Mario Piticchio
Poesie
La primavera
Beato dormia al soffiar del vento,
che non sentia al dì alcun lamento.
Al venir del sole ombreggiar non potia,
per fiori e foglie che ancora non avia.
Goder volevo al baglior delle stelle.
per assonnar le muse ancor più belle.
Ma mentre gongolavo nel mio gioire,
il brillar di una luce abbagliò il mio dormire.
Al saper domandai il suo venire,
che un suon di note rispose al mio dire.
La primavera son al tuo cospetto,
venuta a risvegliar il tuo diletto.
Germogliar dovrai all’intonar del canto,
che la natura fiorir sarà d’incanto.
E nell’ispirar quel cantico d’amore,
gemme e fiori fluttuan dal tuo cuore.
Nell’ascoltar giulivo con stupore,
risvegliar si volle con ardore.
Infoltir volle il giovane alberello,
nell’attesa di veder gioire il suo baccello.
E da quel dì che fu per la natura,
la primavera giunge all’apertura.
La formica
Nel rievocar il tempo del fu passato,
esaminar dobbiamo l’era del creato.
Giunta l’ora dell’essere vivente,
lo sguardo Suo vagheggiò a dir silente.
Nel coniar del peso creò l’essere venuto,
tra il voler di Lui e l’amor dovuto.
Irradiato fu nel donar la vita a colui possente,
che sol granelli si posaron al suo sguardo ardente.
Elaborar volle a quel dir venuto,
che esseri non potea il Sommo Creato.
La formica ispirò il suo ben dare,
tra l’amor di Lui e l’essere d’amare.
Il giungere della formica con tanto amore,
appagò il Suo desio da Creatore.
Ma la piccola venuta viver non potea,
per la forza sua che allor non avea.
Idea gli balenò per ripagar l’errato,
che forza e possente le fu donato.
Così da quell’attimo irradiato,
trasportar può più di quello che gli fu dato.
Papà
Risvegliato fu al venir di una stella,
al cantar sublime di una candita ancella.
Il cor suo si aprì nel sentir la musa,
all’invocar quel nome che qui non si usa.
Zeus chiamato fu quel dì fuggente,
nel portar sul colle il pargolo ascendente.
Ma il desio del dio venerato,
papà lui disse di voler essere chiamato.
Gioiron le muse al sentir papà,
che per lunghi dì danzar vollero nell’aldilà.
La musica s’intonò così cocente,
che sulla terra echeggiò in manier sovente.
La dea supplicata fu quel dì,
da risvegliar tanta festa anche qui.
Così da quel giorno che fu,
i papà festeggiati vien sempre di più.
E nel ricordar quel lieto evento,
Auguri giungan ai papà con sentimento.
Orizzonte
Il finir del tempo del giungere dell’ora,
lo sguardo suo si posò su chi decora.
Irradiato è al dir dell’apparir,
che striatur di luce s’intonan al fluir.
Aleggiato è il cantar d’uccelli,
che il suon di lui s’inonda al venir di galli.
Confin dell’era svegliato fu al rievocar del dì,
che l’orizzonte posar si volle proprio qui.
Color lucenti si adombrano al suo venire,
tra il gorgogliar dell’onda e il suo ire.
Oh Musa! Che sfolgorata sei all’orizzonte,
echeggia il tuo cantar all’imbrunir del monte.
Sfavilla il lumin che brilla al suo venire,
per ritrovar l’amore al sorgere del predire.
E se il ciel posar si volle sull’essere infinito,
ammirar dobbiamo l’orizzonte allor svanito.
Mamma
Donna! Oh donna dell’amor divino,
un cantico di uccelli intonò il tuo cammino.
Beata fosti dal dì venuto amore,
da donare al mondo il nostro cuore.
Esseri noi siam a dire il vero,
dal venir nostro dell’anno zero.
Amati siam al tuo volere,
che dell’era nostra dobbiam godere.
Mamma parol del dire del tanto amore,
eterna sei all’accudir col tuo calore.
Sublime è il rievocar del dì venire,
che il baglior del tempo è da predire.
E se cotanto amor da lui ti fu dato,
grazie mamma per ciò che ci hai donato.