SCOGLIO
Cammino e l’acqua
viene a confortare
i piedi stanchi.
E a dirmi che l’amore
si rifugia nel mare
e sopra il cielo
quando sparisce.
“Cercalo qui,
su questo scoglio antico,
cercalo sulle nubi
rosse a sera”.
E l’amore risponde.
E camminando
passo oltre il muro
delle umane cose.
STUDIO DELL’AMORE
Matematica del sesso
fisica del rapporto
anatomia dell’amplesso,
chimica del bacio
statistica del successo.
E l’amore?
Se cerchi
lo trovi sepolto
tra le scartoffie
di tanto progresso.
CEMENTO
Case senza nome
una sull’altra
come castelli di carta,
solo di duro cemento
senza pori per respirare
e farsi penetrare
dagli umori dell’aria.
Cemento che solo trattiene
la triste incomprensione
nelle stanze composte
fumose di mozzicone
di sigaretta accesa
per scaricare tensione.
Non sorridete calore
nelle nottate di vento
ma sbatacchiate sgomento
alle finestre leggere.
Non vi amo e vi temo
indispensabili case
una sull’altra stivate
a contenere con dignità
la massima parte
di una slavata umanità.
NATALE
Sul cartone del latte
vedo scritto
venticinque dicembre,
la scadenza.
Giorno di tutti
giorno di nessuno.
Come chi vive
e dorme per le strade
travestito da nulla
da nessuno.
La mente e il cuore
sanno che è Natale,
la mente e il cuore
sanno che lui è un uomo.
GIORNI VUOTI
Ci sono giorni estranei
alla mia vita
come randagi zoppi nella via,
indifferenti al mondo, fastidiosi.
Giorni rinchiusi fuori
con un colpo di rabbia
nella porta.
E poi rimorde
il primo disamore.
Amo i cani randagi,
i gatti soli
lo sguardo naufragato
dei dispersi.
Così, penso di amare
anche quei giorni
fuori da me,
respinti nell’oblio,
che passeranno
e so che riusciranno
ad uscire vincenti.
ONDA
Mormora l’onda nello scoglio antico
che è custode di un tempo.
Tutto è cambiato intorno
ma lui attento
non si accorge del tempo che è passato,
mentre il mare continua a carezzarlo
o a infrangersi adirato.
Sempre lo stesso scoglio
sempre lo stesso mare.
E tutto intorno,
l’inquietudine umana che passando
sfoglia pagine e pagine di un libro
che si chiama “Cammino della vita”.
LUNA
E la luna ci guarda.
Non credo indifferente.
Sta lontana e fredda
eppure la sentiamo
come madre.
La evochiamo
a proteggerci nel cuore
e il diafano lume ci consola
come potesse dirci
dove è andata
quell’anima di ieri
che ci lascia
ogni sera
ogni volger della vita.
Non dice nulla
quella luce bianca
solo che in terra
noi non siamo soli.
Lei è il lume perenne
che ci guarda
e noi le diamo
un’ anima e una voce.
TERRA
Un cenno e i prati
ovunque sono verdi
un cenno e ovunque
vedi gemme e fiori
ovunque i nidi
tornato a cantare
e le rondini tornano a solcare
i nostri cieli.
Una voce sussurra: “Primavera”
e l’han sentita tutte le creature.
Il mio pesco è legato
a tutti i peschi
in un accordo di esplosione e fiori.
E’ la terra che dice:
“Ora rinasci”
e poi dirà: “Sii verde”
e poi “Riposa”.
Un ordine per tutti.
E quando gialle
le chiome
tingeranno d’oro il bosco
rondini in schiera
voleranno altrove
perché la terra ha detto
“Ora partite
SEMPLICITA’
Solo due semi
e un po’ d’acqua
per vivere.
E canti.
Noi solo il desiderio
di orizzonti lontani
ed una lotta amara
per l’esistenza.
Se potessi rubarti
quella semplicità
che tieni in cuore.
PASSEGGIATA A MARE
“Dare un senso alla vita” mormorò Arturo, senza accorgersi di pensare a voce alta. E intanto aspirò con forza la prima aria frizzante. “Ma come, se oggi è uguale a ieri e domani sarà uguale a oggi?”.
Camminava lentamente con le mani alla schiena e chi lo incrociava vedeva un uomo rapito dal paesaggio. Il salmastro e la brezza addolcivano l’aria di pieno agosto, già luccicante e immobile alle otto di mattina. Con una sola occhiata si dominava il golfo, verde di basse colline fronzute e, di sotto al muricciolo in cemento che proteggeva la passeggiata a mare, di tanto in tanto, lo sguardo era rapito dall’acqua trasparente, bassa sui sassi. Era una visione proprio stupenda, ma tutta la beatitudine quasi tenera generata da quella pace lo colpiva e, subito, gli si strozzava nell’intimo, era catapultata fuori dall’impatto con una muraglia.
“Il tempo passa, e sempre più veloce. Un giorno non lascia veramente il segno. Così mi troverò d’un tratto alla fine, sarò vecchio all’improvviso, senza rimedio. Dare senso a un giorno!”
“E ringrazia il cielo!” gli strillò dentro la voce “Ringrazialo di mandarti giorni così sereni, non segnati da gravi malanni o disgrazie, non interminabili per la sofferenza. Incosciente, pregalo che sia sempre così!”
Si rammentò allora di quel dolore alla spalla destra che l’aveva fatto impazzire per una settimana in inverno, ricordò bene quanto era stata lunga quella sequela di giorni di pena e, per qualche minuto, riuscì a vedere la bellezza del luogo in tutta la sua intensità, riuscì a provarne piacere.
“Ecco, conservare per sempre il sollievo del male finito. Quando sei stato a lungo chiuso in una stanza, la prima aria che respiri all’aperto è un momento d’estasi, quando sparisce un dolore, apprezzi il valore della salute, senti di esser ricco possedendola. E così quando ti è lontana una persona che ami. Allora ti sembra un sogno averla accanto a vivere con te quei gesti che, alla lunga, diventeranno banali. Qualsiasi gioia ti inebria un solo momento. E’ che poi ti abitui, ti adatti così naturalmente al bene che ti sembra ovvio. Il bello sarebbe conservare il più a lungo possibile, o meglio, per sempre, la gioia di quando si avvera un desiderio. Ma non si può. Il vero entusiasmo è solo alla fine di una sofferenza fisica o spirituale, di un’attesa dichiarata o incoffessata: alla fine, c’è la frustata di entusiasmo del sollievo o della sorpresa che poi si smorza e si allunga sempre più in una scia piatta di giorni eguali. E più la scia si allunga, più la situazione che all’inizio brillava, diventa opaca, lontana, non ti illumina più. Diventi inquieto, stanco di nulla perché il fegato ti si intossica di insoddisfazione mentre cerchi qualcosa che non sai dov’è.”
Ora, cosciente del suo stato, si concentrò meglio, intenzionato a godersi in pieno il sollievo di essere dove era: in vacanza al mare, lontano dal lavoro e dall’arsura del solleone di città. Si concentrò a ricordare, fino a soffrirne di nuovo, la cappa di piombo di tre giorni avanti, il sudore appiccicaticcio, la testa in fiamme, l’insonnia nella camera senza un filo d’aria, nonostante la finestra e la porta spalancate, su quel letto di tortura dove c’era il rischio di provar, non diciamo ripugnanza, ma certo un gran fastidio a toccarsi con Mirella. Ricordare questo doveva aiutarlo a godere di più il presente, il fatto che quel mare fra collina e pineta faceva, oltre che rompere col solito ambiente, respirare, dormire, svagarsi.
Vent’anni fa, il mare era per lui un Dio e, per andarci, organizzava gite con gli amici. Per tutto il giorno dividevano la loro spensieratezza con la sabbia calda e l’azzurra acqua salata; tornavano, a sera, bruciacchiati e stanchi, ma felici.
“Venti, Arturo? Vorrai dire quasi trenta, ormai!” A volte gli sembrava ieri. Eppure, quante ne aveva passate! Ma, lo stesso, ieri era un ragazzo affamato di tutto. Non ci si pensa, si tira avanti finché, a un tratto, questo pensiero ti investe come uno schiaffo inaspettato. Eri, eri quello che ora non sei più. Che avventura pareva la vita. Che cosa elettrizzante e stupenda, l’amore. E ora? Ora, non si trovava dove allora sognava sarebbe stato? E non si tormentava anche allora? No, non si accorgeva della ricchezza potenziale che lo circondava, a quel tempo. Solo ora poteva accorgersene.
- Buongiorno.
Il vecchio, che alla pensione aveva il tavolo di fronte al suo, gli fece dare una scossa.
– E la signora non c’è?
– E’ rimasta a prepararsi, non aveva voglia di passeggiare stamani….
- Eh, le donne hanno sempre da fare, lo so io! Ne ho avute due, sa? Due mogli. E fece un gesto eloquente con la mano verso il cielo, mentre sul suo viso rugoso non spariva un’aria furba di chi la sa lunga, di chi, anche se non ha, ha avuto.
– Uhm – annuì con comprensione Arturo, proseguendo il suo cammino e accennando un saluto. Non aveva voglia di chiacchierare, stamani. E tantomeno delle mogli di quel vecchio. Ma lui, che certo non aspettava altro che essere ascoltato, si girò nella sua direzione.
- Mi son morte tutte e due. L’ultima, due anni fa. Quando rimasi vedovo la prima volta avevo settant’anni, i figli erano sposati da tempo…. Non volevo dar noia, sa, stavo solo. Ma solo.. ..Andavo al cimitero e ci incontrai Palmira:
andava anche lei a portare i fiori sulla tomba del marito, e così Si, però.. .Sa com’è? Io tenevo la foto di mia moglie, della prima, sul comodino e a lei questo non piaceva, soprattutto se, prima di dormire, baciavo il ritratto. “Va bene che siamo vecchi e ci siamo sposati per compagnia, però…” diceva. E finì che anche lei si mise sul comodino la cornice con il marito. E lo baciava prima di dormire, per ripicca. Poi è morta anche lei, poveraccia. A parte queste beghe, mi faceva compagnia, mi teneva bene. Ora sono punto e accapo: solo. Ma mogli più sa? No no, basta.
Ad Arturo venne involontariamente da ridere. Il vecchietto, secco secco, lustro lustro, camminava trascinando un po’ una gamba, ma non accusava fastidio per questo. A pranzo e a cena, al suo tavolo tutto solo, portava in fondo ogni piatto senza lasciare avanzi con appetito, e invogliava a mangiare chi lo guardava. “Avrà mai avuto i miei problemi?” pensò Arturo “Si sarà posto mai i miei perché? Avrà mai avuto la sensazione di trovarsi nel luogo sbagliato quando il luogo è ovviamente giusto, lo sbandamento di non capire a un tratto perché esiste? E’ così tranquillo, nonostante tutto. Di fatto, lui è già esistito, è alla fine, eppure non ci pensa, non si da per vinto.”
- E da quanto tempo è sposato lei? – Il vecchio ridacchiò come uno che la sa lunga – Ma voi siete giovani.. …..Bella sposa la sua signora.
- Si si — si affrettò Arturo restio- da poco più di vent’anni.
Non sentiva affinità col vecchio, perciò non gli era spontaneo confidarsi e d’altra parte, non era neanche nello spirito di divertirsi della sua birbanteria senile, della sua vitalità che, lo riconosceva, era stimolante.
- E figli? – insisté l’altro, guardandolo di sotto in su.
-Due.
- Grandi, eh?
- Si, grandi.
Cercava qualcosa intorno con lo sguardo, come se si aspettasse di vedere qualcuno e rispondeva stringato, con la speranza di seminare quello che si era imposto come compagno alla sua passeggiata nata per essere solitaria.
“Ma guarda come è tranquillo” disse la sua voce “lo invidi, vero?”
“Invidiare uno che sta per morire?”
“E chi lo sa, chi sta per morire? Potrebbe toccare prima a te che a lui, cosa credi?”
- E quanti anni hanno? Maschi, femmine? – insisté il vecchio.
- Maschio e femmina, gemelli. Hanno vent’anni. Ma – si affrettò prima che lui facesse altre domande – ora scusi sa, mia moglie mi aspetta a colazione.
- Vada, vada, io ho già fatto – rise il vecchio, contento anche di quello, quasi come un padre che manda a nutrire il figlio – Ci vediamo.
E restò fermo a guardare, mentre lui si allontanava.
Arturo aveva evitato la domanda: “E ora dove sono i suoi ragazzi?” certo inevitabile.
“A casa per i fatti loro” avrebbe dovuto rispondere. Niente di più naturale che fossero per i fatti loro, anzi. Eppure, anni addietro se li portava per mano, contento che respirassero aria buona, finalmente. Avrebbe fatto qualsiasi sacrificio per portarli al mare; parte del piacere della sua villeggiatura, era vederseli abbronzare sotto gli occhi, colorire, ingrassare le gambette all’inizio slavate. Lo faceva perché crescessero bene, ed ora erano cresciuti. E’ bello vedere i figli farsi uomini e donne, no? Eppure strizza il cuore. Ecco un’altra terribile contraddizione della vita. A chiudere gli occhi, torni subito a dieci, quindici anni fa, senti una vocina dire: “Papà….”. No, non è la stessa di oggi. Oggi, “papà” risuona con la voce di un uomo e di una donna.
“Chissà se il passato è veramente passato, o siamo noi che passiamo.” Era una sensazione che spesso lo assaliva “Può darsi che esista ancora, che sia là, fermo dov’era.”
“Ti dai in pasto alle stupidaggini, Arturo” lo ammonì la voce.
Ma, per esempio, i suoi bambini non esistevano più e lui li sentiva esistere ancora, come sentiva che, da qualche parte, rimaneva il bambino che lui stesso era stato: fosse morto allora, sulla tomba ci sarebbe l’effige di un altro, non la sua, perché lui, ora, non era lo stesso. Ma l’altro era vivo, vivo nel passato e allora “Guarda tieni per te i tuoi pensieri…” sogghignò la voce. “E dai retta: pensar troppo è un male. Prendi la vita com’è, come quel vecchio.”
Gli vennero in mente dei versi, che l’avevano colpito e, spesso, gli affioravano in gola come il ritornello di una canzone: “Il presente/ ci sfugge di mano/ unto d’olio del tempo/ Noi pensiamo di viverlo/ fin quando/ in un luogo immutato/ non ritroviamo un’orma./ Ed essa è vuotai/ di quello che era stato.” L’aria si scaldava, e si sentì un po’ stanco. Affrettò il passo.
“Ora a colazione e poi in spiaggia.”
Si fermò all’edicola a comprare il giornale e prese un settimanale anche a Mirella. I quotidiani li leggeva tutte le mattine, bisogna pur essere informati, è anche una questione di prestigio oltre tutto. Ma inutile nasconderselo, lo guastavano quelle immancabili notizie funeste lette sotto l’ombrellone, nel più completo relax fra cielo e mare. Incidenti, morti, delitti, attentati, miserie di varia umanità, politica. …E lui lì, che se la godeva. Ma non se la godeva più, perbacco: quei giornali gli stuzzicavano la riflessione e ricominciava a chiedersi il perché della vita. “Ma via, ci vuole per forza o uno spirito un p0′ sadico o una certa incoscienza a leggere certe cose e poi buttar là il giornale e correre a diguazzare in acqua ridendo. O sono io che non funziono”?
Probabilmente, la maggior parte ha capito che siamo tutti sulla stessa barca, la situazione è tragica per ognuno di noi e allora meglio non pensarci, proseguire meglio che si può. Cosa possiamo fare? Però non sarà che abbiamo imparato ad assuefarci al sangue? Non giochiamo col macabro quando guardiamo certi films? Teste mozze, scheletri che camminano, sangue che schizza, punteruoli che affondano nelle gole… Si, è finzione scenica, però le notizie fresche fresche che ti arrivano in casa con le immagini più sconvolgenti ad ogni ora del giorno? Ma dai, non si può chiudere gli occhi, fingere di non sapere, non si può. Ecco, guarda questo primo piano della faccia di un terrorista ucciso. Sembra un bambino. Guarda la morte Arturo, guardala in questa bella mattinata che vuoi goderti. La morte, l’inevitabile meta. Tutti sanno che è là che aspetta, però nessuno sembra pensarci, darci peso. Se così fosse, chi avrebbe più voglia di darsi tante pene, di continuare, di lottare? Quegli uomini costretti alla sopravvivenza quotidiana, forse loro comprendono la morte, la affrontano, la evitano, la subiscono. Noi che non soffriamo la fame, che consideriamo il raffreddore una stupidaggine, che abbiamo mille compresse per ogni disturbo, che ci riscaldiamo premendo un bottone d’inverno, che copriamo lunghe distanze in un batter di ciglio, che sappiamo coltivare la bellezza e la raffinatezza fino a diventarne schiavi, noi ci distraiamo, ci sembra che la morte non sia cosa nostra. Eppure imperversa. Oh, ci si pensa, ci si pensa spesso. Ma poi la accantoniamo, ché non ci assilli. E stupisce sempre. Come la volta che si portò via quel povero vecchio (ma poi non tanto vecchio) reso inabile ad ogni movimento e alla parola dalla malattia. Non si capiva se fosse demente o solo incapace di esprimersi, e i ragazzi a volte ci giocavano come con un bamboccio. Dondolava la testa magra sul petto e pronunciava suoni inarticolati, grotteschi. Il terrore era pensare che capisse la sua condizione. Ma forse no: ed era meglio credere così. Ecco, per lui, la morte è stata una salvezza, perché oltre tutto se l’è preso quando ormai era piagato e scheletrito. Ma avevo lo stesso le lacrime agli occhi. Quelle lacrime erano per lui che se n’era andato o per me stesso? Era la commozione per una sofferenza finita o lo sgomento di sentire ancora una volta l’instabilità della vita, il suo valore non valore? Eppure spesso si pensa: “Vorrei morire”. Vuol dire che la morte, in fondo, ci è madre. Ma non si può volerla, se siamo sani di mente: dal momento che siamo qui e ci siamo per vivere. Ancora contraddizioni.”
E Mirella che gli diceva:
- Hai visto con chi s’è messa la tale attrice? E guarda, guarda questa in topless. Almeno le donasse.
Lui assentiva con aria interessata ma, specialmente se era assorto, sentiva prudersi sulla lingua un “Ma che me ne frega” che però non diceva mai. Povera Mirella. Che male c’era se si divagava così? A volte, senza che lei se ne accorgesse, la guardava. Era ancora molto carina ed era sicuro che senza di lei avrebbe sofferto. Ma peccato che l’amore non fosse più quello di una volta. Ora era forse anche più solido, ma non così…. così esaltante. Non era guarita dalla giovinezza nemmeno lei, anche lei si accorgeva di questa differenza e forse, ne soffriva. Gli faceva i test che trovava sui settimanali e si adombrava se, in base alle risposte, lui risultava in un certo modo. Potevano essere giusti quei test, ma anche sballati: lui non li considerava. Ma lei:
- Te l’ho sempre detto, io. Vedi?
Ieri, però si era arrabbiato. Doveva capire, per il demonio, che erano sciocchezze. E, se non lo capiva, doveva smettere di fargli giochi!
- Non sai mai stare agli scherzi, non hai spirito – aveva detto lei immusonita.
Avrebbe voluto infilarle in testa che, al gioco, non ci stava tanto neanche lei ma, sicuro che non ci sarebbe riuscito, era stato zitto. Perché no? Anche queste, alla lunga, sono le cose che logorano gli amori E dopo venticinque anni, ce n’erano state di cose così.
“Ma via, Arturo, come fai ad essere ancora un sognatore? Qualsiasi amore ha questo destino. Non puoi scoprire un mistero quando l’hai già scoperto. Eppoi in fondo, l’amore “prima maniera” è come è proprio per far desiderare di vivere quello “seconda maniera” no? Non riesci a maturare, a vederti con nitidezza nel presente”.
Con i giornali sottobraccio, ormai vicino alla pensione, incrociava gente in calzoncini diretta al mare con borse, bambini, materassini, secchielli, ciambelle. Si sentiva bene, era rilassato fuori dal solito ambiente, fuori dall’ufficio. Eppure sentiva il malessere di non trovare il senso.
Dov’era dunque il senso? Ricordò una frase letta sul giornale giorni prima. Qualcuno importante, ora non ricordava chi, affermava che le vacanze sono una inutile fuga, e la gente dovrebbe crearsi riposo e soddisfazione nel suo ambiente di sempre. “Sissignore” aveva pensato lui “bisogna vedere in che ambiente vivi. Bei discorsi da fare a dei disgraziati affogati in città”. Ma era così.
Perché, di sicuro, il senso sta nel non dover mai fuggire, nello star bene dove si sta, senza sentire il bisogno di andarsene. Sfuggire qualcosa è sempre una sconfitta.
Era giunto alla pensione. Entrò nel giardino, dove qualche pensionante sedeva ai tavoli per godersi il verde. Gli venne incontro la piccola che, la sera avanti, si era lasciata prendere in braccio. Gli mostrava un secchiello rosso, con la figura dell’Ape Maia stampata sopra.
– Ma che bello! – le rise, subito rasserenato da quel visetto gaio.
- Mio – cinguettò la bambina, con un improvviso dietro-front verso la mamma.
“Ecco uno spettacolo che non mi stancherò mai di vedere” e Arturo si fermò a guardare sorridendo il movimento delle gambette malsicure, il sussultare dei pochi capelli nella corsa. “L’innocenza di un bambino… Eppure c’è chi afferma che nemmeno un bambino è innocente, che il seme cattivo può nascere con lui. Sarà vero? Io non ci voglio credere. Mi pare, piuttosto, che sia il mondo ad avvelenare tutto ciò che tocca. Un neonato, ad esempio, ha bisogno del giusto ambiente, del giusto amore per non guastarsi. Ma guarda, guarda quella bambinetta, è o non è per ora innocente? Per ora..?” Sulla porta d’ingresso incrociò, quasi sbatté, in una ragazza alta, sinuosa, molto bella, che non passò senza lanciargli uno sguardo indifferente, si, ma lo stesso provocante. Quello sguardo, insieme alla scia profumata che quell’esemplare di donna si lasciò dietro, riportò Arturo alla realtà.
“Lo so, ancora non sono male….” Non lo era mai stato. “Arturo, Arturo” predicò la voce “tu pretendi di essere un uomo vero, è per questo che ti dai da fare pensando tanto. Vuoi scoprire il perché e cosa conta nella vita. Ti rompi l’anima in filosofemi, ed hai visto cosa basterebbe a far crollare tutto? L’ancheggiare di una donna giovane. Vedi, se tu smettessi di pensare per seguirla, la tua angoscia per ora cadrebbe, i tuoi pensieri svanirebbero annegati nel presente, non ti assillerebbero per un po’, ma ne varrebbe la pena?”
Entrò in sala da pranzo e raggiunse Mirella al tavolo apparecchiato per due.
- Non venivi più – accennò seccata.
- Si stava bene lungomare. E poi, ho incontrato il signore del tavolo di fronte, mi ha attaccato un bottone.
Era carina Mirella stamani con quel prendisole e quel trucco, già un po’ abbronzata.
“Beh, Arturo, credi che qualche gallo non punti anche lei? Non ci guardi, non ci pensi, ma che ne sai dei pensieri di Mirella? Lei sa dei tuoi”?
Il pensiero, libera essenza che vola e volteggia ovunque, scruta e si tuffa sulla preda come un gabbiano, cattura e abbandona, adora e sbeffeggia, dissacra e onora, e non ha rimorsi se rimane se stesso. E’ quando vuol prender corpo che nasce il pericolo. E allora pensare, pensare e lasciar liberi solo i pensieri con la licenza di uscire. Anche lui non era male: glielo aveva confermato la ragazza. Era quel peso accumulato in tanti anni a farlo sentire a terra, quegli occhi limpidi, vivi lo avevano alleggerito d’un tratto. Pensò che Mirella era stata ed era la sua donna e che, se invece di sposarla, l’avesse a suo tempo perduta, ora anche lei farebbe parte dei suoi grandi rimpianti. Girò il tavolo e la baciò. E, mentre lei lo guardava stupita, pensò che il presente non può farsi amare perché troppo stanco del fardello ogni giorno sempre più greve del passato e troppo affaticato dalla marcia, sempre meno entusiasta, verso il futuro. Poi sedette e cominciò ad imburrarsi un panino, sollevato si, ma avvilito dalla consapevolezza che quel sollievo era strettamente temporaneo.