Memoriale
Sorseggiare un buon bicchiere di vino
degustare a piccoli sorsi evocativi
a me non piace.
Preferisco una golata decisa
natura d’approccio
che applico ovunque
alla vita intera.
Sono stato innamorato
ho avuto una figlia
ho lavorato e scritto
canzoni principalmente
anche viaggiato
perché prima o dopo
la curiosità viene
e allo stesso modo
d’un fiato
ho affrontato il cambiamento
quando ne ho capito la necessità.
Ho scritto i miei pensieri
senza il blasone
di nessuna accademia
come una golata di sincerità
che non vuole corrispondere a nessuno.
Ho avvertito il giudizio dei probiviri
a cui son grato d’oblio
perché qualunque cosa ebbi a dire
mi avranno dimenticato
come un giorno qualunque.
Ho incontrato il dolore
che mi ha riconosciuto
entrambi viandanti
come nei porti o alle stazioni.
Tutto d’un fiato in una golata
mi è piaciuto vivere
ammirato persino di tutte quelle vite
che hanno creduto diversamente
nel delibare ordinato metodico rispettoso.
Finirò come ho cominciato
da nessuna parte
senza una casa
una povertà che appaga
come il gesto eroico sulla barricata
che rende immortali
e ripaga tutta una vita
da tutt’altra parte del credo.
Nessuno ne abbia pena.
Sono contento così.
Dovremmo essere felici?
Accade che uno prenda a fare un lavoro
per fronteggiare alla bisogna
un’emergenza un vuoto
una inadempienza di altri.
Col tempo questo lavoro ritorna
come un cane randagio
e pretende rimasugli di compassione
qualche avanzo d’attenzione.
Se il cane muore
accuseranno la negligenza
di chi non ha provveduto
ad un compito ormai suo.
Diranno che l’egoismo di certa gente
è deprecabile
come l’indolenza dei fannulloni
di coloro che non hanno avuto cuore
che per il loro pusillanime egoismo.
A star dietro alle dicerie
si finisce come le comari
incenerite dalla velocità dei treni
di coloro che se ne sono andati
dalle medesime indistinte maldicenze
coltivate da generazioni
ai piedi degli altari
in stracci di adultità giudicante
senza discernimento.
E’ preferibile starsene in disparte!?
tanto non rinunceranno a criticare.
Intanto le cose cambiano
rendono vecchi tutti
irrimediabilmente.
Cosmonauti asserviti all’automaton del consumo
ciascuno a fare il suo.
Sconosciuti.
Asserragliati.
La notte latrati di cani
alzano il volume delle televisioni
allenando l’indifferenza dei sopravvissuti
identificabili dal tratto comune
dell’incedere a colonna a domande taciute.
Non resta molto da ascoltare
non c’è molto da fare:
accettare un destino prevedibile
e aspettare di morire.
Alleggeriti della responsabilità di scelta
solo per questo
dovremmo essere felici?
La bandiera
Sono una bandiera
attanagliata al picco.
Come una roccia
ho consentito
rilevare il punto nave
più di ogni altra evidenza circostante
esposta e imperitura.
Ho sventolato nella burrasca
quando un solo sguardo
è stato l’essenza dell’intuizione
per decidere all’istante
in coerenza alla mia Idea.
Nei giorni di bonaccia
ho faticato l’immobilità
senza rinunciare
ad essere stendardo di passione
dubbio indomito
d’innanzi al rischio del giudizio
irriguardoso e derisorio
all’intento tagliente dell’indifferenza
all’esperienza del dolore
nel calpestio di coloro
seppur fratelli
ardivano capire la vita degli altri
declamando sentenze
deprivate d’ascolto
senza tempo da perdere.
Sono rimasta
allo sperone dimenticato.
Coloro che passano
sulla via a fondovalle
forgiano un linguaggio
che oggi non comprendo.
Una varietà ristretta
ripetitiva di parole
lemmi cibernetici e computer
predominanti in ogni luogo
d’uso abituale
anche in prossimità.
Una bandiera
per una carezza
nella fatica
nella leggera allegria
dei pergolati memori di vino
alle sagre al mio paese
dove ho condiviso la coscienza
che pur qualcosa si è fatto
l’emozione di appartenere
al fronte avanzato di una Idea.
Essere una fisicità
di stoffa antica
col suo odore
qualche strappo
consapevolmente consunta.
Una parte di tante altre
un tentativo incompiuto
ma esperito nella responsabilità
per ciò che è stato possibile
nella diversità
che non ha nulla di esclusivo
di eclatante.
Semplicemente una soggettività perfettibile
autentica espressione individuale
dell’essere umani.
La bandiera è il mio simbolo
tanto esposta al tempo a venire
quanto ai venti che ha conosciuto
amando indifferentemente ogni latitudine
nel divenire del destino
da compiersi integralmente
con coraggio e dignità.
Di altro non saprei ringraziare
che questo è da farsi
senza ambire a nessun merito
né plauso.
Questa è la bandiera.
Ciascuno arrida alla sua
nella contaminazione
della molteplicità.
Tutti posseggono un lembo di bellezza
il colore che ispira la passione
d’aver transitato l’orizzonte
assumendo la contezza del riferimento
di quello sperone di roccia dura.
L’esperienza che insegna
e il dolore che ammanta.
Un vessillo sparuto
l’omaggio ai commensali
se mai qualcuno verrà
che ancora c’è tempo.
Sono una bandiera
mi sono destato
con la faccia a terra
con lo sperone di un nostalgico di Salò
spregiato sui denti.
Nonostante questo
per dignità inalienabile
sia di monito
che nessun credito
verso la vita e tutto il resto
potrò mai pretendere.
Nè agli altri negare
la carezza dell’accoglienza
della parola buona
come la bottiglia riservata
per una celebrazione
a festeggiare vocazione e significato
nella bellezza della gioia
coriacea
sopravvissuta.
Lecce
Non sarà che un incedere accennato
su questi vicoli tracciati da mura antiche.
Ogni prospettiva
ogni angolo
svela un’opera
dove il gesto umano
del fabbricare
nel gioco delle proporzioni
degli utensili e dei materiali
testimonia la parola
il racconto
l’evocazione autentica
di intima spiritualità
senza mediazioni
la ribalta dello spirito
dando evidenza
per quello che appare
a una bellezza tribolata
mai compiuta
e senza conclusione
all’indicibile tormento
ricercando il centro
di ogni tratto
generato.
Hanno voci distinte
questi vicoli antichi.
Vago come un Cristo
irredento alla croce.
Padre!
non mi abbandonate.
Mio umano Padre.
Sia
in questi cammini desertici
dove smarrisce la parola
l’esperienza spirituale
che dicono mi difetti
ad accogliere come una comunione
il sentimento della paura
tremante sul ciglio del vuoto
ebbro di tregua e quiete
per riconquistare la rinascita.
Nessuno sopravvive al proprio destino
alla propria vocazione
all’unica legge imperitura.
Si compia l’estro nel coraggio
l’attitudine nella perseveranza
da qualunque miseria e tempo
si abbia tenacia a muovere
riprendendo il desiderio
l’inclinazione nel nome
all’estremo
raffigurandomi senza una goccia di fiato
sperso nel giudizio universale
sopravvissuto al muro di un maniero
al quadro immenso
dipinto di fastosità policrome d’ogni dove.
Immobile sto
sulle mie gambe assenti.
Raffigurato riconosco
un amorino sbrecciato
con la smorfia di una crepa
vilipesa sulla faccia.
Carry over
Ho avuto incontri
e pensieri mai scritti.
Hanno accompagnato la vita.
Mi hanno insegnato tutto.
Non restituirò niente.
Vita
Ti lascerò andare
l’amore non chiude il mondo nell’eternità dell’egoismo
negli spiccioli avari rimasti
nel sonno eroso dal sospetto
negli sguardi bruciati dal rincrescimento.
Ti lascerò andare
vivere di grazia e bellezza un nuovo cominciamento.
Tutta la vita che abbiamo camminato
ha il petto discinto
il nudo ricordo
della mia intimità compiuta di fronte al mondo.
Ti ricorderò con il tuo nome
Vita.
Le voci
I miei giorni più belli
stanno come un drappo piantato alla barricata
di fronte a questo presente sbandato.
Come un esercito di sfollati
stanno i sogni
tutti consegnati al ludibrio.
Lacrime e risentimenti
una diversità mai vista
di universi intimi
efferati
come belligeranti sanguinari.
La sera non c’è riparo
retroagisco in stanze provvisorie
dove aspetto i tuoi numeri circensi
con gli occhi che ancora conoscono altro da qui.
Una resistenza
da vestire con le parole
che servono
ad inventare il coraggio
che non ho.
Poco alla volta accade una speranza
da frantumare al muro del desiderio istintuale
della bestia che mi ha stretto in questi confini.
Un recinto
una masseria desertica al sole
celata da fili tesi
a panni tutti uguali
ossessivamente ordinati
come solchi di risaia
filari di vigna in Langa.
Aggrappato ad una sola speranza
ad un camminare fattosi affannato
dagli occhi lucidi
di un uomo
che ha pianto
raramente.
Servono evocazioni
la forza che viene a sostenere la via Crucis
quello che ho salvato
dell’uomo e il mare
di ciò che sembra il destino
cui non può opporre altro.
Una diaspora
una frenesia che toglie il fiato e spaventa
di quel mistero da bambini.
Non dico niente a nessuno
e preparo gli intrugli
tra gli antri come un soldato.
È difficile che qualcuno venga fin qui.
Almeno questo dà fiato
e il balzo prossimo per tornare nell’agone
con la mia anima desiderante
e tutti i miei morti in processione.
Saprò ergermi baluardo delle vostre voci.
Mi avete aperto la strada
su questo confine.
Non cerco altro posto dove andare.
Staremo ancora tutti insieme.
Tanto tempo.
Tanto tempo.
Un fiore tra i palazzi
Di tutto questo lavoro
resteranno i momenti in cui ho vissuto l’incertezza
per quello che sto facendo
e l’atteggiamento fragile quanto prezioso
sbocciato come un fiore
tra palazzoni grigi di un orizzonte soffocato dal cemento.
Io sono questo fiore.
Il mio desiderio
l’inclinazione che non si piega
incommensurabile fragilità nella bellezza di un’idea
identità irriducibile
che vive, soccombe, rinasce
accogliendo gli affanni, le incertezze di essere esposto
senza conoscere gli eventi, seguendo le passioni ignoranti
che non esiste nessun vero sapere.
Ogni sera porto una goccia d’acqua, e ricordo la strada del mio fiore.
Ho conosciuto altri fiori, il divenire di una primavera, l’intenzione che sento crescere.
Allora lo vedo.
È difficile amare, senza dimostrarsi niente
capace di fare a modo mio.
Che altro è la bellezza?
Aprire le porte del possibile ignorando le maschere del futuro
e stare appeso
accomodato alle precarietà con il volto insolente del coraggio
fatto da me
crescendo il fiore tra i palazzi
ancora la sera tornando a ciò che sono
oscillando come un pendolo
abbracciato al mio equilibrismo quotidiano.
La prossima onda
Resto affezionato ad ogni presente
alla vita che trascorre addosso
di cui ho esperienza
all’appartenere frammentato
a questa natura riflessiva e derelitta
disseminata ovunque
senza dimora
l’invisibile attesa
di una complessità surreale
senza fatti
tutta impressioni
raccontata all’estro
e all’emozione del caso.
Ho voglia di altrove
un balzo
una metafora fuori dal mondo schizzare
mentre l’ilarità si appresta a massacrare
il sogno fragile
di un’immensa gratitudine impossibile.
Sono le cose prossime
gli anelli cui aggrappare
il potere dell’intenzione
un immenso memorabile.
L’immaginazione di un oceano assolato
da camminare da solo
la mattina presto
da scribacchiarci sopra
come un vivente.
È’ possibile ricominciare da ogni presente.
Decido che non ho nessun debito
fuori dalle convenzioni barbine
di questo cortile litigioso.
Senza giudicare nessuno
con discernimento
senza presunzione.
Questo avrei voglia di essere.
Magari è tardi
ma non è detto
sino alla fine
come al cinema.
La prossima onda va bene
tutta da imparare.
Coraggio
amore mio.
Incompiuto
Radi fuochi.
Una manciata di giorni.
Farò come viene.
Nulla potrà essere redento.
Resterò incompiuto
come ho vissuto.