Michele Ferrone - Poesie

Egere

Dovere verso te stesso
E nient’altro,
Ordinario interesse amoroso
Che si sostanzia in amplesso per altro.
Cosa puoi tu darmi, donna ordinaria?
Che mi faccia viver il movimento
Brusco e violento
dei sentimenti?
Nulla,
E rimango sospeso qui in aria..
Eppur si muove
Il cor insieme alle altre stelle,
Come il passar delle stagioni
Ed ogni cosa che ripeter suole.
Ti nutri di te stessa,
Fiera immortale e parassita
Nel mio petto, fai male a tutto ciò che vi è connesso.
Ti chiamerei amore, canterei le tue lodi
Lo farei se solo sapessi cosa sei e dove poggi,
Vi rivelo che in tutta sincerità ad oggi
Mi è capitato di viver la confusione dei sensi e l’offuscamento di intenti
Come baie notturne a fari spenti
Dettaglio sicuramente invariante per i “non vedenti”.

Con la Venere che perse onor e ragione per me
Fu forte intenso e nutritivo,
Con questa sconosciuta risponderei a domanda se
Potendo ne sapessi il motivo.
Ragiono scrivendo, l’ennesima speculazione nelle mani del tempo
Ma già so che questa notte dormirò pensando,
Ancora una volta triste e felice,
Che bello sarebbe salir in superficie!
Che bello sarebbe liberarsi di questa errata matrice!


 

Bios, Eros e Thanatos

Ed entrai nella locanda,
Lungo viaggio mi pesava ,
dentro la mia lurida sacca
Portavo solo ciò che mi interessava:
Un libro e del denaro
Mentre il tempo passava…
Mi affrettai al bancone
«Un boccale del novello, pane e formaggio»
Dissi al proprietario, quel grande omone,
Che mi servì in quattro e quattro otto,
Finché avvenne ciò che è oggetto della mia speculazione.
Una donna si avvicinò alla sedia
E a me si accostava,
Pensai «cosa vorrà tal donzella
Che lì sostava»
Non chiese niente,
Per mezz’ora almeno
Cambiò posizione sulla sedia,
Sguardo tutt’altro che irriverente
Pensai «che fa questa donna che si tanto si tedia»
La guardai ed era bellissima
Fuori da ogni cognizion della mente,
Venere non era, figuriamoci!
Non attirerebbe l’uomo che sente,
Non fu forse il suo corpo ad esser divino
Semmai lo sguardo specchio dell’anima a cui mi sentì vicino.
Mi feci forza e le chiesi se le potessi offrir qualcosa,
Si girò, mi sorrise
E mi disse «non sia cosa
Grazie» ed il mio cor là smise
Di respirar per lo cervello.
Vorrà qualcosa ma forse non osa
Perché non sa, perché non vuol quello.
Ove mai ciò fosse possibile
Mi osservava se non la guardavo
Un sospetto, per questo, insostenibile
Che provavo quando mi giravo,

Mi dissi «or glielo offro»
E le feci portar del vino e cibo cotto,
Non degnò quel piatto nemmeno di sbieco
Nonostante glielo avessi fatto più sotto
Non lo vedeva, continuava a fissar me come fossi cieco
E mi sorrideva timida
Come fossi meno di un eco.
Le chiesi se volesse altro
E non rispondeva,
Dubbioso mi rivolsi d’altro canto
All’oste che dietro il bancone sedeva
E gli chiesi
«Mi scusi ma non le par ignava
In sguardi e atti esta donna,che a me par che poeta decantava?»
E l’oste replicò «cavalier saffico
Questa donzella non v’è
Non mi sembra ci sia mai stata,
Forse non l’ho vista ma mi chiedo il perché »
Gelò il mio sangue, feci per continuar
E intanto mi volsi
Impazzì a veder quanti discorsi
Mi danzaron in testa quando mi accorsi
Che solo il nulla coi miei sensi colsi.
Lasciai i miei soldi sul bancone,
Non contai per nulla, uscì fantasma
ed errai stranito da cotal situazione.
Ho visto d’amor lo spettro
Nato morto, così ancor le ore passa
Cercando di uscir dallo stato in cui è sorto,
Creando un concetto di vita distorta,
Da anni lasciando ogni misera anima morta.


 

Tu che giri col cuore trafitto…

Tu che giri col cuore trafitto
e non accetti cure
lasciando ognuno sconfitto
silente al tuo nobil cospetto,
fatti aiutare dalla brezza
che sempre attraverso tempo e spazio
parte sì forte da quel di Caserta,
che il desiderio è di cingerti
e non lasciarti più,
che il mistero è riprenderti
e non lasciarmi più.


 

Morirem su strade lastricate di paura

Morirem su strade lastricate di paura,
Chi le avrà superate e chi no.
Sarebbe meglio viver soli
Per così non rincasar per colpa d’altri.

Io non leggo più quell’armonia
Quella spontaneità
Che sempre mi aveva guidato.
Il mondo è un continuo tradimento
Non puoi far nulla che ti rovina,
Se sorridi in quel momento si avvicina
E fa in modo che capisca
Che è meglio che per te finisca.
La vita è un uomo geloso
Noi soffriamo per lui
Chissà lui quanto soffre…
Sfoga su di noi il rancore
Della sua esistenza,
Non lascia spazio a gioie
E mangia su di noi come vana ricompensa
Non credo alla storia del cupido
Che ti colpisce con la freccia dell’amore
Piuttosto io credo di aver capito
Che l’amor vien da sé ed è la vita
Che fa in modo che in breve tempo tutto sia sparito.
La mia storia è sfortunata
Cerco l’armonia e il bello massimo,
Forse questa strada non l’avrei sognata,
Se non fosse il mio spirito così grande,
Così forte, sempre in prima linea
Insomma
Il primo a morire.
Non meritate tutti voi questo sentimento
Che io vi dono tutto
E voi vi guardate attorno
Col volto distrutto.
Cosa cercate? qui ci siamo solo noi
E la vita è nelle nostre mani
Quel misero essere è solo più furbo
E noi solo più timorosi e umani.
Voi scegliete la sconfitta,
Perché la sconfitta si sceglie,
Io potrei mantener la mia anima invitta
Ma questo purtroppo non so…
Le vostre scelte mi riguardano
Mi influenzano
Le vostre paure mi sovrastano
E mi impediscono
Di vivere come vorrei,
Come la vita non vuole.

Allora cosa fare?
Se fossi coerente dovrei rimaner solo
Lasciar andare tutto
Per ritrovarmi unico e autosufficiente
Ma il mio spirito, umano, questo non può,
E allora fammi dire che se fossi davvero coerente
Il mio petto sarebbe dilaniato
Da quello sforzo di liberazione
Che è morte e razionalità.
Uccidetemi cari amici
Che io non ci riesco…


 Spirito verace

Che abbia senso non negherò
Ma tale storia che dal profondo mi colpì
Ora vi risvelerò qui,
Ancora forte e vivida, mai la scorderò.
Come essa vien fuori dalla mia memoria
Così i fatti si svolsero in siberico locale,
Tra fumi vari: dal camin, a quello di colui che sa osare
Sempre più intensi con l’avanzar della storia.
Esto manto viscoso mai mi permetterà di veder la luce
Ma so che sei lì a consigliarmi
Per poter rispondere a sguardo truce
E a colui che ardisce usarmi e accusarmi.
Parlavo della gelida storia
Fuor dal comune patir
Entro ogni racconto di vita e festa
Sempre presente, seppur non basti a capir.
Nel local che vi dicevo
Tutto spento ormai sedevo,
Solo ovvia question udivo mormorare
Ovvia eccome, se non per soggetto attenzion volli sollevare.
Donna dal sapiente aspetto
Inquadrante vita e auguri
Di futuro affrettato
Può sembrar folle, tutto già calcolato.
Non privai la mia testa del malessere
Ne godevo, come d’altronde sempre
Ma questo sadico lupo non vide mai situazion per smetter
Di straziar cor e testa
poiché la condizion di lupo amico apparve mesta.

Che roba è questa!!sei tu tanto accecato
Da tali pensieri falsi e bugiardi !!
Non vedi il pugnal nella tua stessa mano!
Non vedi l tuo stesso spirito urlare giustizia!
Non creder a tali storie, io ben conosco el cor: ne ho uno,
Egli parla male, ma mai mortifero giudizio creò in tutta la sua esistenza,
Sii tu saggio, ascolta il tuo spirito
Lor son due, quello vero e l’altro bugiardo,
«E io chi son?» Dirai.
Il loro mediatore,
Sii giusto dittator e morirai
Tranquillo col verace canto di chi più di tutti ti ha voluto bene,
Colui che urlava quando non sentivi,
Colui che mesto morirà teco
Colui che si straziava quando ti innervosivi
Colui che vede, sente e vive del tuo eco.
L’altro, bugiardo, è povera illusion
Di contraltare tu stesso lo crei
Ma mai fu tale cosa mala question
Più che altro sforzo sovrumano
Che forma l’invincibile, giustizia vuol si si fatta,
Logos esto paradigma segue
Topos che fin troppo spesso si vede.
La donzella senza senno,
Squilibrio non solo indotto
Le bastò un accenno
Per oscuro motivo scoprì ciò che aveva sotto,
Per poi non voler volere fare ciò che ha fatto
E far fare ciò che non voleva volere
Tal fu la confusion di quel del deserto
Esso mai appassisce come gli altri fiori
Se non quando decide, il come lo ometto
Ella scelse di attraccar ove non sa per lasciar lidi migliori
Tante cose potremmo dir di questa storia,
Ad esempio omo comun non ho nominato,
Ma sol questo rimugino:
Quando l’esser capirà di non star solo!?
Egli rifiuta l’aiuto di sé
Di questioni ne abbiamo uno stuolo
Non rifiutar il tuo perché !
E se incosciente rimaner vuoi fermo al molo
Non parlar col vago marinaio
Che lesto s’avvicina se ti interroghi sul volo.


 

La Luna e la Civetta

Mi stanco di girar sempre così
Unico orecchio che ascolta l’universo che parla,
Ma d’altronde dal contrasto esco più forte
Imparando ciò che c’è da qui fino alla morte.

Innocuo e altrettanto pericoloso
Volo fra ‘l grande manto boscoso,
La luna mi osserva, mia placida compagna…
Sa bene lei qual’è la disgrazia che m’accompagna.
Son gnoscente e inascoltato,
Per non so qual motivo, in questo modo, fortunato.
Urlo nel silenzio senza speranza
mi sto stancando,
comincio a piangere col tempo che avanza.
«Che vuoi gridar o nottola!
Giaci sulla spalla di chi più sa
e con la sua grande sapienza tutto sorvola
Questi non vedon destra e sinistra
Come puoi lor parlar di ciò che amministra»
«Sarà forse la luce della verità, o selene,
Aprirà gli occhi a codeste anime vaganti,
Sarà ciò a privarle delle loro pene
Sarà ciò a fargli sentir i più celati canti»
«Non patir mia cara amica,
Non lo far se vuoi che ti dica
Che tal speranza è vana e senza importanza,
La lor cecità è cronica ed ogni tentativo ammazza.
Ti dirò ,se non ti è già chiaro,
Che io splendo tutte le sere sovra le lande deserte e quelle affollate
Ispirando ammirazione e grande amore,
Ma quali di me son le cose amate?
Son io forse bella sol per passar le ore?
Sarà così ed ascoltami tu che puoi,
Son io possidente del più splendente colore,
Potrai dir ciò che vuoi,
Ma questo bel discorso su questo punto muore.
Non è stimato forse più un diamante
Di altra pietra di luce mancante?
Non son forse per lor semplice faro
Che oggetto di ricerca al sapiente caro?
Cercano luce poiché li attira,
Se potessero se ne appropierebbero
E anche allora cosa ne farebbero?
Sarà maligno il destino in tale gioco
ma raro è colui che vede lo spettro dietro il fuoco”
«Pazzo…solo questo sono
Che continuo a sentir del logos ogni suono,
Vedo ciò che l’altro non può
Parlo, ma l’altro non so…

Non sperpererò il mio tempo per questa gente!
Cadranno nell’oblio e terranno a mente
Che ciò che accadde, non san cos’è
E forse solo allora penseranno a un “perché”»
«O figlia ,tal luogo ti oscura,
Non sento ben le tue parole
Sarà la distanza o la voce insicura.
Dì ciò che vuoi ma ricorda:
Mai smetterai di dannarti l’anima
Griderai finché avrai voce abbastanza
Ma non sarai tu a svelar il silenzio
che tanto affligge codesta danza»


 

War Cry

Cercavo un senso in questa vita,
Ora non riconosco più guadagno in tutto ciò,
Vesto l’armatura guardando dove è disunita,
Sguaino la spada pensando a dove colpir non può.
Mi chiamano per la battaglia.
In mille migliaia affronteremo la morte che si affaccia
Sulla piana che solo in lontananza si staglia,
Metto l’elmo e penso a quale sia la mia faccia.
Cosa vedrà l’oscuro nemico?
Alto come un titano
Si innalza sull’ultimo sito
Col suo valor ch’è disumano.
Cosa vedrà l’accecante ingiustizia?
Bassa come ciò di cui fine veder non puoi
Pervade tutto e colpisce fino da dove essa inizia
Per lei non siam altro che mandria di buoi.
Uscì dall’accampamento seppur non tromba
Né grido invitante sentì
Alla guerra per la lontana tomba,
Lì dove ho sentito che per altri finì.
Mi avviai allo schieramento
Compatto e sicuro
Pronto ad ogni avvicendamento
Presente e futuro.
Ricordai l’addestramento :
«Se ansia ti coglie sul momento
Tieni ben presente tal memento
“A destra e a sinistra troverai appoggio da un fratello”»

Cominciò la marcia verso il campo
Ma fu subito corsa come per farsi largo,
Dubbio lasciò ogni mio arto
Pronto a battagliar come la vecchia Argo.
Vedemmo il nemico salutar con luce riflessa
Avvicinarsi a noi in linea retta,
Non saprei dir come ma non sempre la stessa
Fu la posizion del mio animo o di quel che ne resta
Sconvolto fuggivo incontro al nemico
E senza voler fui a 100 passi da quello
Come se nel cercar della matassa l’intrigo
Tempo non fu più per pensar lo stesso.
Il momento determinante.
Or ora si vedrà se son uomo
O vile essere, natura errante fuor dagli schemi
Uomo supremo tra tutti i Demi
O che alle future genti non dia suono.
Muoio ripensando a quel momento
Ancora e ancora senza spiegarmi
Dove eran sparite le mie armi
Dov’era del mio popolo l’accento.
Guardai, come l maestro disse
A destra e a sinistra ma nessuno più mi affiancava,
Non ragionai sul perché, ne piansi
E intanto la fatica mi fiaccava.
Assurdo! Non fui confuso sul da farsi
Certo fui del ragionamento da usarsi,
Purtroppo triste fu la conclusione
Senza rancore, mio caro amico, non c’è soluzione.
Mi fermai lì nel bel mezzo di Platea
E guardai in cielo
Ma Platea non era, al massimo Cheronea
E lotta non fu, ma vile strage…
e mi siedo…
La pioggia batteva su di me accarezzando l’armatura che mi tolsi
E togliendo l’elmo bugiardo come fossi
Ironicamente fiero di tal sconfitta di tutto l’impero,
Dell’umana stirpe e di tutto il clero
Contro la gigantesca armata di ogni sentiero.
Non puoi sfuggir né ripartir tale potenza
Essa colpisce ugualmente chi con virtus e senza
Affronta il cammino senza ristoro e mensa,
Il grande nulla della vita l’essenza.

Ciò che accadde poi non crederai
E son sicuro
Che mi calpestaron come se mai
Fossi stato lì, meno di un muro
Rimase di me corpo esanime
Come sempre,
Ancora una volta essere senza un futuro.


 

Il foglio bianco

Tutta vita corre
Per chi a voler ne occorre,
Tutto te sembra aspettare
Come libro già scritto che ti vuol accontentare.
Le mura crollano
E i nemici sfiniscono,
Finanche il vuoto sappiano
Che si illumina se capiscono.
Se tale è l’essere d’esto mondo
Mai più grande offerta fu concessa
Che libertà nel profondo
Di far aggiunta di ogni bellezza omessa.
Via gelida mente, canto da solo
Ti scaccio da me, così freddamente
Perché son solo sì, ma caldo come il suolo
non per il sol che batte, ma energia che dentro combatte.
Questo foglio bianco mi inebria,
Ed ogni sorso di vino
Ad ogni sospir di sigaretta
Mi eleva lì vicino a colui che indica la via retta,
Non sono tracotante questa è creazione,
Perché se siamo miseramente lasciati qui nel vuoto,
Senza riferimento per alcuna delle nostre azioni,
È pur vero che per nessun principio e modello dobbiam compier voto.
Dunque siam massimi disegnator
E non solo questo in verità
Siamo finanche critici del nostro stesso quadro
Perché possiamo far neoclassico o metter tutto a soqquadro.
Questa luce mi rapisce
E massimo amplesso, per chi non lo capisse,
Percepisco dall’amore cosmico
Che io stesso creo, io stesso vivo ed io stesso giudico.
Siam morti e perciò vivi al nostro voler
Siam soli e perciò in compagnia di nostra sponte
Siam tristi e felici quando a noi si volle
Siam fortunati al pensier del ponte che è anche torre.
Elefanti in un mare di insetti.
Perché tu vuoi sì tanto goder del tuo stesso mal
Credendoti insetto in tal mandria di inetti
E disegnar sul foglio bianco il tuo stesso capezzal?
Apri gli occhi!or chiudili
Così come si vuol,
Non andare a vento
Sii tu la tromba d’aria a render il resto spento
Nulla di cui prima nego,
Ogni conclusion che vedi se vuoi dispiego
Ma non sento lamentel e non le vedo,
Vado a festeggiar tal architettura del mio ego!


 

Gli occhi della vita

Al calar del sole tutto
Spariva nella sua nullità,
Lasciando il bello costrutto nella totale verità.
Io accovacciato nella sabbia
Come quando s’aspetta
Con ansia non sai cosa
Ma tutto cambia,
Passivo e passionale
La mia mente in corsa…
In quel momento fui interrotto
Dalla presenza di un uomo
Distante da me ma sapeste quanto vicino,
Ci divideva il vuoto, il tempo e lo spazio corrotto.
Felino atteggiamento mi colpì
Come l’eros più forte ne fui attirato
Non so dir, gli volli parlare
Desideravo star solo e mi volli avvicinare.
Non mi sconvolse tal om elegante,
Vestito non ricordo come,
Dall’aspetto insegnante,
Che come me guardava il sole
Che non c’era più
Come non capisse cosa lo move
A dimostrar così la massima virtù.
Gli fui vicino quando verso me si voltò,
Sguardo noiosamente curioso
Mi invitò con la speranza a corto,
C’era in sé il ruggito più furioso
Fuoco divampante d’aspetto amoroso.
Feci fatica a parlar per voglia,
Lo feci per riverenza.
Usai retorica di cui mai attraversai la soglia
In tutta la mia esistenza,
Questo mi guardava intimidito
E avevo paura di farlo scappare,
Era un libro aperto di cui non avevo mai sentito,
Parlava di una melodia che non avea intenzion di cantare
Chi è costui? O chi fu?
Innanzi a me sbiadiva,
Più forte lui ma il suo spirito tradiva
L’immane certezza tra l veder e il percepir
Che credevo fosse alla base di ogni sentir.
Più spariva più mi era al fianco,
Sembiava un fantasma straziato ed ormai stanco
(Io)«Ascoltami che canto
Con te fino al finir dei giorni
Oh essere santo»
Rideva poco colpito.
Pena e buone maniere lessi
In quello sguardo scolpito
I cui occhi eran sempre gli stessi
(Lui)«Cosa canti? Fammi sentire?»
Come per ripercorrer un esperienza
Che lui aveva già sentito
Viveva di infusione d’emozione tal discorso.
(Io)«Che fai? ignori la mia serietà
Guarda tu quanto ho corso
Perché l bello è vano, sì
Ma quanto è vero»
(Lui)«Perché la vita è sabbia, sì
Sentiero di tutti i sentieri»
Mi dicesti.
La sua figura imponente,
Poche parole con il loro significato
Così potente,
Piansi per il dolore che mi trasmetteva,
Di non capir nulla di solito non mi accadeva
Ma quest’uomo era troppo chiaro,
Troppo fermo, la sua mente troppo dinamica,
Il suo sguardo come uno sparo
La sua presenza, in sé, così sadica

 

(Lui)«Tu non vorrai mai capir ciò che io so,
Che sono io più di tutti,
Eppure il nulla i miei ricordi ha distrutto,
Che se dessi valor sarei tra i bruti,
Che se fermassi il cor non reggerei l’urto,
Che se giocassi con te mi tradirei,
Che non sai quanto nel profondo lo vorrei.
Son straziato in me stesso,
Ma non dì morir ho bisogno
Piuttosto patir in un sogno…
Questo mi lascia perplesso
L’om che dal buio grida com’un ossesso.

Bocca di verità, strazio di vita,
Sii più saggio tu che non l’hai capita;
Io non so spiegar i passaggi, la strada è infinita
Attraverso di voi ripercorro la mia corsa che è ormai già finita»