Maria Luisa Parrino
Poesie
Occhi
Occhi velati,
trafitti,
mai afflitti.
Occhi che narrano
E nascondono,
parlano e non dicono.
Occhi fissano le stelle
E brillano di follia.
Pioggia di luci in cielo
Gocce sulle ombre del cuore.
Germogli di fantasia
Covano frenesia.
Libera rinasce e fugge
L’anima lieve.
Rompe le catene.
Lontana dal rovo
Tra gli astri risplende.
Un posto magico
Tra cielo e terra
Magico è il confine.
Grande è la Luna
E le stelle cristalline.
Sfiori le nuvole
E al divin ti senti incline.
L’anima leggera
Dall’effimero fugge
E il cuore lassù non si strugge.
Tra cielo e terra
Ti vengo a cercare
Tu abbracciami forte
E fammi sognare.
Trottola
Lo chiamavano “Trottola” e non è difficile intuire la motivazione. Non esisteva persona, infatti, che ricordasse di averlo visto mai fermo, tanto che qualcuno dubitava del fatto che lui la notte potesse dormire.
Come un alieno venuto da mondi lontani, Trottola era forse quello che adesso verrebbe definito un bambino iperattivo e problematico. Ma Ruggero, questo il suo vero nome, ignorava tutto ciò, forse non aveva tempo per preoccuparsene o forse non se ne curava proprio.
Per lui era importante vivere, riempire la sua giornata fino a farla scoppiare.
Non era mai stanco, mai triste, mai demotivato.
Trottola era venuto al mondo troppo presto, non aveva voluto aspettare nove mesi, placido e beato nel grembo di sua madre. Aveva fretta e il settimo mese lasciò il suo mondo ovattato per esplorare quello rumoroso che percepiva dalla sua postazione spaziale.
Come tutti i prematuri, forte e testardo, si aggrappò alla vita celebrandola con rispetto.
E la vita a modo suo, lo ricompensava abbondantemente.
Trottola era troppo vivace e la madre non riusciva ad arginare la sua esuberanza.
Trottola era troppo magro e anche troppo alto quindi a scuola stava sempre all’ultimo banco per non ostacolare la visuale ai compagni.
Trottola era troppo sensibile e intelligente, aveva fame di conoscenza, e i suoi coetanei lo consideravano un bambino vecchio e strano.
Trottola era troppo veloce e nessuno voleva giocare a calcio con lui.
Trottola era troppo in tutto e la normalità non gli bastava.
Pur amando la Terra cominciava a percepirne i confini e spesso lo si vedeva con la testa all’insù come a scrutare le stelle. Aveva uno strano luccichio negli occhi ma più domande gli rivolgevano più lui sorrideva avvolto in un alone di mistero.
Alcuni iniziarono ad ipotizzare che il ragazzo fosse diventato pazzo, altri sottolineavano che erano le solite stranezze di Ruggero.
Ma Trottola come sempre non badava al loro mormorio, puntava gli astri e faceva mille smorfie.
Una calda sera d’agosto mentre la città era in festa, gli adulti ballavano e i bambini si rincorrevano diffondendo un allegro vocio, Trottola immobile, come non lo era stato mai, attirò in modo inconsapevole l’attenzione di tutti.
L’orchestra smise di suonare e tutti si fermarono a guardarlo come percependo che qualcosa di straordinario stesse per accadere.
Un silenzio irreale avvolse l’abitato e quel mondo ovattato, proprio come nel grembo di sua madre, permise a Trottola di distinguere un rumore lontano, molto, troppo lontano.
Seguendo quel richiamo iniziò a muovere le sue lunghe gambe come a voler prendere una rincorsa. Più correva più aumentava la velocità, finché con un salto si staccò da terra balzando fra le nuvole e poi ancora più su.
Il Cielo si illuminò come nei fuochi d’artificio e tutti lo videro salutare mentre continuava il suo viaggio: destinazione Marte, era tempo di rinascita.
Ancora oggi, nelle notti innevate, quando i rumori sono attenuati, c’è chi giura di sentirlo correre e sorridere chissà su quale pianeta.