Maria Francesca Calè - Poesie

Il mare

 

La sabbia è

il granulare del grido

che si disperde.

Riesumata dall’oblio è la vita.

Oltre il muro nessuno

ci sente,

nessuno ci vede.

Oltre il muro i campi

i figli raccolti

piangono.

Il mare soffoca

ogni cosa, ridesta

l’animo alla

serenità.



Il pensiero

 

E’ come una droga,

ti trastulla, illude il tempo

incanta il personaggio,

assaggia l’estasi,

divinizza, innalza i miti.

Aria vaga e assassina,

solo il risveglio ti punisce.

Onanismo morale,

pupazzi di fantasia.

Il tonfo apre viscere

profonde nell’anima

già tubercolosa, ma

ritorna il “pensiero sdegnoso”

ad ogni schiocco di dita



La mia luce

 

No nel corpo il tuo profilo

mi si legge, ma là,

nel fondo della mia

mente sei.

Adesso i miei occhi non ti vedono,

ne udire altri voci è uguale,

adesso il tempo è solo mio.

Solitudine e stanchezza.

Tristezza.

Cosa erano se non

parole,

cosa sono se non piaghe.

Il tuo tempo è volato,

andato, svanito e annullato,

ma io sono la continuità.

Io sono il nulla e

il mondo, per sentirti ancora.

Sei qua, eppure non ci sei.

Cosa darei per un tuo bacio.

Non ho avuto il tempo,

né ho il tempo per

soffrire,

eppure soffro!



Le mie radici 

 

Non è la stanza ad essere vuota.

È il cuore che scivola via e svuota

la mia vita! Non sussurri e baci e parole lievi

non più sorrisi. Ne giochi, ne facili ironie,

ne la mano stanca sorregge più la mia.

Gli eventi lasciano posto alla storia.

Io divento radice mentre perdo le mie.

Il silenzio delle tue parole grida ancora,

e penso a tutte quelle che non ti ho mai dette.

Quanto amore ho lasciato andar via,

in quella notte fredda.

Ci sarà sempre tutta la tua luce,

nel buio di questo dolore.


 


Luna

 

Figlia del vento

e del sonno, cielo

di cristallo, alito

disperso, estuario

di verità.

mi incanti, mi

rubi, mi strazi  

di luce, mi

cerchi fino a

quando il tuo bagliore

muore.



Pagliacci

 

Ridete beffardi

ed ironici,

giocate con il male

del mondo,

la tristezza celata

disprezza la vita,

il travaglio dell’uomo

moltiplica il tempo

e il tocco di mano

non trucca un sorriso.

La maschera è dono d’intelletto.


 

Solitudine

 

Passi leggeri segnati

nel vuoto di queste

stelle atone, stelle

d’universo di sogno

stelle di stagno.

Mani di donna,

mani nel vuoto

tra pietrosi pensieri

dell’invisibile essere,

che scagliato nel tempo

per sempre

si cerca.


 

Sorella

 

Ora il pianto feconda l’arido campo di sogni

il sole illumina il mondo facendo

delle lacrime stelle,

e il mio cuore stringe l’affetto per una donna

mai cresciuta, mai nata.

Avevi i miei occhi, forse,

e le labbra, i capelli e l’animo triste di

cellula deformata e il coraggio di chi

accetta tacendo.

Sorella!

Forse tutto sarebbe stato

migliore avendoti accanto:

la luna, il mare, la vita

e il mesto piegarsi

all’assurdo avremmo potuto

insieme combattere.

Sei dispersa invece,

in chissà quale giorno

e ti vedo nei cieli più azzurri

nei fiori più belli, negli occhi

di pezza di bambole immote.

Chiedo pietà per quelli

che ignorano il pianto strozzato

di bimbi mai nati.


 

Torno da lontano

 

Torno da lontano

e vengo verso di te,

torno dall’orrore,

torno da prima di nascere.

Torno dal grembo caldo

del mio nido materno,

dall’essenza della mia prima vitalità.

Torno affranta,

disgustata e stanca.

Torno certa del mio divenire operoso.

Complicato intelletto muove la vita.

Torno adesso da lontano.



Un uomo

 

Verità pesante trascini

in nome di misteriose

eresie,

divino soffio mortale.

Arido campo calpesti, altero

possiedi la vita, nello stillicidio

di questo fetore umano

non ti specchi.

Candida edera

il vecchio muro del passato

non ti staccherà, se non prima

della fredda mano.

anima sarai,

o puro raggio di luce.

Allora ci priveremo

del dì del tempo presente.