Maria Stella Rizzo - Poesie

Non andartene, no, non andartene.

Non portarmi via questo azzurro

e le stelle…Non lasciarmi

nel buio…

Non andartene


 

Sono un albero battuto dal vento

Coperto di brina

nella pianura desolata

Non più foglie né uccelli

Rapito l’azzurro.

Io, particella residua dell’essere.

Il maggior ostacolo

me stessa.


Prospettive verticali.

Un sottile filo di ferro

mi chiude gli occhi.

Trapassa le palpebre

disegnando stelle

Ombre silenziose

i ricordi

si attorcigliano al cuore.

Ne trattiene il battito

la nostalgia.

Dall’abisso

ho imparato

il colore della luce.


 

Vivo nella mia fantastica pazzia:

il vento mi parla,

le foglie mi confidano

segreti di luce,

l’aurora mi regala

pennellate di colori.

Come una foglia settembrina

lentamente

tingo di rosso l’aria


 

 

Ti ho incontrato al mattino

forse no

era giorno splendente

col sole che increspava le nuvole

forse no

era notte stellata

dolcissima

con la luna appena nata

forse no

era tanto tempo fa,

quando ancora nasceva l’alba

il cielo non era fuliggine scura

il mare traspariva conchiglie dorate

l’aria colorava il respiro.

Forse no.

Non ricordo quale tempo

quale pioggia

quale nebbia

quale neve

quale stagione

tu mi abbia rubato.

Forse no.

Forse non sai.


 

Lamenti cupi

quasi guaiti di cane

mi attorcigliano

lo stomaco:

nausea

del giorno.

Temo

le grida del mio corpo

proteso

oltre il segno.

Non so rassegnarmi

alla banalità

del quieto vivere.


 

Guardo l’albero  al vertice

alzarsi

sui rami così nodosi

urlanti la forza

della terra:

spasimi muovono l’aria intorno;

il segno al confine del cielo

è divenuto rosso

del fuoco d’odio:

si è liberato dal tuo abisso

nascosto.

Mi raccontavi

incantevoli storie di cavalieri antichi,

castelli, carte, pennacchi,

mi parlavi del tempo infinito

dove noi eravamo angeli

su una nave di luce:

tu, Ulisse, sei morto:

precipitato nel tuo abisso

di routine quotidiana:

hai seppellito gli oracoli

del tempo antico.

Sei rimasto a terra:

io volo in alto;

ti vedo piccolo, infinitamente piccolo,

a lottare coi fogli volanti:

basta un vortice d’aria

e tutto è subbuglio:

tu sparisci nel nulla.

E’ lungo ancora il cammino:

d’oro la strada

mi aspetta.

Ti manderò messaggi di libertà:

ma forse non saprai

riconoscerla.

Sei dentro la folla morta

dei colletti bianchi,

impegnato a costruire

le ricchezze del tempo

che dicevi infinito.

Vorrei salvarti,

ma sarebbe inutile.

Tu non vedi più

le stelle.


 

Mi strazia

questa luce

che taglia il giorno.

Come un’unghia

mi ferisce

sottile

invisibile.

Cammino

e intorno

la sabbia

è polvere di vetro

che penetra

gli occhi.

Corrode

questo cielo d’estate.


 

Mi hai spaccato il cuore:

frammenti di pietra

sono esplosi nell’aria.

Non hai pietà

del deserto

che mi hai costruito intorno.

Rovente

la torre brucia

nell’ultimo guizzo del giorno.


 

Semino stelle nel cielo.

Lame d’acciaio

per i viandanti sperduti.