio, un teorema, un esercizio di chimica, se per caso tu allievo ti permetti l’insolenza – Che dico? – l’impudenza di affermare coraggiosamente al professore di matematica di non aver compreso quell’ultimo passaggio.
Dino: “Apriti cielooo!!! “ Non sei stato attentooo!!! A cosa pensavi quando io

spiegavo???? Eh…Eh??? Me lo dici ?! Ma neanche a questa semplice domanda sei capace di dare risposta!?? Io lo dico sempre: “ A zappare, ecco dove dovete andare!!! Altro che studiare!!! Lo studio è per le menti fini, per pochi eletti, non per asini della montagna! A lavorare devono andare quelli che non sono tagliati per la scuola! Capitooo???!
E per confermare che qualcuno tra gli allievi aveva, invece, perfettamente capito la sua spiegazione chiama a testimonianza il genio della classe, per giunta suo nipote al quale lo zio, insegnante premuroso e previdente, quella stessa lezione l’ha spiegata prima, privatamente a casa sua per tre, quattro sere di seguito.
Il caro ragazzo non parteggia per il malcapitato compagno, mostra davvero il grande spirito di solidarietà che dovrebbe esserci in classe, tra coetanei, si pavoneggia tutto per catturare il pieno favore del professore, degli astanti e vedere ascendere alle stelle la sua fama di secchione di razza pura.
E poi questi professori, unici depositari della conoscenza, dicono di essere incorruttibili, che non darebbero mai peso alle raccomandazioni perché l’unica cosa che conti veramente nella vita è il proprio merito!
Ci sono cose che non riesco a spiegarmi, pur con una preparazione lacunosa in alcune discipline, i professori avrebbero potuto essere clementi con me: non ho preso sette in condotta mai, non sono stato insolente, non ho falsificato le firme dei genitori nelle giustifiche. Ma, evidentemente, io ho non santi in paradiso, le giuste raccomandazioni che mi avrebbero potuto salvare all’occorrenza!
Tu, invece, Beppe, non hai mai preso un sei, ti sei guadagnato giustamente il sette in condotta nel secondo trimestre anche per via di quello scherzo sconveniente alla professoressa di chimica, e te la cavi con Italiano e Storia, con due sole materie a settembre. E la Chimica? Sì la Chimica! Condonata!? Non sarà stato quel tuo zio generale… o la massoneria a pararti il…? Raccomandato! Ecco chi sei, Beppe! ”
Beppe:“ Ma va’ al diavolo, Dino! Ora sposti il problema su di me.
Offendimi pure, se ti va di sfogarti. Io non me la prenderò perché le tue accuse non sono vere e capisco questo tuo momento di mancanza di illuminazione cerebrale!
Ti passerà, vedrai! Non continuare, ora, a piangerti addosso!
Se vuoi ti offro la mia spalla, amico mio! Mi dispiace! Se potessi fare qualcosa per..?”
Dino: “Ora voglio solo restare solo! Lasciami perdere, davvero, Beppe, che è meglio! “
Beppe:“Ma sì, sì. Vatti pure ad affogare, se credi! Che ci guadagno io ad impicciarmi? “

Il ragazzo s’inoltra per viuzze strette nell’ intrico della città vecchia dove tutto è colore, folclore, passione, vita che pulsa vivace, chiassosa, colorita e manifestamente rumorosa.
Monelli nei viottoli scorrazzano senza sosta, pronti a fare ogni sorta di bricconate come con destrezza e maestria, portare via dalla lunga tavola (posta sul capo) del garzone del fornaio, dorate ciambelle ancora calde, oppure, fare sberleffi ridanciani ad un anziano cocchiere, impettito nella sua elegante livrea, mentre passa con la carrozza a prelevare un signore antico, uscito da un portone d’un palazzo d’altri tempi.
Delle donne sono affacciate alle balconate e stendono panni a tonnellate per una miriade di marmocchi tutti laceri e sudati.
Esse tirano corde su carrucole cigolanti, da una facciata all’altra di due palazzi dirimpettai. Mentre dispongono la biancheria intrattengono discorsi colle vicine su come preparare per il loro rude uomo un particolare intingolo che lo soddisfi o come calmare i bollenti spiriti di un impaziente spasimante.
Un’altra, poi, disperata chiede consiglio ad una sua comare su come agghindarsi e quale espediente usare per irretire un benestante vedovo di mezza età e convincerlo con astuzie tutte femminili a condurla all’altare.
Sulla soglia di un fetido sottano una donna, non ancora sfiorita nella sua beltà, con indosso uno straccio di veste a fiorellini da tempo scoloriti, ascolta attenta la lettura della lettera tanto attesa che le fa il vice cappellano della chiesa grande.
Urla, incredula a tutto il vicinato che il suo promesso sposo, emigrato in America otto anni prima, sta per ritornare e sposarla finalmente. E giù lacrime e felici abbracci. Gioia, ma anche malcelata invidia passa di bocca in bocca diffondendo la buona nuova della femmina fedele, tanto amata, lasciata al paese in attesa del ritorno in patria del suo uomo dopo aver fatto un po’ di fortuna con la dura fatica, le frequenti umiliazioni e il sudore amaro.
Dino, dallo sguardo spento, assente, pensa confusamente a come spiegare a casa la bocciatura, ma le parole si perdono nei complessi meandri cerebrali, insieme al coraggio di affrontare quel momento.
I genitori, pur dolenti, saranno con lui indulgenti? E mentre tenta di dare risposta all’angosciante quesito, lo rassicura alquanto la certezza che essi sono, a differenza dei professori, buoni psicologi, silenziosi mediatori di affetto e moralità e soprattutto i suoi tutori.
Passa incurante, indifferente tra i vicoli assolati ed in ombra, tra profumi di limoni, ragù e basilico che dovunque effondono, annunciando imminente il mezzogiorno, l’ora del pranzo.
Lo distrae ad un tratto lo schiamazzare assordante di fanciulli che rincorrendosi lo strattonano ed un festoso corteo formatosi dietro un personaggio strambo, ma simpatico.

Veste un vecchio frac, sul capo ha un lucido cilindro in più punti sdrucito, all’occhiello un garofano rosso sgargiante, a tracolla una fisarmonica sgonfia e fissati alle ginocchia vecchi piatti d’ottone dagli orli disuguali, deformati dall’uso.
Avanza canticchiando un motivo tutto curioso, fatto di suoni consonantici e vocalici accentati:
“ ♫ ♫ Piripì…Piripì…Piripì… ♫ ♫ ♫ … Pirippippì…Pirippippì…Pirippippì…♫ ♫
♫ ♫ ♫ Zumnennè…zumnennè…zumnennè… ♫ …Piripì…Piripì…Piripì…♫ ♫ ♫ “
Prende poi a far battute:
“ Vulite sapè quant figgh d prevt so nat ind a cuss pais?”
La gente:” Sììì…Sììì…dicite, dicite!”
“Addomannaite a re femmen cè fascene ind o confessionale!”
Pubblico:” Ahaah…Ahaahh! Ahaaah!!! ”
Gli si fa incontro un capannello di sfaccendati, curiosi del mondo misero e squallido dei bassi, garzoni di bottega e vecchie laide, corrugate, segnate in volto da profondi solchi, da vene tumefatte e rigonfie sulle mani scarne, dalle chiome scarmigliate e discinte nei logori e rattoppati panni poveri, più simili a vecchie streghe irascibili che a serafiche vecchiette inermi.
Dall’uscio di un basso sottano bimbi scalzi escono coi piedi neri bordati di lordume, i corpi magri, gli occhi spenti e cerchiati di nero, i calzoncini corti unti e laceri, con in mano stretta una fetta di pane raffermo su cui si intravede la presenza di un pomodoro schiacciato. La bocca si apre ad addentare il cibo ed è allora che si rivelano i denti neri, costellati di carie estese, se non mancanti o rotti. Che squallore!
Lo strano personaggio fa parte del mondo dello spettacolo portato dentro le mura dei paesi limitrofi. Una sorta di ilare giullare e comico cantastorie, una via di mezzo tra il grande Charlot, il comico del cinema muto Ridolini e Totò.
Si esibisce in una specie di tarantella, in realtà una pizzica pugliese in cui canta, s’agita freneticamente come posseduto da uno spirito malvagio.
Muta, poi, atteggiamento, saltella con movenze di caricatura e istrionesche e in sequenze buffonesche, alterna gag, frizzi e lazzi che suscitano ilarità, fino a far scompisciare dalle risa, per i riferimenti alla vita coniugale arguti, salaci e divertenti, ragazzotti di primo pelo, giovinette smaliziate e vecchie sdentate.
Seguono, poi, le avance di un focoso innamorato, e per il popolino il culmine dello spettacolo è decretato dalla esilarante “ mossa ” femminea, caricatura di una cantante, soubrette napoletana d’infimo grado.
E zzzuumm e zzuumm e zzxuumm con i piatti e le note dell’armonica a bocca!

Tutti chiamano il personaggio Piripicchio proprio dal motivo canticchiato:
“ ♪ ♫ Piripì…Piripì…♫♪ ” Chiedono la ripetizione della sua pérformance.
Il comico con un divertente giro di parole dice che se il pubblico sarà generoso, donandogli uno zecchino d’oro, anche lui lo sarà concedendo il bis.
Qualcuno tra la folla, scherzoso, gli fa eco: ” Uno zecchino d’oro? Ma che ti sogni?Una fetta di pane e pomodoro! Noi siamo povera gente e non teniamo niente!”
Il nostro Dino, intanto, per qualche attimo è rimasto incantato davanti allo spettacolo e Piripicchio, notando l’atteggiamento assente e distaccato del giovanotto, cerca di coinvolgerlo nel suo spettacolo con un numero improvvisato.
Piripicchio: ” Bel giovinotto malinconico, che te ne stai tutto assorto nei tuoi pensieri oscuri, non ti fanno sbudellare dalle risa le mie comiche trovate, le mie canzoni strampalate, le mie stonate note sonate con i piatti tra le gambe, mettendo pure a rischio i miei gioielli belli ? “
E giù con sberleffi, trovate esilaranti, epiteti divertenti che incendiano l’uditorio.
Se sei in questa triste condizione, bel giovinotto, capellone biondo, non sarà forse per pene d’amore? Non ricambiato è il tuo sentimento per una formosa donnetta?
E’ nubile o maritata? Hai paura d’incorrere nelle ire del suo legittimo marito, incavolato nero o di suo padre, taccagno e padre padrone?
Non ti preoccupare perché or, ora mi travestirò nella tua amata dalla indiscutibile grazia femminina e ti dirò quanto di te sono, sonoo innamorataaa!”
E qui giù risate a crepapelle del pubblico astante non ancora pagante.
In meno che non si dica, indossati abiti muliebri, ecco l’eccentrico personaggio tramutato in gentil donzella che con voce stridula e in falsetto urla e canta:
“ Quant’è bell lu primm ammore, lu secondo è chiù megghio ancora.”
Piripicchio: “ Ma tu, ombroso giovanotto, non partecipi alla sceneggiata, all’allegria?! Non ti pare spassosa abbastanza la mia trovata?
Vivi il momento, la tua giovine età spensierata. Le preoccupazioni, gli affanni verranno avanti con gli anni! Godi e ridi finché sei in tempo, ora!
Io sono un pagliaccio, è vero, però professionista e lo faccio per divertire, non solo il mio pubblico, accorso numeroso a questa esibizione e che già ride solo a vedermi, ma soprattutto per gli irriducibili come te, refrattari al contagio di una sana risata liberatoria.
Dino: ” E come potrei ridere e scherzare ancora con la pena amara che mi porto dentro?”
Comico:” Se te la porti dentro nessuno potrà mai aiutarti. Guarda me! Credi che dietro il mio aspetto istrionesco non ci sia un uomo? Sì dico, un uomo vero, non un buffone! Un essere umano che piange dentro mentre fa ridere tanta gente fuori!
Pensi che non abbia anch’io un cuore che palpita rattristato dalla cruda realtà, dalla malasorte e dalle sventure?
Credimi, giovinetto triste, la vita ti porterà pure dolore, ma anche bei momenti di serenità, di condivisa allegria! Ora che sei giovane ed hai tutta la vita davanti non incupire l’animo deluso, non chiuderti dentro!
Apriti, invece, al sorriso del mondo, apriti agli altri e scoprirai un mondo nuovo, meraviglioso!
Confidati con qualcuno, apri il cuore a chi ti può dare gioia e vedrai tutto cambierà!
Se hai avuto una brutta esperienza, non per questo la tua esistenza non cambierà in meglio. Vedi, giovinotto caro, la brutta esperienza, il dolore nella vita sono costanti ricorrenti. La danza buffonesca che ho appena eseguito deriva dalla danza popolare della “Pizzica”. E tu sai cosa vuol significare la pizzica per chi la danza?
Dino:” Non esattamente! Lo posso forse intuire! Uscire dal tormento!”
Piripicchio: ” Sì! Bravo! Esprime il dolore provato per il morso di una tarantola.
E sai come si guarisce da quel veleno? Tu forse non ci crederai, con la danza cioè la pizzica, un ballo sfrenato fino allo sfinimento, estenuante che ha l’effetto di far sudare moltissimo chi balla, si espellono le tossine del potente veleno e si guarisce!
Anche dal veleno della tristezza si guarisce! Tu sei giovane! Cosa non si supera quando si è giovani?!
Piripicchio riprende la vena umoristica e canticchia:
“ ♫ Non dimenticare le mie parole! ♫ Bimbo tu non sai cos’è l’amore!♫
Non dimenticare le mie parole di vecchio comico, ma mica scemo! Va’ nel mondo e per il mondo scoprendo verità e il sorriso di sicuro ti tornerà. Trasforma quelle brutte realtà adattandoti, adeguandoti, accogliendo con sguardo divertito chi ti avvicinerà! Vedi, ad esempio, quella bella brunetta dai capelli lunghi e lisci! Osserva i suoi grandi occhi di cerbiatta!
Di sottecchi lei ti sta già ad ammirare e, sono sicuro, ti potrà consolare se solo tu glielo permetterai, se le sorriderai, ti sorriderà e ti accompagnerà
nel tuo cammino e ti farà passare il malumore! Ora va’ per la tua strada! Addio, mio buon figliolo!
E non far più piangere il mio cuore che è una fontaaana, anzi una cascaaata! UNGHEEEE!!! UNGHEEE!!! UNGHEEE!!!”
E qui alle finte lacrime di Piripicchio, accompagnate da teatrali e sonore soffiate di naso, segue l’applauso scrosciante del pubblico astante che

finalmente divertito mette mano alla scarsella e gli regala, non di oro, uno zecchino.
Qualcosa di strano nell’animo del ragazzo è cambiato, ha ascoltato prima tutta quella sviolinata del grande comico locale ed ha accettato i suoi consigli da vecchio saggio, ha osservato il bel visino di ragazza della brunetta dalle lunghe chiome e ne è rimasto d’incanto affascinato, così le si accosta piano, piano e con voce sicura le sussurra: “ Io sono Dino, che nome hai tu, dolcissima fanciulla? “ Hai sentito le parole dell’attore? Lui ha letto nel mio cuore la tristezza che è in me! Sono stato bocciato, sono sconfortato, ma credo, di non averlo meritato! Pensi anche tu come i professori che sono solo un asino patentato?
Se tu ora mi sorriderai, il mio cruccio per sempre svanirà! “
Ed a questo punto la giovinetta, da cerbiatta ritrosa, si apre al sorriso, pronuncia il suo nome soave, Maria, parla a Dino con pudore, ma anche con il cuore, i sentimenti, e per loro due si apre così un inesplorato mondo d’amore.
Maria: “ I tuoi professori se avessero compiuto lo sforzo di capirti meglio, meglio ti avrebbero apprezzato. Io ho fiducia nel tuo futuro, non vi leggo tristezza e amarezza, ma determinazione. Da questa esperienza ricaverai un insegnamento positivo e le soddisfazioni che meriti non tarderanno a venire. Non un asino di montagna, ma una roccia temprata ad affrontare la vita con le sue discese e risalite. Sai che lezione potresti infliggere ai tuoi docenti selettivi e saccenti se divenissi tu stesso un bravo professore? Ne sapresti più di loro in psicologia e pedagogia e un alunno da te non si sentirebbe mai bocciato perché in ogni modo l’avrai aiutato.
L’iniziazione è già varata con il superamento della triste vicenda e la determinata strategia di trovare forza e coraggio nuovi per andare avanti, rincuorato e opportunamente riscaldato dall’inesauribile fuoco dall’amore.