Paolo Gavarone - Poesie e Racconti

Boccadasse

 

Colgono i ragazzi biglie perdute

nelle piazzette ligustri.

Salgono maleodoranti crose le madri

verso casa.

Cuciono reti vecchi marinai

bruciati dal sale.

Appollaiato sul muretto a secco

un uomo osserva la salita,

aspettando di vedere apparire

ciò che ormai è solo

un lacerante ricordo.


 

Preghiera

 

Nel nome del padre

del figlio 

e dello spirito santo

che attendesti invano

mentri , specchiandoti allo specchio,

ricordavi a te stesso 

di dimenticare.


Noli me tangere

 

All’occhio                                                       al naso al tatto                                                                all’orecchio pura gioia a stille Benché fluita in puro dolore                                                       io non ti lascerò. Amo pur
il dono della tua lacrima                                                                più dell’abbandono.



Cupa ora muta

Siedi a due passi,                                                                                                corpo dritto e snello, concava pietra bianca,                                                                                          oleandro insabbiato. ( Sono a ramazzar nuvole     per sorbirti cosparsa di polvere sabbiosa            pur se annegherò per maldestrezza) Irrompo nel Nulla.                                                                                                  Ti credo capello, incauto lasciato, sul cuscino d’amante e invano cercato. Ti credo balcone, dai vetri coperti,                                                                        da cui affacciarmi per vani deserti.                                                                                                      Tu sei medicina, rimedio dei mali,     con cui debellare       paure ancestrali. Salvato sul pelo,                                                                                                 egro veleno che nuoce terreo e declive desiderio,         mio pane segreto. (Brama del corpo flessuoso: ghermirti nell’azzurro                                                                                       vincerti nell’aureo, ma la dolcezza carnale è ignoto affanno.)                                  Ritorno alla Vita. Fitta al petto, negata vivida gemma. Ansante carezza ,                                                                                  cupa ora muta,                                                                   sottentra alla lavica lacrima.


 

Le briciole o il tutto?

Nella tossicchiante officina

ascoltavo, in modo prestabilito,

il motore rombare nella lamiera.

Provai un attimo di profondo offuscamento

per la temporanea alienazione

che mi impediva di agire con fare più astuto

attendendo il responso.

Subivo,

senza realizzare nessun cinico progetto rivoluzionario.

” Non posso accontentarmi di una sola parte,
non posso elogiare un cilindro

ed ignorare il pistone.”

rimuginavo lottando con vigore,

a profonde bracciate,

come la mosca

imbrigliata nella tela del ragno.

” La vita nuova comincia oggi”

bisbigliai tirando pugni al muro



Liturgia

 

La mia tristezza

si posò sopra i suoi occhi

come fosse un contraccolpo

avvolto nelle pieghe del suo vestito.

Mentre dalla radio

un critico ungherese

sta affermando

la liturgia amata dai regimi totalitari,

ormai

le mille frasche disarmoniche

della mia esistenza

accettano mestamente il loro destino,

perché sto vedendo

là nel fondo della stanza,

il fiore malvagio e maledetto

della mia incoerenza.

Mi sento meschino

per le false parole

che le sto dicendo

e perché sto richiamando

con rapidi accenni,

le forme principali

del pensiero dell’arte poetica.

Ormai vado abbandonando

alla mia chiusa pena

l’aridità e l’astrattezza

del mio sogno superominico.



Cercando

Quante calli ho disceso

cercando il tuo passo.

Quanti rivi ho guadato

cercando il tuo guizzo.

Quante spiagge ho percorso

cercando il tuo corpo.

Quante erte ho salito

cercando la tua bocca.

Me stolto!

Ho invano percorso posti inutili

giacché ti avevo accanto.


 

Mi specchio in una pozzanghera nera

Mi specchio

in una pozzanghera nera

per ritrovare la mia vita vera.

A che è valsa la cultura
l’istruzione

se ho paura?

chi ha trovato
i miei documenti ,

per favore,

mi dica chi sono.

mi rifrango nell’onda
marina

aspettando la luce
mattutina.

Ma chi ha trovato
i miei documenti

può dirmi

chi sono?

intanto il mio sole

si cela nell’oriente

ed è sempre buio

il mio occidente.

Chi ha trovato

le mie chiavi?

Restituitemele,

per favore.

ho tanta voglia

di tornare a casa.


Forever young  

 

Ma sarà vero che a buttar via la propria vita se ne fa il migliore degli usi? Io ci ho provato e spesso ci sono riuscito. Talvolta no. Ricordo soprattutto gli errori ma, se ripenso al passato, mi vengono in mente solo i ricordi più belli. Non mi sento ancora al tempo dei bilanci, piuttosto come un tizio che riempie uno zaino ogni giorno con qualcosa di nuovo. Cammina sicuramente arricchito ma anche appesantito. Le esperienze sono un grande regalo ma anche un fardello da portarsi dietro. Pesano le sconfitte, pesano le rinunce, pesano le occasioni perdute, pesano le situazioni mai realizzate. Alle volte mi chiedo se è valsa la pena di certe scelte ma è una domanda vana.  La vera domanda è: “Vale la pena vivere?”.

Questi erano i pensieri di Artico mentre guardava Luna che dormiva.  Ancora si domandava come era riuscito a convincerla a passare un giorno intero con lui. Talmente intero da necessitare di una notte fuori. Una notte che lui stava passando ad osservarla, ad annusarla, a guardarla di nascosto, o meglio, ad immaginarla dal momento che lei dormiva vestita.

Luna voleva bene a quell’uomo.  Lo stimava profondamente, le piaceva come parlava,  le piaceva quello che raccontava, le piaceva la sua voce calda e profonda che la penetrava dalle orecchie per entrarle nella mente. Adorava anche il suo modo di esprimersi, senza interruzioni, con sintassi fluente e verbi sempre perfetti. Le piaceva la sua capacità di catturare l’attenzione dell’uditorio e di farsi ascoltare. Era indubbiamente affascinata, ma la sua ammirazione non sapeva andare oltre. Lei non provava nessun trasporto per lui.  

Artico invece la desiderava da perdere la testa. Avrebbe fatto qualunque pazzia per lei. Sapeva che era un personaggio difficile, era conscio che passato il momento di euforia della conoscenza avrebbero passato il tempo a litigare. Troppo romantico e possessivo lui. Troppo libertaria e anticonformista lei ma al tempo stesso volitiva e determinata. Spesso Luna attivava un sistema di difesa reattiva che non permetteva  agli altri quello che lei , invece , pretendeva di poter fare liberamente. Lui, quando arrivava al massimo di quanto riuscisse a sopportare diventava fastidioso, antipatico e a tratti anche cattivo. Si sarebbero sopportati per un po’. Sarebbero stati perfetti per essere amanti se non fosse stato per quel piccolo particolare di lei che proprio non riusciva a farsi attrarre da lui. Forse la differenza d’età, forse la chimica, forse lui si era illuso o forse lei mentiva e, su questa convinzione, Artico aveva a lungo sperato.

Si erano conosciuti al circolo velico che entrambi frequentavano ma non si erano quasi mai visti. Fu un viaggio verso Trieste, per recarsi ad una regata, che li fece interessare l’uno dell’altra. La permanenza in città permise loro di poter approfondire le conoscenze affascinando lei e facendo innamorare lui.  

Le circostanze vollero che facessero il tragitto insieme e poi il destino decise che, per disguidi ed incomprensioni, rimanessero soli a Trieste. Durante il viaggio poterono chiacchierare scoprendo di condividere molte altre passioni comuni oltre alla vela.  

-Ma dai Luna! Non conosci Morselli?-

-No. Non ho mai letto nulla-

- Fa parte dei quattro grandi scrittori progressisti del novecento: Pavese, Vittorini, Morselli e Bianciardi. Abbastanza dimenticati tutti. E temo che pure Pasolini, a breve, farà la stessa fine-

La voce dell’uomo era calda e rassicurante e a Luna piaceva.  

Il profumo di donna si spargeva nell’abitacolo dell’auto. Artico riusciva a sentire il morbido e vellutato odore tipico dei capelli ricci e gli piaceva moltissimo.

-Nel primo canto Maldoror si deturpa il viso tagliandolo per disegnarsi un ghigno sorridente-

Ormai Artico andava avanti a ruota libera, spaziando dalla letteratura alla musica, dall’arte alla cinematografia. Sembrava che la sua conoscenza spaziasse in tutti i campi per via di quella sicurezza nell’esposizione che riusciva ad infondere.  

Ascoltandolo Luna pensava che se quest’uomo si fosse gettato in politica avrebbe sicuramente avuto molto seguito.  

Si fermarono all’autogrill. Andarono entrambi in bagno.

(Ha un profumo che mi fa impazzire, parla poco ma sa ascoltare. Una caratteristica apprezzabilissima per un logorroico come me.  Chissà se ha un uomo. Si sicuramente. Una bella ragazza con i capelli riccioli, occhi azzurri, alta magra non sta sola. Perché non l’avevo mai notata prima? Mah, misteri).

Artico si lavò le mani.  

(Mi piace quando mi parla, mi piace quello che dice. Soprattutto mi piace la sua voce. Alle volte parla troppo, non mi lascia entrare nel discorso. Ora magari glielo dico. No anzi, non gli dico nulla. Lo lascio parlare.) Luna si lavò le mani.

-Prendiamo un caffè? –

- Si, volentieri. Se mi racconti chi è Bianciardi-  – Se ti va eh, ovviamente- aggiunse Luna.

Lui notò quella vena leggera di insicurezza di lei ma gli piacque. Lei era donna, era femmina, era giovane e maliziosa e lui non era più abituato a quegli atteggiamenti.  Frequentava principalmente quelle un po’, più avanti con l’età, quelle che ormai, non si perdono più nei corteggiamenti e vanno dirette al sodo.

Cominciò a parlarle della parabola ascendente dell’intellettuale narrato da Bianciardi mentre sorseggiava caffè.  Gli parlò anche del film tratto da” La vita agra” confessandole che non lo aveva visto.

Tornarono in macchina. Trieste li attendeva.

In piazza della Borsa si fecero portare una bottiglia di vino bianco.   

Lei rideva ad ogni sua battuta

Lui si sentiva sciogliere ad ogni ciocca di capelli che lei si annodava con le dita, palesando interesse per l’uomo che le stava di fronte.  

Ma anche Luna un poco si sciolse, complice il vino, e con lei si sciolse anche la sua lingua.

-Che ne diresti di invitarmi a cena? Non ci starebbe bene? Anche considerato che siamo arrivati con un giorno di anticipo- Diede tono a quest’ultima frase come a fargliene una colpa, ma rideva maliziosa.

-Non per colpa mia però. Complice il vento. Ma non sarebbe successo se ci avessero avvertiti-

(Ma tu non sai quando benedico quell’idiota di Benedetto che si è dimenticato di annotarsi i numeri di cellulare. Ora non sarei qui ad odorare i tuoi capelli e a perdermi nel tuo sorriso.)

(Meno male che non ci hanno avvertiti!!! Sto bene qui, sto bene con te Artico, sei una piacevole sorpresa. Mi piace la tua voce, tanto.  E poi, in fondo, non sei neanche male, magari un po’ grande, cazzo!)

-Però scelgo io il ristorante-  

-Ti avverto che sono vegetariana –

-Non avevo dubbi-

-Ah sì? E da dove ti viene questa convinzione? – Disse lei con tono di sfida.

-Dal fatto che sei molto magra e un po’ rompicoglioni. Tipica vegana o vegetariana-

-Io sarei una rompicoglioni? Ma come ti permetti!!!!-  Lei si morse il labbro inferiore e gli diede un piccolo pugno sulla spalla, ovviamente leggero.

Lui fece finta di provare dolore e le fermo la mano. Si accorse che la stava toccando. Era la prima volta. Il vino aveva riscaldato i visi e gli animi. Entrambi si intrecciarono le dita, le fecero roteare per un po’ guardandosi negli occhi poi si alzarono e si diressero verso le vie del centro tenendosi per mano.

-Non ti posso portare a cena vestita in jeans. Andiamo a comprare qualcosa-

-Ti avverto non voglio gonne, non porto tacchi, non mi piace il nero-

-Sei sicura di essere una donna?  Hai appena negato tre certezze fondamentali della seduzione femminile: gonna, tacco e calze nere-

  • E vestita così chi dovrei sedurre, te? Mi sembri già bello cotto senza bisogno di calze nere-

La sfacciataggine di Luna lo eccitò incredibilmente, avrebbe voluto prenderla e cercarle la lingua in un bacio profondo ma non lo fece.

La commessa stava cercando inutilmente di convincerla ad indossare scarpe coi tacchi.  

-No, non le voglio. Non le porto mai di sicuro mi farebbero male i piedi e non saprei camminarci-

  • Le provi almeno, soltanto provarle.

Luna cominciava ad innervosirsi. L’insistenza della ragazza la irritava.

(Ma che vuole questa? Ho detto no ed è no. Perché non la smette? Ora glielo dico. Questa mica lo sa che io non sto zitta)

Artico stava godendosi la scena senza dire nulla ma divertendosi moltissimo ad immaginare i suoi pensieri.

(Adesso starà pensando: Ma che cazzo vuole questa? Ora la sistemo io. Tanto poi non le dirà e non farà nulla. Cambierà discorso cercando di spostare l’attenzione. E’ deliziosa.)

Alla fine giunsero ad un compromesso: scarpe comode con un tacco leggero.  

Artico aveva prenotato in un ristorante dietro Piazza Unità d’Italia. Un locale forse un poco chic, ma a lui piaceva comunque mangiar bene in un posto che non fosse la solita trattoria.

Entrò all’interno precedendola. Il cameriere li accompagnò al tavolo facendoli  accomodare, poi accompagnò la sedia verso la ragazza mentre stava per sedersi.  

-Non ci sono i prezzi nel menu- notò Luna.

-Non ci sono nella tua lista ma sono nella mia-

Luna fece una smorfia arricciando il naso ma non aggiunse nulla. Il cameriere fece assaggiare il vino ad Artico, poi chiese a Luna se ne avesse gradito. Lei fece la seconda smorfia. Quando il cameriere si allontanò, prima che lei esplodesse in un profluvio di parole, riuscì ad anticiparla.

-Ascolta, lo so che stai pensando che non siamo più nel medioevo, che l’emancipazione della donna e la parità tra i sessi è un fatto acquisito ma fino a qualche tempo fa, in certi locali, il cameriere si rivolgeva solo all’uomo sia per la scelta del vino che per la scelta dei piatti per non mettere in imbarazzo la signora.     I prezzi nel menu femminile non ci sono per una questione di garbo ed eleganza, visto che a pagare dovrebbe essere l’uomo-

Terza smorfia di lei, stavolta anche con strabuzzamento d’occhi rivolti verso l’alto.  

(Ora lo aggiusto io il signor perfettino. Questo suo atteggiamento so tutto io comincia a darmi fastidio)

-Allora signor Galateo, visto che lei è cintura nera di comportamento, come mai quando siamo entrati non mi ha ceduto il passo facendo entrar prima la signora? Eh, che mi dice a proposito?-

Lui la guardò sorridendo mentre lei aveva quella faccetta allungata che esprimeva sfida. L’aveva già notata, pur se lei non la esibiva spesso ma che, quando era veramente arrabbiata, mutava in ghigno.

-Nei locali pubblici entra sempre l’uomo per primo, per controllare che tutto sia a posto e che il locale sia consono alla signora-

(Ma vuol sempre avere l’ultima parola su tutto! Mai che lasci che sia un altro a chiudere un discorso! Ma che presuntuoso ed arrogante! Però lo fa con gentilezza con classe ed è sempre garbato. Lo perdono.)

-Artico tu sei abituato ad avere sempre l’ultima parola su tutto. Mi dici perché?

- Perché me lo posso permettere –

Lei prese il menu sbattendoglielo sulla spalla ed esclamando: “ Ma che razza di stronzo!!!!”

Lui le prese la mano per la seconda volta e le dita si intrecciarono nuovamente. La guardò nell’insieme. Capelli riccioli fluenti, occhi azzurri maliziosi, blousette giallo nera , gonna e calze nere , scarpe con leggero tacco. Il vestito che avevano scelto insieme.  Era bellissima. Poi la guardo negli occhi, perdendosi in mille sognanti pensieri e in quel momento, in quel preciso momento si accorse di essersi innamorato.

Lei seguì con piacere l’intrecciamento della dita , lui le infondeva calore e poi lei adorava  moltissimo il suo profumo, la sua voce era una musica di basso che la scuoteva e le faceva sussultare il corpo ma la scintilla, quella su cui avrebbe contato  Artico, non si accese.

Finita la cena , al ritorno, si fermarono a guardare l’incanto di piazza unità d’Italia illuminata. L’attraversarono tutta tenendosi per mano fino a quando giunsero sul lungomare, a quel punto Artico sparò una domanda a bruciapelo:  

-Luna , hai un uomo?- -Si. Viviamo anche  insieme-

Lui stette in silenzio guardando il mare. Passarono quattro , forse cinque secondi che a lui parvero eterni. Poi il silenzio fu rotto da lei.  

  • E tu? Esiste una signora perfettina?- Appena finita la frase Luna si pentì subito d’averla detta  e cercò di rimediare.
  • No, scusa. Non volevo offenderti . Ho sbagliato modo. Volevo dire….-

-Ho capito cosa volevi dire. E comunque non mi sono offeso. – Fece una brevissima pausa, tirò un sospiro e disse – No, non c’è nessuna signora perfettina .Nessuna  signora Artico.-

Lei si sedette su una panchina. Si tolse la scarpa destra e si massaggiò il piede prima di chiedergli:

-Perché hai voluto saperlo? –

Si sedette anche lui, la guardò negli occhi. Ogni ora che passava lei gli sembrava sempre più bella.  

-Non c’è una ragione specifica. Alle volte le parole escono così, già confezionate-  

Luna lo osservava, lui leggeva nel suo sguardo gli occhi della donna affascinata, rapita. Forse si stava solo illudendo ma scorse segnali di qualcosa di più di un semplice interesse.

Guardarono entrambi l’orizzonte del mare davanti a loro, lui le mise un braccio attorno alle spalle e attese che lei poggiasse la testa sopra le sue ma lo fece invano. Luna non era il tipo che si perdeva in smancerie e dovette esser lui ad avvicinare la testa a quella di lei che non respinse quel contatto. Lui continuava ad odorarle i capelli e a percepire una sorta di benessere diffuso. Rimasero per un po’ in quella posizione fino a quando lei, rivolgendosi a lui, non interruppe l’incanto:

-Scusa sai mica a che ora finisce il film? –  Scoppiarono a ridere fragorosamente.

-Sei adorabile Luna-

  • Credevi d’esser solo tu quello simpatico?-

Si rimise la scarpa e si alzò. Lui capì che quel capitolo si era concluso lì e tornarono verso l ’albergo.  Presero le chiavi e si avviarono alle stanze. Salendo le scale Luna si tolse le scarpe e camminò scalza. Salì tutta la scala e percorse tutto il corridoio fino alla porta ancheggiando maliziosamente mentre lui, da dietro, la seguiva estasiato. Colse in lei la provocazione della femmina al maschio. Giunta alla porta l’aprì, si girò verso di lui guardandolo con occhi dolci. Artico le prese il viso con le mani e avvicinò la sua bocca a quella di lei, ma con suo vivo stupore, lei girò il viso di lato e si ritrasse. Si liberò dalla presa delle mani di lui riportandogliele in basso e, un poco rossa in viso e disorientata, esclamò:  

  • Buonanotte Artico. Vai a dormire, dai.

-Buonanotte Luna –  

Artico si diresse alla sua camera, accese il televisore, andò in bagno a lavarsi i denti poi si buttò sul letto e si mise a guardare un film horror. Quella notte non dormì.

Artico era sempre lì ai bordi del letto e continuava a guardarla mentre dormiva.     

Era confuso, mille pensieri gli attraversavano la mente e non sapeva quali scegliere.

Decise di fare quello che gli riusciva meglio: parlare, e lo fece a voce alta.

-Luna, il mio non è stato un colpo di fulmine. Giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, occhiata dopo occhiata, discorso dopo discorso, mi sono innamorato di te. Mi sono innamorato di te per come sei, perché tu sei tu, nella tua totalità. Ed è per questo che tu mi appari bellissima. Quante volte parlandoti ho ascoltato la tua insicurezza la tua fragilità! “Io non sono bella, sei tu che mi vedi tale.” (Artico pronunciava queste parole cercando di imitare la voce di Luna). Avessi potuto infonderti un po’ di stima in te stessa! Ma, evidentemente, ho fallito. Anche se spesso mi gratifichi dicendo che le mie parole ti fanno star bene e ti danno forza.   

Non sai che piacere mi fa sentirtelo dire. Ma poi, come droga sottile che entra in me piano piano a goccia, tutto mi sembra sempre poco. Non mi basta sentirti, non mi basta vederti non mi basta stringerti la mano. Vorrei averti sempre, vorrei averti tutta per me, vorrei avere il tuo corpo. Ho provato a non amarti e non ci sono riuscito. Ho provato a considerarti solo come una che mi farei volentieri, riuscendo solo a sortire l’effetto di desiderare il tuo corpo da impazzire. Ho provato a dimenticarti e non ci sono riuscito. Ho provato a fare a meno di te (fece una pausa) ed eccomi qua. Neanche stavolta ci sono riuscito. Non mi basta averti per qualche ora. Ti voglio mia, mia accanto a me per poter vivere con te, mangiare con te, dormire con te, far l’amore con te. Avere il tuo corpo, avere la tua bocca , avere i tuoi capelli, avere te insomma. Lo so che per te non è la stessa cosa. Quante volte me lo hai ribadito?  Ma come si fa a togliere la speranza all’innamorato? Come puoi negare a chi vive nell’attimo di un gesto, nell’ attesa di un sorriso. Che ci posso fare se quando mi fai l’occhiolino in un turbine di complicità mi ecciti in maniera incredibile? Come posso negare i miei sentimenti se non li annego nella speranza? Ho sperato, e spero, continuo a sperare che tu comprenda, capisca che anche tu mi ami, che anche tu mi vuoi, che l’attrazione e la chimica sono solo dettagli di fronte al rapporto di totalità intellettuale, e che l’età è solo un dato anagrafico privo di importanza. Non so stare senza te, non posso stare senza te, non so continuare senza te. Ti amo, Luna. Voglio vivere con te, accetto qualsiasi compromesso, sono pronto a qualsiasi sacrificio, io voglio te. –

Si era scaricato completamente del peso che aveva dentro di se. Pensava che questo era il discorso che le avrebbe fatto appena si fosse alzata, o forse appena ce ne fosse stata l’occasione,  o forse appena ne avesse trovato il coraggio. Ma non ce ne fu bisogno. Luna si girò. Essendo girata di spalle, lui non s’accorse che lei era sveglia ed aveva ascoltato tutto.

-Artico, come posso farti capire che io non sento quel fuoco che senti tu? Dimmelo. Io riesco già a malapena a spiegarmi con i discorsi. Non sono brava come te con le parole. Poi , tu hai vissuto la tua vita quasi completamente. Hai fatto un sacco di cose, hai provato  molte esperienze io, anche se non sono più una ragazzina, ho avuto poco dalla vita finora. Vorrei un lavoro stabile, una casa , magari un figlio , ma tutto questo lo vorrei con l’uomo con il quale ho già condiviso un terzo del cammino. Ti sembra così strano? Ti sembra così inaccettabile? Ho passato anni bui, anni di lotte , di amarezze , forse , dopo tanti anni, intravedo una flebile luce in fondo al tunnel e poi arrivi tu, all’improvviso , a minare tutte le mie certezze, e che dovrei fare io? Puff. Buttare tutto all’aria e ricominciare da zero. Ti sembra sensato? Dai rispondimi, avrebbe un senso tutto ciò?-

- No, hai perfettamente ragione , sarebbe egoistico. Ma io ti aspetterò. Pazientemente. Attenderò che tu compia il tuo percorso , arriverò alla fine e sarò lì ad attenderti per amarti,  fosse anche per un giorno solo , l’ultimo della mia vita , sarò lì a cercare anche per una volta sola quell’unico bacio che non mi hai mai dato –

Luna seppure colpita e lusingata  dalla passione e dalla devozione di quest’uomo per lei, gli inferse il colpo finale:

-Ma che te fai del bacio di una donna che non desidera dartelo? Perché dovresti volere  il corpo di una donna che non sente lo stesso desiderio tuo? Artico , io non volevo essere brutale ma devo essere sincera . Non ti amo. NON TI AMO. –

Le ultime parole le disse a voce alta, perentoria e scadendo bene ogni singola lettera.

-Perché non possiamo restare così?- continuò lei.

-Perché cosi alimento solo il tuo egoismo , io continuerò a non ottenere nulla da te, tu invece sarai soddisfatta e il rapporto ristagnerà in una cristallizzazione che non farà star bene te e sempre peggio me- Lei non disse nulla. Lui invece continuò.

-Però , io sono debole. Non so se riuscirò a fare a meno del rapporto con te- Le accarezzò la guancia con la mano sorridendo.

-È quasi l’alba ormai, mi riaccompagni a casa?-

-Certo. Preparati-

La portò vicino casa sua dove lei aveva lasciato il motorino. In genere Luna faceva così, in modo da poter tornare non accompagnata direttamente per non fare insospettire il suo uomo.

-Ciao Artico. Stai tranquillo dai . Ti voglio bene-   

Disse così prima di dargli un bacio sulla guancia e scendere dall’auto. Lui sorrise guardandola con il solito sguardo carico d’amore.

-Ciao Luna a domani-

Girò l’auto per tornare indietro, la guardò mentre saliva sullo scooter e la vide maneggiare qualcosa. Prima di vederla partire avverti un suono del cellulare. Era lei che gli aveva mandato un emoticon: una faccina che manda il bacio a forma di cuore. Artico sorrise. Spense il cellulare e si avviò verso casa . La radio trasmetteva un programma di musica anni 80. In quel preciso istante stava passando la canzone “Forever young” . Artico rise riflettendo come la vita alla volte sa essere beffarda. Chiuse i finestrini, si accomodò per bene sul sedile , mise la musica a tutto volume e cominciò ad accelerare sempre più forte. Due luci intermittenti si facevano sempre più vicine , poi un suono lungo , continuo ed infine lacerante. Poi più nulla.


L’ appartamento.

 

Eppure ci deve essere in qualche cassetto quella vecchia foto di un ragazzo pieno di ideali rivoluzionari, pieno di voglia di cambiare, di fare o come si diceva allora, di agire. Foto in bianco e nero, ingiallita ed erosa dal tempo. I capelli lunghi ma il cervello pronto, i calzoni scampanati ma i piedi saldi, il corpo magro ma affamato. Affamato di sogni, di gioie ma anche di certezze. La certezza di voler costruire un mondo migliore per sé e per gli altri, per quelli che lo sapevano ed anche per quelli che non lo capivano. Un giorno poi se ne è andato, senza rumore e senza salutare, lasciandoci solo il suo ricordo ed una grande voglia di piangere. Ho voluto bene a quel ragazzo e gli voglio bene ancora adesso che non c’è più.
Mattinata fresca e senza vento, di quelle mattine in cui puoi stare senza giacca e non hai freddo oppure puoi metterla e non hai caldo. Già da alcuni giorni Marco insisteva perché andassi a riprendermi alcune cose che avevo lasciato nell’appartamento che condividevo con lui e Paolo. Un giorno converrebbe soffermarsi sulla fantasia nella scelta dei nomi, dei genitori di noi figli degli anni 60: una sequela di Paolo, Marco e Luca. Quindi io Paolo e Marco abbiamo convissuto per alcuni mesi da buoni compagni, dividendo pane, fumo e denaro senza sapere che il destino ci avrebbe riservato un’ulteriore condivisione. Ho ancora le chiavi. Vado, poi le lascerò nella cassetta delle lettere, giusto il tempo necessario per togliere quelle ultime quattro carabattole che ho lasciato. Entro. L’odore tipico di casa di maschio adulto che vive da solo mi avvolge. Non è facile spiegarlo, più facile parlare del suo contrario, dell’odore della casa vissuta con una donna o, meglio ancora, di quella abitata da una madre. L’odore del bucato fresco, della casa arieggiata, dei tappeti sbattuti, del caffè mattutino e del ragù domenicale. Tutto il contrario dell’odore di chiuso e della pesantezza d’aria tipica della casa d’uomo. Avanzo. Vado in camera. Raccolgo roba. Apro un cassetto. Trovo una confezione di fazzolettini di carta, un collirio, un pacchetto di Fisherman, caramelle tipiche del fumatore e poi, nascosto sotto un panno per pulire gli occhiali, spunta ciò che non ricordavo più: una vecchia spilla di tanti anni fa. Si tratta di un vecchio cimelio dell’ex Unione Sovietica, una falce e martello sul classico sol dell’avvenire. E’ sbeccata, manca una parte del martello, è rotta. All’improvviso un flash mi fa tornare alla mente un episodio. Sono davanti all’ingresso del Liceo. Sto facendo volantinaggio FGCI. Arrivano i fasci, li riconosci a distanza. Qualche spintone, qualche parola di troppo e poi un tizio alto mi prende i volantini e me li butta a terra. Si sente qualcuno gridare “Compagni calmi, non rispondete alla provocazione, state calmi!”. Ubbidisco e mi chino a raccoglierli mentre il fascio sogghigna di gusto deridendomi. Poi il ricordo si fa confuso, mi ritrovo per terra, caduto o spintonato non so, sento un tonfo sordo, mi alzo, e vedo il tipo a terra col naso insanguinato che geme e si lamenta. Mi giro e scorgo Paolo con la mano destra sporca di sangue, realizzo che vista la sua statura, col pugno, ha potuto mollare al nero un cazzottone dal basso verso l’alto che lo ha steso. Succede il finimondo, gente che urla, spintona, corre, poi si sente dire “Scappiamo, scappiamo”. Prendo Paolo per il bavero e lo trascino via. Cominciamo a correre, correre, correre fino a quando i polmoni non stanno per scoppiare, ci fermiamo su un muretto, ansanti e col cuore in gola, ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere, ridere, ridere. “Minchia che papagno che gli hai ammollato!” dico a Paolo. “Ah, ah, hai visto come ci contorceva!! Fascista di merda! Ben gli sta! Tu come stai?” “Bene –rispondo- bene, Paolo.” La sera, a casa, mentre mi spogliavo, trovo la spilla rotta, così come è ora. Probabilmente nella confusione si è spezzata ma non ricordo. Torno alla realtà, raccolgo le ultime cose, le infilo in un borsone e mi accingo ad uscire quando vengo bloccato da un imprevisto squillo del telefono. Penso subito a Marco che vuol sapere del mazzo di chiavi. Vado a rispondere. Una voce femminile, dolce e squillante mi accoglie: “Pronto Paolo?” La risposta è sì ed è anche la verità o almeno io la ritengo tale. “Ciao sono Serena, l’amica di Francesca”. A questo punto realizzo l’inghippo, non son io quel desso come direbbe il Manzoni; si tratta dell’altro Paolo, l’amico che mi salvò dal nero molti anni fa. “Senti Serena…”. Non riesco a finire la frase. La ragazza, con un eloquio fluente come un fiume in piena mi blocca subito. “No, ascoltami tu senza interrompere. Già è molto difficile per me che, neanche ti conosco, affrontare questo discorso ma Francesca mi ha chiesto di restituirti l’anello che le avevi regalato ed io non riesco a negarle questo favore, per cui dimmi quando possiamo vederci, mi tolgo questo dente e chiudiamola lì!”. Rimango basito da tale fermezza e riesco a malapena a balbettare: “Ma noi non ci conosciamo?”. “No non ci conosciamo, sono molto amica di Francesca ma sono stata all’estero per lavoro. Ma che fa? Devo solo darti un pacchettino e basta.” Che cos’è il lampo di genio? Fantasia, intuizione, decisione e rapidità di esecuzione, diceva un personaggio cinematografico.  “Hai ragione scusa, possiamo vederci subito, sono libero “.
Non so se Paolo ha mai saputo questa cosa ma di sicuro  sapeva che ho avuto una storia di due anni con una ragazza bellissima,  dolce ed appagante e che ho incontrato solo perché credeva che fossi lui e perché mi trovavo in quella casa , in quel momento , quando il telefono è squillato.