Marzia Spinelli - Poesie

“Fare e disfare”:
In morte di Luzi e altri

Cosa possiamo dire
noi del ventunesimo,
quale fulgida variante
che non sia l’infima radiosità
del sole d’altri:
un raggio di tomba
era l’unica grande sera.
La corda del millennio s’è smarrita:
la preda è la luce,
la stessa emoglobina che veste la memoria,
la sillaba braccata,
l’identica goccia di una lacrima.


Cardiopoetica

Ha il polso bradicardico d’un demone fanciullo
il cuore disordinato del poeta.
Pulsa nel caos del mondo e fibrilla
e resta bello. Va alla morte
come il suo migliore estimatore:
<<Vieni >> le grida >> il salto eterno sarà mio.


Come addii

Non hanno mai fine le parole degli addii,
le vorremmo perfette come sembravano le cose.
Parlavano ai giorni,
sapendo quanto imperfetto l’avvenire.
Parlano ancora
sciupate in un via vai frenetico,
teso l’orecchio all’oblio.


 

Anni ‘70

Non hanno più colore i morti dei nostri anni giovanili,
le bocche rosse e nere di fragole e ciliegie
anche noi siamo stati potati …
vestiti come fossili, né morti, né redenti
non siamo nati liberati, solo figli d’un salto benefico,
solo figli dovevamo restare
come ultimi d’una bellica coda,
la calamita di tutti gli errori
anche noi tra i segnati del secolo
e s’è capito ormai il sogno più incauto,
essere noi a liberare
i figli e anche i padri.


A domani

Non so il futuro
né l’abito che indosserò domani.
Non so la fine,
se è concessa una sosta,
tanto per pensare.
Ci sarà sempre l’incanto
della mano più cara che t’afferra,
della voce che sussurra di notte
e ringrazia il mattino.
Non so se reggerà il cuore
all’azzardo della notte,
se mi proteggerà la carezza
che sorprende l’alba.
So che il domani ha questo nome.
E il sentiero declina,
segue la curva e la discesa piana.
Nella macchia mediterranea vorrei
declinare come piccolo arbusto,
sviando rovi che hanno graffiato il cuore,
stinto vermiglio dalle more,
bianche pulite le parole.


 

“Nelle tue stanze” a Lina, mia madre
IX
Negozio di pietre

Tace il pianto
sigillato tra le pietre
dove la figlia padrona fuma e vende quarzi,
dice buon giorno come te
la madre quando arriva, una scossa della testa
è la risposta all’offerta della colazione
alla figlia che non la vuole, ora che la madre è al bar
dico alla figlia – sarebbe piaciuta a mia madre questa collana –
ma lei tace, si volta con un sospiro , ora che la madre è tornata
va a sedersi da padrona la figlia
in faccia alla madre che accende una sigaretta e dice grazie come te
nell’immobile silenzio delle pietre
guarda la figlia darmi il bancomat,
ha capelli come i tuoi questa invisibile piccola statua,
i gesti lenti e l’assenza composta,
digito il pin con dita di onice
alla figlia padrona che annuncia saldi
volevo dare un segnale,
ma solo per me la coincidenza, la pena, le pietre da sgranare,
in un qualunque mattino caldo
d’anniversario.


XVI

Sogno acqua, tormenta di gente
che vaga da buio a buio,
corpi, mondezza, e un’infinita pioggia
di rami, di edere mozze.
Tuona dolce la voce di mio padre:
svegliati figlia,
tengo il tuo respiro nell’incavo della mano.


 

XX

Siede il Novecento
su la tua schiena curva
di superstite
air bag di bombe e di rese
era cibo la Storia nel guscio
chiaro dei più limpidi ricordi
la guerra, il matrimonio, la mia nascita
il diario comune di ragazza
nell’infinito sbando dei venti
e le tempeste
l’arco minuscolo, la parabola,
il perimetro del mio secolo.


°°°

Natale 2016

È un Natale che non passa,
fermo là ad Agosto, tra le macerie e i morti,
le tante guerre sparse, fermo
il cuore dei poeti amici
tra l’estate e l’Inverno. Natale d’attesa.
Natale povero, forse Natale vero.
Arde di luci al neon, cataste cinesi
di addobbi e alberi finti. Natale che muore,
come il Paese. E vorrebbe vivere, vivere
vita di stella, cometa giusta, ferma capanna.
Casa di tutti.


 

Trincea del quotidiano

Ogni giorno vesto l’armatura,
porto anche l’arco, le frecce, lo scudo,
indosso il casco come l’elmo di Scipio ,
e qualunque copricapo, variabile come il tempo,
a proteggere la testa, così instabile
riecheggia e suona ogni dì una musica nuova
scompigliata e dilatata melodia di accadimenti,
ordinata cabaletta di ricordi, stanzetta di memoria,
sempre a passo lieve e piè veloce in un dove presente
ma lontano, umido e vischioso, dove perdo
ad ogni semaforo dell’armatura un tratto
e mi chiedo dove sto andando, dove vanno
tutti gli elementi, tutte le particelle della vestitura,
granelli che frantumano sotto i ponti lungo fiume
o fondigli a disciogliersi in mare,
a sfaldarsi in una risacca solo mia,
ma è di tutti la stessa domanda
se qualcosa di noi si salva dalla dimenticanza,
se in quel dopo a disperdersi a terra
c’è pace.