Morgana Miniscalco

Poesie


Una sfumatura di bianco

Al termine della notte, quando il sogno è terminato, tocca aprire gli occhi, affrontare la realtà per quello che è, non importa che la giornata sia bella o brutta. Capita certe volte che la forza che spinge il corpo a restare nel letto sia più forte della volontà di alzarsi, e così, anche solo per mettere i piedi per terra e lavare il viso, si compie uno sforzo immane. A volte ci si sente chissà perché incredibilmente felici e altre invece inspiegabilmente tristi o confusi.
A volte non appena si aprono gli occhi, ci sembra di non averli mai chiusi, di non aver dormito. Forse perché il sonno è stato agitato a causa del fracasso dei pensieri che durante la notte, al contrario del nostro corpo, si svegliano tutti, si alzano e cominciano a camminare, su e giù, avanti e indietro, parlano tra loro, le idee si mescolano, i ricordi si confondono, si riempiono o si svuotano, diventano sogni o incubi. E dunque quando si aprono gli occhi, si guarda il buio nella stanza, la finestra chiusa, le coperte del letto, l’acqua sul comodino e ci si chiede: cosa ho sognato? Non ricordo con chiarezza, cosa devo fare oggi?
Ed ecco che si dà il via alla solita routine. Al termine della notte, ecco che tutto ci si piazza davanti con brutalità, solo raramente, con dolcezza. Molto più frequente è la crudeltà della quotidianità, che si nota, che resta impressa e rende la nostra mente perplessa. Allora vien da pensare, era forse meglio restare nel letto e continuare a sognare? Come dice Dostoevskij, però, anche i sogni muoiono, anche la nostra fantasia a un certo punto si stanca. E allora è meglio vivere ogni attimo, cercare di rendere vero ciò che è solo nella testa. Ci si alza dal letto, si fa colazione o magari no, e si inizia la corsa verso la propria realizzazione. C’è chi può permettersi il taxi e chi purtroppo deve andare a piedi, ma anche chi nonostante possa permetterselo, preferisce godersi la camminata. Tre sono i personaggi che talvolta si incontrano: il caso, il destino e la scelta.
Il caso si presenta nelle coincidenze, quelle che lasciano spiazzati dall’incredulità. Come l’assurdo caso in cui per un certo motivo, ad una certa ora, incontriamo una determinata persona, in un determinato luogo.
Lo stesso caso che poi, spesso, viene erroneamente scambiato per destino, poiché a volte ciò che accade per pura coincidenza viene considerato come qualcosa di predestinato, come qualcosa che doveva essere e che quindi così deve essere, es muss ein!
Ma quello che poi determina la nostra vita in maniera sostanziale, non consiste tanto in ciò che ci circonda, ma in ciò che noi decidiamo di fare, tutto dipende dalle nostre scelte, grossa parte è nostra responsabilità. Si può incolpare il mondo, il semaforo rosso che ci impedisce di attraversare, la giornata di pioggia che ci rende cupi e freddi, il capo a lavoro che ci rende scostanti e distaccati, ma siamo noi a dover essere in grado di vedere il lato positivo, di respingere ciò che non piace, di cercare di camminare invece di correre come fanno tutti. Si deve partecipare alla corsa, senza cercare di vincere, perché il bello sta proprio nella passeggiata, una volta arrivati alla meta, poi dove si va?
E poi alla fine il caso ci conduce in un posto, ma siamo noi a decidere se restarci o meno, ci mette vicino delle persone, ma siamo a noi a scegliere se amarle davvero.
Al termine della notte vive ancora la speranza, che fa concorrenza agli inconsci sogni notturni. La speranza è viva perché è vera, è ciò che stimola ad andare avanti, ad andare oltre. Come anche i sogni, che però possono risultare limitanti, in quanto più che a realizzarli, si tende a nascondersi al loro interno. La speranza della possibilità, invece, aiuta a capire che ciò che esiste nella mente, può esistere anche al di fuori di essa.
Ed è proprio il fascino della possibilità che ha spronato Marianna a raggiungere Samuele.
Lei che non ha mai sperato nell’amore, che ha sempre preferito allontanarsi piuttosto che gettarsi a capo fitto nelle occasioni da cogliere al volo, che proprio per questo è sempre rimasta nel suo spazio confortevole, privo di imprevisti, evitando qualsiasi cosa potesse portare sofferenza,
lasciando tutto possibile e mai definitivo. Perché tutto ciò che non ha contorni, può assumere qualsiasi forma. Anche ciò che all’inizio poteva essere bello, veniva cacciato via con paura, col timore che potesse avere una coda di tristezza, un retro cupo ed oscuro, un sorriso maligno. La paura di ciò che poteva essere, gettava una nuvola angosciante e opprimente, su ciò che si presentava come inaspettatamente piacevole ed eccitante.
La possibilità di realizzazione e la conseguente incompletezza delle situazioni, la perenne confusione mentale per mancanza di sicurezza, l’indecisione come modus vivendi, annientavano tutti i suoi sogni. Si potrebbe paragonare al colore bianco, che contiene tutte le sfumature esistenti, ma non ne esprime nemmeno una, nessuna scoppia a tal punto da spiccare sulle altre, nessuna primeggia, nessuna sovrasta. Ciò che domina è la neutralità. Marianna sa fare tutto e non sa fare niente, fa tutto e non fa nulla. Eppure, in questo modo, all’occorrenza può tirar fuori una sfumatura diversa del suo sé. Indecisione e possibilità, ed ecco che la sua stanza sicura diventava pian piano una bolla soffocante. Ogni volta che perdeva un’occasione, si riempiva un po’ di più. Fino a quando ha deciso di vivere, di lasciarsi andare alla felicità e alla sofferenza. A tutto ciò che comporta vivere, il dolore anche, le emozioni, tutte, anche quelle più tristi, che però sono le più forti. Uscire dalla stanza vuol dire anche questo, perché se si decidesse di restare per sempre chiusi a chiave, alla fine si morirebbe di noia, di apatia, di amarezza.
Marianna aveva voglia di alzarsi dal letto inconsapevole di quello che sarebbe successo, aveva sempre avuto tanto autocontrollo, ma mai tanta voglia di perderlo. Samuele, d’altro canto, era sempre pronto, si era sempre lanciato senza fare il calcolo dell’atterraggio. Solo durante il volo selezionava l’arrivo, ma una volta stabilito l’obiettivo non c’era cosa che potesse fargli cambiare idea.
Il caso li ha fatti incontrare e perdere l’uno nell’altra, la condivisone di emozioni li ha fatti entrare in sintonia, tanto da poi scegliere di amarsi fino alla fine. I protagonisti di questa storia sono la potenza del caso e l’importanza della scelta: due elementi che si completano a vicenda. Il caso, le coincidenze sono importanti quando noi decidiamo di renderle tali. Perchè infatti, spesso, ci dimentichiamo che quello che accade poteva benissimo essere altrimenti, es konnte auch anders sein!
Siamo noi che decidiamo di rendere importante un determinato momento, focalizzando l’attenzione sulla canzone di quell’attimo per poterlo ricordare con ancora più bellezza negli occhi. Lo facciamo inconsciamente e così allo stesso modo Marianna si è innamorata di Samuele e viceversa.

 


 

Contro corrente

Durante la notte sogno Iris che entra in casa mia per la prima volta. “Perché sei fatta così, hai il coraggio di fare tutto” mi dice. Vedo la parola Coraggio scorrere nel sogno, cerco di afferrarla, ma sfugge veloce. Mi si attacca invece la parola Disagio nelle forme della me bambina con la paura del fallimento, la paura di non essere come Angela, mia mamma, che tutt’ora mi soffoca, mi trascina come un fiume in piena, dall’infanzia fino ad ora, la corrente non rallenta mai e io cerco di restare a galla, di non affondare, di cambiare direzione, ma contro corrente non posso andare, la priorità è cercare di respirare. Ogni mio tentativo di azione viene annullato dalla dirompenza del fiume che mi urla: la tua vita è la mia.
Lo scenario cambia e mi ritrovo ad essere in equilibrio su una trave sospesa, ho paura di cadere, ma di fronte vedo Angela, lontana, austera, anche lei in bilico.
Se tu oscilli o ti sbilanci mentre cammini, non posso far a meno di oscillare con te, così come te, se io dovessi perdere l’equilibrio. Dipendiamo l’una dall’altra, anche se vorrei non fosse così, vorrei camminare da sola su questa trave e su questa terra, ma non posso senza il tuo aiuto. Potrei voltare le spalle e andare dall’altra parte, allontanarmi sempre di più, ma le vibrazioni dei tuoi movimenti arriverebbero comunque ai miei piedi. E allora perché non vieni più vicino e camminiamo insieme?
Si avvicina seria, la trave scompare e si forma una muraglia che dovrebbe proteggermi, ma che invece comincia a riempirsi d’acqua. La barriera che dovrebbe proteggermi adesso è l’unica che vorrei abbattere, ne voglio costruire un’altra mia e altre mille, basta che non sia questa, che mi sta soffocando.
Quando sento l’acqua alla gola, sparo. Non è coraggio, ma rabbia, invidia, sofferenza, desiderio. E’ tutto questo, ma non coraggio. E’ voglia di vivere, di libertà e sparo, sparo, sparo tutta la rabbia repressa, la sofferenza accumulata. Non esplode in maniera caotica, si concentra tutta in un colpo, tutta la mia foga va dritta e io mi trasformo senza rendermene conto nella me senza paura, che agisce perché vuole e non perché deve, che assomiglia ad Angela, la Rossa, non solo per le efelidi e i capelli rossi. Mi specchio e vedo Angela con la sua voglia di riscatto e la determinazione, la voglia di affermarsi con certezza, perché di questo c’è bisogno per esistere, o mi sbaglio?
Eppure sento una voce:
Cos’è che vuoi?
E davanti a me passano immagini di distruzione, la distruzione che da sempre mi ha affascinata, che divide e lacera e mi piace perché mai sono stata intera. Sono nel bosco con un fucile in mano, sparo al cinghiale in fuga, ma dall’avere l’occhio fisso nel mirino, mi ritrovo a correre. Corro, affanno, scappo lontano. Lontano da Angela, dalle mie barriere, dalla responsabilità di stare al mondo, di trovare un posto mio. Mi affaccio da una finestra con il fiato corto e ammiro il cielo, rassicurante nella sua immensità, le stelle luminose e fisse, ricche, come volevo essere io, come pensavo di poter diventare. Pensavo di poter appartenere a quel mondo superiore, ma soltanto adesso mi rendo conto di poterlo solo osservare dal basso. Guardo le stelle irraggiungibili, che ora mi giudicano, mi opprimono, e più guardo, più cresce il senso di colpa che cerco di allontanare, ora è immenso come il cielo, che me lo rinfaccia, me lo getta in faccia e io, come quello che ho fatto per anni, mi chiudo a riccio, innalzo barriere, ma non abbandono mai il ricordo di Iris. Un ricordo che riaffiora quando penso al lago, quel lago che ho tanto odiato, che conosce la mia rabbia e sofferenza, quel lago a cui ho raccontato tutti i miei pensieri immergendomi nell’acqua dolce che ho sempre trovato amara. Mi immergevo fino a sparire, finché Iris non mi acciuffava dai capelli e mi riportava nel mondo.
Salto dalla finestra, Iris non c’è più e io sprofondo in quest’acqua che ora sento essere davvero dolce. Ci ho provato a restare in superficie, ma le radici mi tirano giù, verso il fondale.
Spalanco di colpo gli occhi travolta dal sogno soffocante, sento la necessità di scriverle, ma non un inutile messaggio che non leggerà mai. Prendo un foglio e una matita che però è troppo appuntita, allora premo la punta sulla carta e sfrego, sfrego con foga finché quasi non si spezza. Sono questa matita che cerco di modellare, arrivo al limite, ma non mi fermo. Alla fine non si spezza e si arrotonda, anche se una parte è rimasta lievemente appuntita, è impercettibile, ma decido di lasciarla così, sapendo che quando ci sarà bisogno di dolcezza lei sarà pronta a ferire, perché so che non sarà mai completamente tonda.
Il blu del cielo di notte invade la stanza e l’unica cosa che mi viene in mente sono le parole di una canzone:
‘Avevo un peso dentro, un peso da levare, ci ho messo un pezzo a raccontarti, sotto le luci di questa camera, tutto un disastro, doveva essere tutto perfetto
Chissà come stai lassù, ogni notte è blu celeste, il cielo è blu come il tuo nome,
Come il fiore del tuo nome’ Da me, coraggiosa solo per te
Lancio dalla finestra il foglietto di carta, in direzione del lago, perché quello è il mio posto, il nostro posto, perché so che lei è lì ad aspettarmi, pronta a spuntare la lista delle cinquantadue cose da fare insieme e pronta a tirarmi fuori dall’acqua per immergermi nel mondo.

 


 

Buio e confusione

Mi trovo in un limbo di indecisione tra ambizione e insicurezza, mi sento risucchiare dal fondo del lago e vorrei tanto che Iris fosse vicino a me, in grado di farmi respirare, di permettermi di provare ad osare, di rendermi capace d’amare un po’ di più me stessa e molto di più la realtà che mi circonda.
L’unica cosa che mi ha lasciato prima di andarsene è stato un biglietto: “sono come una bottiglia rovesciata dalla quale l’acqua non esce perché troppo piena”.
La bottiglia, straboccante a furia del dolore, ha deciso di rompersi, il vetro si è infranto per la troppa pressione e finalmente ha trovato pace. Subiva la tensione di quello che le accadeva intorno, un sasso dopo l’altro si aggiungeva alla pila che andava formandosi dentro di lei. Sempre più colpi, sempre più sassi, finché non è più riuscita a contenerli. Iris non era come me, non era un colibrì, non lo è mai stata ed è stata spazzata via. Io invece ho resistito, ma farei di tutto per vivere le emozioni al massimo grado come è riuscita a fare lei.
Ricordo quando mi chiese: “Posso fumare una sigaretta dal finestrino?” alla fine di un monologo di quaranta minuti. Le passai la sigaretta, non se l’aspettava. Di questo aveva bisogno, di una sigaretta. Quella volta fu un monologo animato, arrabbiato, disperato e sofferente, poi ha fumato la sigaretta e quanto avrei voluto dirle “posso fumarla anch’io? Ce l’ho qui nella borsa, ho anche l’accendino, è rosa.” Ma non feci niente, come sempre, mantenni il controllo e decisi che potevo farne a meno, come posso far a meno di urlare tutto quello che avrei da dire. Eppure i pensieri che metto da parte, ci sono ancora, scalpitano per farsi spazio, per uscire alla luce, ma sono così ammassati che non riescono ad uscire dalla porta, sono incastrati, si spingono tra loro e alla fine ci rinunciano, ma pesano, pesano tanto e sono sicura che quando se ne accumuleranno altri, romperanno la porta e saranno incontrollabilmente urlati, dispersi in aria. Se solo sapessi esprimerli con la calma con cui li trattengo.
Quella volta pensai: prima o poi fumerò una sigaretta dal finestrino, chiedendolo io però il permesso.
Posso sembrare un Peter Pan che guarda il fiume scorrere mentre me ne sto seduta sul primo gradino delle scale, ma in realtà come un colibrì, lotto tutti i giorni per giungere a quella, solo apparente, indifferenza del cambiamento, perché la verità è che anche per restare fermi c’è bisogno di un grande sforzo: 70 battiti d’ali al secondo, per evitare di lasciarmi trascinare. E mentre batto le ali, il tempo passa comunque, ma me ne rendo conto solo alla fine, quando la difficoltà è stata superata ed il tempo è inesorabilmente passato.
Iris mi ha trasmesso la sua forza, la sua sensibilità, l’istinto di sacrificare la propria felicità per donarla ad altri, ma anche il desiderio di essere capiti, il bisogno di comprensione e la necessità di qualcuno che ti incoraggi, perché ad un certo punto ad incoraggiarti da solo non ce la fai più.
Ho colto la sua energia e avrei dovuto restituirgliene un po’, forse sarebbe bastato uno sguardo, uno di quelli silenziosi da mille parole, per farle capire che io c’ero, che io la sostenevo, ma allora non avevo capito.
Assorbiva la tensione mentre cercava di allontanarla e vicino a lei non c’era nessuno, nessuna frase del tipo: ci sono, ti vedo, ti capisco, puoi farcela, sei forte. Niente di niente. Si è lasciata inghiottire dalla sofferenza, aveva poco controllo e tanta voglia di perderlo, e l’unica cosa che mi resta è: buio e confusione.
Lei sapeva tutto di me, ma io non sapevo nulla di lei.