Matteo Mecozzi - Poesie

Sono voce.

 

Sono voce:

dritta, muta e veloce.

Sono urlo,

del precipizio io sono l’orlo,

in me, non troverai alcun sentiero, e

gelo,

al sol pensiero,

del mio mestiere averne il velo.

Sono sussurro,

al mio suono

con: piuma, burro

e quel pane buono:

io sveglio, tingendo il cielo d’azzurro;

io addormento,

fino a quando non si sente più lamento.

Sono sottovoce,

di tutti il più veloce, e

nascondendomi nell’orecchio,

con: piatti, posate e bicchieri

il mio scherzetto apparecchio,

con garbo e circospetto;

perché si sa: il mio, di tutti i mestieri,

è l’unico perfetto.

Sono alta voce,

il mio cuore palpita feroce,

tutti devono sentire

quello che ho da dire;

è veramente importante

e non ho che qualche istante.

Tutte le altre voci devo sovrastare,

nessun suono mi deve bloccare,

così che in ogni stanza

la mia musica potrà fare la sua danza.

Sono gesto:

dei miei discorsi,

non sentirai né clamore,

né rimorsi,

ma solo tremore

di tutti i trascorsi.

Di tutto questo

non vedrai alcun testo,

ma se farai attenzione,

capirai ogni mia intenzione.

Sono lamento,

il mio sguardo vedrai spento e

tra tutti quanti, il mio

dovrebbe essere il miglior portamento.

Io

non mi accontento

del mio cuore lento,

pompare dovrebbe come son tante le stelle,

invece son qui, ancora in bretelle.

Sempre secondo

sono in questo mondo,

ma come? Il mio è più profondo!

Capire non sanno

Il mio gesto capace

e mai sazieranno

il mio cuore vorace.

Sono pernacchia,

la mia vita è una pacchia,

mi burlo di tanto in tanto

di chi mi ha compianto.

La mia lingua ama il tremore

ma non lo fa per ore,

infatti,

dura solo pochi istanti,

e ne sentirai solo il rumore,

ma di chi sia stato

non avrai sentore.

Sono pianto,

lo senti il mio tormento?

un mare salato

scorre sulle guance

e inonda il mio palato.

La mia tristezza

Non è per indelicatezza,

ma per i lutti, o

se un albero non da i suoi frutti.

Adoro i bambini,

quelli più piccini,

mi vedrai in loro

quando avranno fame,

sentirai che bel coro,

e non vogliono certo il pane!

Sono hic-ghiozzo,

io ho hic fiato mozzo.

Questo hog-bbalzo non trattengo,

magari un pochino bhev-endo,

o gonfiando un bel pallhog-ncino,

oppure trattenendo il rhec-spiro,

prov-ehc- rò fino ad avere un cap-ohcgiro:

hg

hg!

Uffff-hic!

Niente da fhac-re

non mi vuhg…ole lasciare.

Vedrai ahcllora che con huc! bello spavento

Il tormento vhec-drai spento.

Sono linguaccia

e non mi faccio vedere in faccia.

Tutti, almeno una volta

hanno suonato alla mia porta;

sono irresistibile di questi tempi,

spopolo anche nei selfie.

Adoro sfogarmi

con chi non sa mettersi nei miei panni,

così mostro le mie armi,

ma se mi beccano son danni!

Sono fischiettio,

me ne vado per conto mio;

cammino in tranquillità

per tutta la città.

Mi potrai sentire arrivare,

sapendo che con me

potrai sempre parlare.

Io, fretta non ho

e me ne vo,

col mio mantra,

per una strada oppure quell’altra.

Prediligo le sedie a dondolo,

magari su di un porticato,

che, come un pendolo,

mi tengono impegnato.

Sono risata,

mi sentirai se stimolata.

con il solletico leggero delle dita

mi vedrai scoppiare in men che non si dica;

con una smorfia al momento giusto

mi sentirai ridere di gusto.

Anche una piccola battuta certe volte

lascia il segno sulle porte;

se farai uno scherzetto

riderò un po’ di petto.

Ci sono poi volte

che non sono disinvolte,

e dove dovrebbe esserci pianto,

mi vedrai arrivare di soprassalto.

Sono sbadiglio,

lavorare proprio non voglio,

preferisco oziare,

senza mai la giornata iniziare.

Mi puoi notare,

la mattina,

quando spalanco la porticina,

con la mano a parare

tutto ciò che potrebbe entrare;

alla sera ugualmente

non vorrei fare proprio niente,

ma mi tocca incentivare

il dormir e il riposare.

Sono sospiro,

io solo rospi respiro

e macigni,

grandi quanto quei ghigni

che mi premono

che mi seguono.

Sono pieno di parole,

tutte ferme nelle gole,

suono non fanno

è questo il mio affanno,

ma piano piano ed un bel piccone

potrò liberare questo mio groppone,

perché sono stanco di ingoiare

queste luride paste amare.

Sono faccia buffa,

mi vedi, non sono mica truffa!

sono stato creato

per esser portato

davanti ai bambini,

e non solo quelli più carini;

a tutti mi rivolgo nel momento del bisogno:

porto un sorriso

quando prima c’era una lacrima in viso.

Sono mormorio,

il mio suono è come fruscio,

di mille giunchi tutt’intorno allo stagno,

quando speri di sentire un compagno.

Gremisco i bar e le piazze,

e con occhi felini scruto dalle terrazze;

come fumo che tutto invade,

vago in giro per le strade,

con quel sentimento che mi pervade:

di sapere e raccontare tutto ciò che accade.

Questo frastuono difficilmente si regge

è lo stesso che farebbe un gregge,

ascolta il mio consiglio:

da bravo pastore,

non fare il coniglio

ed usa il bastone.

Sono canto,

il mio vibrare è incanto,

per chi mi sente

con le luci spente.

Io non le canto

bensì le racconto,

in questo campo

che è sempre in tramonto.

Vivo per l’emozione,

è la mia convinzione

e di questo non mi pento

ma mi sento un po’ spento

quando dire mi sento:

oggi sei solo occasione

per far soldi con la passione.

S-so- no b-b- bal-be- ttio,

ho l’acc-c- cent-to ch-che è tu-t- tto un b-brio…

N-non ne s-s- sent-tirai c-com- e il m-mio.

Non tr-trat- ttengo l-l- l’emo-z- zione

E qu-qu- qualche sm-smo- smorfia è la m-mia c-co- cond-diz- zione.

Fa-fa- c-ccio m-moolta f-fatica

ad es-esp- p-primere la m-mia vita,

ti p-p- prego ddi essere p-paz- paz-ziente

e di t-t- ten-tenere b-bene a m-men- t-te

d-di s-ssegu- ire il m-mio t-tr- trratto

f-fiinnc- ché nn-on av-rai un c-ccont- tt-tatto.

L-la p-pr- prego n-non alz-z- zi il p-p- pen-penn- n-acc- chio

E p-er- dd-oni l-lo sp-sp- sput-tt- sputacchio.

Sono piagnucolio,

è sento tutto un formicolio,

dalla gola in su

perché sono un po’ giù.

Volevo:

il giocattolo, la cioccolata e andare al parco,

ma in cambio non devo:

fare il bravo nel dì l’arco.

Nel suon del lamento

potrai udir qualche commento:

non è giusto, non voglio;

se farai attenzione

continuerà l’imbroglio,

con più convinzione

e così continuerà

finché quello che vuole otterrà.

Sono sorriso,

l’arco più bello di tutto il viso,

niente a che fare

con l’arte secolare,

sono più come:

una bella giornata al mare,

ma anche con me

vittorie puoi trovare;

che siano di lavoro

o di chi ha imparato ad amare,

è sempre bello farlo in coro.

Se mi trovi davvero

capirai che

sono la cosa più bella del planisfero;

nessun satellite mi può scrutare,

nessuna “x” nel mondo intero

e in pochi te lo sanno insegnare.

Se qualcuno trova questo tuo tesoro,

tienitelo stretto perché varrà oro.


 

Sono tabacco

 

Sono tabacco,

di rabbia trabocco,

perché vivo un affronto

che or vi racconto.

Sfrigola la fiamma,

si fomenta lungo tutto il diaframma,

mi incenerisce

e vi inaridisce,

ogni interiora

il mio sapido sapore assapora.

Questo mio amore assoluto

dura solo qualche minuto,

poi mi gettano

e mi pestano

come un vile bruto,

solo per ascoltare

qualche diceria popolare.

Sono sicuro, lo sento

il mio scopo non è morir lento;

sono pianta affranta che non si vanta

per il mio essere che v’incanta.

La mia meta non è bruciare

come per voi, col fumo, soffocare,

infatti,

so anche curare:

la nausea alleviare

e magari l’ebola debellare.

Nasco germoglio

ma alla fine tranciato nell’orgoglio,

non accetto questo imbroglio!

Tutto solo per riempirti il portafoglio.

Mi accendi con gas naturale

che aspiri da una profondità abissale;

tanta fatica

per perdere la vita.

Ascoltami prima che termini il tuo viaggio:

sei ancora in tempo per fermare questo oltraggio.


 

Mi sento

 

Mi sento

come un lampione

imprigionato nel freddo metallo.

Anche da quest’altezza

solo pochi metri posso illuminare,

sempre la stessa

pezza

di strada,

di questo abito

che mai mi copierà.

Perché sei qui piantato?

Chi ti ci ha messo?

Anche il polline può scegliere

come gestirsi il vento

e magari arrivare dove vorrebbe stare.

Perché non posso scegliere cosa illuminare?

Questa è il tuo pezzo di strada,

di una ancora più lunga.

A fianco a te

molti altri col tuo destino,

molti altri sguardi gialli

così caldi,

mai nessuno di essi sarà

così vicino a te

da confortarti.


 

Guardo

 

Guardo

la luce delle stelle

come riflessa nei tuoi occhi,

i tuoi tanti occhi blu.

Seduto su questa finestra

aspetto,

un segno, una cadente, una tempesta.

La luna non mi parla,

mi dilania con la sua falce,

dritta al cuore.

Ripetute volte ho creduto di morire dal dolore;

di giorno non ho pace per il tanto lavoro,

di notte non mi do pace per il mio destino

e attendo,

finché non mi viene il tarlo:

vola!

Il rosso biplano mi attende da un pezzo

e io mi sono ancora perso

la morte.

Abbraccio la paura di cadere nel blu notturno

ed è proprio questo che mi da forza;

il non aver più sentimento

fa abbracciare anche il peggiore

ed in quel momento,

solo per quel breve istante,

diventa la cosa

che più attacca alla vita.

Se questo vuoto è così bello,

così profondo,

così onda tonante sugli scogli,

potrei vivere anche solo per lei.

Per sempre

fammi diventare me.


 

La gazza ladra

 

Vola sui tetti, nelle piazze e nei giardini,

ovunque se ne vanno i cittadini;

vola leggera e senza farsi notare:

la gazza ladra sa aspettare.

Scrutando cerca il diverso,

magari gioielli che qualcuno ha perso;

cerca tra i rami, l’erba e il fogliame,

non cerca né vermi né insetti, ma: oro, argento o rame,

e pezzi di vetro che luccicano al sole,

lei si prende ciò che vuole.

Ai piumini favole non racconta,

e nessuna ninna nanna lei canta;

ai suoi piccoli che ormai san volare

e che tutto questo, purtroppo, dovranno tramandare:

il nido, il pane nulla è importante,

come il ciondolo che fa il cuore scalpitante.

Se tutto questo già vi segna

e molto di lei vi disdegna,

provate a pensare:

questa madre il conforto non sa insegnare.


 

Assomiglio

 

Assomiglio,

Al singolo filo d’erba,

grande quanto un bisbiglio e

questo un po’ mi turba

ma non me ne meraviglio;

cresce tra le erbacce di ogni tipo,

tutte,

che cantano il proprio mito,

si tengono la vita ben strette

contando ogni secondo delle lancette.

A primavera tagliato

alla giusta altezza,

tutto in un fiato:

addio mia cara brezza.

Coperto

con tovaglie bucherellate

che di cibo mangiucchiato

ne fan cadere a tonnellate.

Poi calpestato, soffocato e col sole negato,

dal grande albero lì da poco piantato.

Invidioso:

del fiore

che col suo tepore

scalda amanti, bambini,

e chi è senza confini;

e di quei fili che crescono nell’asfalto,

spinti sempre da chi sta più in alto,

con radici:

la parte che più li rende giudici,

incalzando con quel rito

che non tiene conto di nessun merito conferito.

Neanche in gruppo

si possono unire,

quasi ceppo

la terra a ricoprire;

l’hanno tutti estirpati

come tonsille,

ancor prima che si fossero alzati,

per paura di scintille

che a poco a poco,

il fuoco,

potevano far scaturire

e il giardino incenerire.

Il filo d’erba vive tutto questo

ma non pensare che finalmente sia a posto,

perché senza preavviso

potrebbero: sradicare

e arare,

e sol per capriccio:

piantare,

con nuovo terriccio,

un giallo narciso,

molto più bello da ammirare.


 A mio nonno Sergio

 

Chi sono?

Sono un soffione

Nel bel mezzo

Dell’occhio del ciclone.


 È una giornata da pioggia

 

È una giornata da pioggia, con nuvole e aria da pioggia, eppure non cade una goccia.

Il tempo sembra fermo in queste giornate, guardi fuori dalla finestra e non si muove niente, né alberi né colline;

sembra di essere in un dipinto, fermo e perfetto.

Mi volto verso la stanza, è tutto immobile.

Il letto è sfatto e ormai freddo, i vestiti appena lavati sulla scrivania, il pavimento non ha neanche un granello di

polvere. Limpida e ferma.

Entra la madre, muta, mi taglia i pensieri con quell’odore acre di MS.

La sento, l’ha appena accesa.

Inizia a rifare il letto portandosi freneticamente con sé quell’incenso portatile.

Le do una mano.

Adagiamo le coperte una sopra l’altra in modo millimetrico; deve essere tutto perfetto.

Le cose importanti.

Finito. Anche se sembra mancare qualcosa.

Non ci penso e torno alla finestra.

La apro e allungando la mano sento che ancora non piove. L’aria è calda, strano.

Gli alberi sono immobili tra le colline. Vedo il mare in lontananza, una macchia grigia come il cielo, si può

distinguere solo dai pochi pescherecci.

Come fanno a distinguere le onde del mare dalle vaporose nuvole?

Entra il mio amore in camera, è bianca.

Mi avvicino; l’abbraccio. Porto una mano tra i suoi capelli, neri, impeccabili.

La aiuto a stendersi, le tiro su le coperte baciandole la fronte. È calda.

Entra il padre, sbuffa, in braccio porta un’anta dell’armadio, si scusa, passa e inizia a sistemarla. Tolgono le ante,

le colorano, fingono. Non basta un colore. Non basta fingere. Non serve.

Faccio il giro del letto, mi siedo, tolgo le scarpe.

Intanto ha finito con l’anta, ne mancano ancora tre.

Mi stendo di fianco a lei, guarda il vuoto in ombra nella stanza. Le passo un braccio sotto la schiena e uno sopra,

evitando la pancia. Mi tiene sul suo petto, come una mamma mi culla. Un petto caldo e calmo; non dice niente.

Mi bacia la testa.

Le bacio il collo per ricambiare.

Le farfalle viola del pigiama scivolano sul seno; era quasi pronto.

L’armadio è finito, la porta chiusa, rimaniamo soli.

Con le lacrime agli occhi mi alzo e la guardo, piange anche lei.

“Scusa” mi sussurra. Non ha colpa.

La abbraccio e con una mano le sfioro la pancia. Vuoto.

Inizia a piovere. Finalmente, non si piange mai bene da soli.