Mariano Menegotti - Poesie e Racconti

Poesie da FRASTAGLIATO, luglio 2021

 

Insolenza

Cicicì e cicicià
mani profonde
cicicicì e cucucù
sublimi incastri
cicicì e cicicò

C‘è sempre qualcuno
che irrompe per arrivare primo
schiacciare con l’insolenza del suo rito
cicicià e cucucù

Non sa morire in nessun altro modo

 


 

Il mio ciliegio

Chi domanda amore poi ti uccide
chiamano
poi sciamano
domandano dal cuore
chiamano
hanno bisogno
ma non dicono
Solo guardano aspettano
gli occhi vorrebbero
ma non parlano
aspettano chiedono amore

Il mio ciliegio
non è al posto giusto?


 

Pazza Triste Felice

Pazza
Pazza triste felice
mente mia mantieni, fai passare
per un attimo
o per tanto tempo
mente mia
salvi dalle zecche del dolore


 

La fionda

Come mai così presto
così avanti
Come mai così bello
genio
sfarzo
così uomo nel marmo
equilibrio
lusso interno
viscere
così pensiero
attimo così atteso
presenza in ogni muscolo
attesa
risolta nell’attimo

Davide da solo
a salir le scale


 

La mia legge

Stare abbracciato a mio padre
ascoltarne arterie e vene
Vorrei assorbire
le tavole della mia legge
abbracciato a mio padre
La legge che cerco
è la carne irrorata di mente
e una matrice d’amore
La cerco in ogni uomo
cerco l’anima
cercando mio padre


 

Ho bisogno

Ho bisogno di corpo
Ho bisogno di nudo
Vedere corpi riconoscersi umani
Vedere umani riconoscersi corpi
Ho bisogno


 

Dietro il monte ( scelta per video poesia )

La linea del monte è frastagliata
La linea del disco arrotondata
Arrampicarsi è la via del sole
Scivolare è la via della luna

Frastagliata è la luce dietro il monte


 

Alla periferia dell’anima

“ Costantino prende il sole … sullo yacht … il sole…“ La testa le cadeva una volta a destra e una volta a sinistra e non riusciva proprio a concludere il titolo dell’articolo che aveva cercato avida sulla rivista preferita. Jolanda, vedova, che andava dicendo a tutti la sua età perché aveva scoperto che tutti le rispondevano che non dimostrava affatto ottantadue anni, si trovava a terra senza sapere cosa stesse accadendo, con negli occhi un turbinio, lo stesso delle nuvole del cielo di quel mattino di inizio autunno. Seguiva il suo beniamino da tempo e ora che Costantino non era più uno degli ospiti fissi di “Uomini e Donne”, in tv lo vedeva a malapena una volta alla settimana, da Costanzo.
“… il sole sullo yacht …”
Era uscita di casa per ripetere una pratica vitale della sua esistenza: sognare, curiosare e parlare di un uomo famoso. Con il corpo in subbuglio a causa del cambio di stagione, aveva camminato sulla piazza principale del suo vecchio quartiere fino all’entrata dell’edicola, sorridendo a sé stessa, il passo falsamente sicuro sul marmo con i fossili incarniti nelle lastre. Certo non era come ai tempi di Ranieri e di Grace … ma Costanzo e la De Filippi passavano questo. Le riviste di pettegolezzi in cui lo cercava, venivano scambiate con quelle delle amiche, appassionate anche loro, e assieme commentavano le foto, spesso al telefono, o per strada quando si incrociavano per le vie del quartiere; parlavano anche del concorrente che avrebbe voluto soffiargli il posto, della presunta lite con la fidanzata, della nuova concorrente. “ …. Nudo sullo yacht … nudo … di … “ Aveva iniziato la lettura ed era crollata improvvisamente a terra. Il giornalaio, vistala cadere, aveva chiamato subito il 118.

Quel mattino Angelo uscì di casa con un gran bisogno di ricomporsi: aveva discusso con sua madre. Si rincuorava pensando che sarebbe stato di turno con Corrado, compagno di servizio con cui aveva una buona sintonia e complicità fisica: si toccavano spesso braccio con braccio, gamba con gamba, stavano volentieri in coppia e le attese alla sede erano più serene. In casa aveva semplicemente chiesto una camicia stirata da mettere sopra i jeans e la risposta era stata: “ Quand’è che ti sposi? Se aspetti ancora un po’ …” Per strada quella frase gli ritornava a onde, schiacciandogli il petto e mettendogli dinanzi la figura della madre che sembrava proprio non capire.
Entrato in sede, vide Corrado già in divisa nello spogliatoio, che gli sorrise e lo salutò sventolando il braccio.
Messa la divisa e salutato alcuni compagni del turno precedente, prepararono un caffè e iniziarono una partita a carte. Ma il telefono squillò quasi subito: chiamavano dall’edicola di piazza Garibaldi, una anziana era caduta.

“Agostino e la …. Ventura.. ? “
Angelo, accompagnato da una folata di vento, scese per primo dall’ambulanza e chiese al giornalaio cosa fosse accaduto. Sentendo la sua voce, Jolanda, pensò fosse arrivato suo nipote: “ Umberto!” disse sorpresa. Il figlio del fratello del marito, andava spesso a trovarla, e passava con lei più tempo di quanto le dedicasse sua figlia, sempre impegnata con il lavoro. Un bravo ragazzo, testardo però nel non assecondarla in quel suo stravedere per Costantino. “ Non vedi che ha gli occhi del drogato!” le diceva quando lei era incollata al televisore. “ Se non si fa una pera prima di entrate in trasmissione quello lì non regge, non ce la fa a star di fronte alle telecamere” e se la prendeva con Costanzo e la De Filippi che imponevano modelli deleteri per la società e costruivano un mito su una persona senza valore e senza valori, “ con tutti i giovani che hanno delle cose da dire!”
Per non essere costretta a dargli ragione, lei, orgogliosa, lo distraeva con dei ricordi sui genitori morti, e poi cambiando di punto in bianco argomento, gli chiedeva se per caso fosse di nuovo impegnato con il teatro e gli ricordava che i suoi non erano mai stati d’accordo. Umberto ingoiava allora saliva, la salutava velocemente e se ne andava.
“Nonna, io sono Angelo!”
“Angelo? E fai anche tu teatro?
“No, cinema!” rispose secco, guardandola dritta negli occhi e scrutandole il viso. Un’altra, pensò: aveva la stessa pelle di sua madre, spessa, non unta, con poche rughe ben solcate, i capelli bianchi e radi che non nascondevano più la calvizie.
Dopo averla distesa sulla barella e caricata in ambulanza, Angelo lasciò Corrado alla guida. “ Cinema! Ah, e la fiction, la fai la fiction? Potresti col personale che hai …” e sottolineò la frase guardandogli il corpo, godendo della vicinanza nel poco spazio dell’ambulanza. “ Si! Potresti avere un ruolo in Vivere. Vivere! Quello dove c’è il medico che …” “Tranquilla, tranquilla!” le disse, e prevedendo di venir soffocato da una valanga di parole, le mise una mano sul braccio, certo dell’efficacia di quel gesto. Jolanda si rasserenò come ogni persona sola che si sente gratificata da un contatto e tacque. Angelo bussò allora con le nocche al vetro che li separava dalla cabina di guida, e fece cenno al compagno di rallentare, che la donna si era calmata e non c’era urgenza.
La studiava, apparentemente assente, fissando un punto sulla barella. Si, era della stessa risma di sua madre: ‘gli uomini son fatti tutti in quella maniera’. Aveva pensato spesso a come sua madre non avesse mai osservato che lui nel periodo delle elementari tornava a casa sempre felice dopo aver giocato con Mara, sua cugina. E lì, accanto a Jolanda, si ricordò del periodo militare e del caporale. Teneva tutt’oggi sullo scaffale in camera, una foto di loro due in divisa, con ognuno un braccio sulle spalle dell’altro. Sua madre gli aveva più volte chiesto, con tono duro, chi fosse quello; “ Un amico!” aveva sempre risposto. Mara invece, quella volta che era passata a salutarlo e lui era a letto con l’influenza, aveva guardato la foto e gli aveva sorriso. I nuvoloni e l’elettricità nell’aria non accennavano a dissolversi. Con la mano in contatto sul braccio di Jolanda, i pensieri e le immagini arrivavano a raffica. Alle medie aveva scritto in un tema sull’amicizia che amava Carlo; l’insegnante di lettere aveva segnato in rosso, accanto alla sua frase, che non poteva esistere amore tra amici, e aveva chiamato a colloquio la madre. Che aveva risposto: “ Avrà sbagliato parole!”. Ricordò anche che la professoressa, non tranquilla , aveva parlato di quel tema a Don Vittorio che lo aveva preso in disparte in una saletta dell’oratorio. Per dirgli che quelle cose, poi, passano.
Si scosse sentendo battere al vetro: Corrado gli dava il segnale che stavano entrando in ospedale.
Cominciava allora un circuito di saliscendi sotto passerelle che collegavano i reparti del vecchio ospedale rimodernato: discesa, sotto il ponticello tra oculistica e pediatria, risalita, discesa, corridoio vetrato tra chirurgia e ortopedia, risalita e arrivo sulla piazzola del pronto soccorso. Corrado uscì per primo per aprire l’ambulanza da dietro: “Eccoci arrivati, tranquilla, … tranquilla” disse meccanicamente, ma osservato lo sguardo assente di Angelo, lo tocco forte col gomito, per riportarlo presente. Di solito lasciavano l’ammalato in custodia all’infermiere di turno e ritornavano alla sede. Quella mattina invece Angelo sorprese Corrado dicendogli di riprendere l’ambulanza e di aspettarlo al bar dell’ospedale, che doveva parlare con un medico, per problemi della madre. Non appena Corrado uscì dall’androne dell’accoglienza, gli occhi di nuovo sbarrati sulle nubi dei ricordi, riprese a dirigere la barella, e senza fermarsi all’accettazione, continuò fino alla porta che immetteva ai corridoi che portavano alle caldaie. “ Tranquilla, ti porto io da un medico in gamba …”. Jolanda manteneva ancora il suo pensiero sul nipote Umberto e su quel contatto di mano che aveva ricevuto in ambulanza, quando si fermarono nel corridoio sotto al reparto di oculistica. L’illuminazione era quella fioca, di servizio. Angelo accostò la barella al muro mentre chiamava gli ascensori. Una delle porte si aprì ed entrarono in una cabina di luce. Non ragionava, la guardava fissa dai piedi della barella. Comincio dalla casacca; poi tolse la maglietta. Tolse anche una scarpa per bloccare la porta e le chiamate: nessuno sarebbe passato di lì a meno di un guasto agli impianti. Jolanda, senza accorgersene, disse d’un fiato: “ Costantino prende il sole nudo sullo yacht di Costanzo.” E si rivide: era caduta, dopo aver pagato e prima di uscire, al centro dell’edicola. La copertina della rivista Historya, la preferita dal compianto marito, in evidenza sullo scaffale di sinistra l’aveva attratta mentre leggeva avida del suo beniamino. La copertina riportava una foto del Duce a torso nudo che si mostrava a far ginnastica davanti a Ciano e ai Generali. D’un tratto il Duce assunte le sembianze di un’altra persona le si avventava contro e cercava di strangolarla con una stoffa. Era caduta forse svenendo, forse incespicando per lo spavento.
Davanti alla pelle dell’infermiere Jolanda, sensitiva da sempre, capì. Lo fissò e tirò fuori uno sguardo da oca, come quando da giovane nei negozi alla moda, dopo essersi fatta mostrare più di metà dell’abbigliamento, per uscire senza comperare nulla diceva che stava cercando un capo color glicine. Non viola, né lilla, ma glicine. Glicine!
“E allora chi è questo?” disse Angelo alterato nella voce.
“Potrebbe andare anche lei sullo yacht di Costanzo, in mostra con la bella gente” cominciò con il cuore che batteva a mille, “ se lo merita più lei di quelli là …. E’ meglio che ci vada una persona che ha dei valori, che sa cosa vuol dire fare servizio alla comunità (… le parole di Umberto!) piuttosto che gente senza scrupoli, che si droga e viene pagata per farsi vedere in discoteca …”
Angelo aveva ormai tolto i jeans e stava abbassando gli slip: la vecchia lo stava demolendo. “ Potrebbe ballare con la De Filippi, con un fisico come il suo. Chissà come sarà contenta sua madre per aver fatto un così bel ragazzo, un regalo a tutte le donne …”
Lui riprese e mostrò il sesso.
“In quante le fanno la corte? Se fossi più giovane gliela farei anch’io; ma lo sa che ai miei tempi ne ho corteggiati tre, tutti pezzi d’uomo come lei, ben messi in tutto … “
Nudo davanti alla donna, si girò e le mostrò le natiche. Poi guardandola da sopra la spalla, pieno di rabbia, disse di nuovo: “ E allora chi sono ?”
Jolanda sentì di non avere più scampo e non cercò altre cose da dire. Angelo rovistò tra gli abiti tolti e si avventò sulla barella. Le butto sul viso la casacca, gliela tenne sulla bocca con una mano, con l’altra gliela premeva sulla gola, le ginocchia nude bloccavano le braccia, la pelle lacrimava sudore sulla schiena e sulle natiche, il sesso schiacciato su suo sterno, la voce rauca per la gola contratta che continuava a ripetere: “ Chi sono? Chi sono mammina, eh? Chi sono???” Durò poco: il cuore di Jolanda non resse ancor prima dei polmoni senz’aria. La sentì cedere e abbandonare le forze. Tornato al pronto soccorso parlò con un infermiere che lo aiutò a spostarla su un’altra barella: “Era tranquilla fino ad un secondo fa ” disse, fingendosi seccato, con una voce metallica e gli occhi che evitavano quelli del collega, “ e adesso sviene! L’ho caricata all’edicola: era in confusione … Legge troppi giornali!” Uscendo con il respiro corto, si scontrò sulle porte a vetri con un uomo che arrivava di corsa. L’urto lo scosse, mentre andava incontro al cielo grigio: un giovane biondo, occhi scuri, avanzava trafelato. Gli ricordò il caporale della naja. Si sistemò i jeans sotto la casacca e si fermò apposta sulla porta per ascoltarlo e sentire dal tono della voce se fosse del quartiere, mentre quello parlava al vetro della ricezione: “ Cerco mia zia … l’hanno portata con l’autolettiga … mi hanno appena telefonato dall’edicola di piazza Garibaldi perché era caduta”.