PAX
Pilotto Renato
Dedicato a chi
ha il cuore stracciato
dal presente
La vita e la storia
Nella memoria del tempo c’è un’aria che fruga le case e s’inerpica fra le valli fresca e improvvisa, spavaldo preludio ai venti che spazzano la pianura.
Dentro la sua voce, folle di uomini prestati a questa terra e dissolti in quel vortice d’esistenze che il tempo spegne inesorabile. Di tanto in tanto è concesso uno spiraglio alla vita, ebbra d’emozioni e rischi, beffarda e imprevedibile, sempre effimera. Anche il fiume, con i suoi pioppeti, si porta dentro un carico di vite a cui la gioventù non è bastata e, con voce sorniona e flebile, traccia indifferente la strada che porta al mare.
Niente, fuorché il divenire delle stagioni, si ripete uguale in queste terre che scorrono rapide dentro l’occhio della poiana e si plasmano docili e feconde sotto lo zoccolo e la ruota. Spesso la notte, densa e improvvisa, spegne il giorno quando ancora il lavoro preme e la sua legge si stende inarrestabile sull’ultima gazzarra. Nel cortile vuoto, tagliato dalle traiettorie oblique di chi rientra frettoloso, il pensiero insegue l’affanno del domani incerto e senza posa. E’ allora che l’agguato dell’anima si fa più palese e scava senza pietà il volto provato del vecchio. La palpebra chiude la porta al giorno, sguinzagliando pensieri, emozioni, sentimenti, come fari profondi che scrutano le strade impervie dell’anima e sanno di vita e di morte, sovrane depositarie delle domande che uniscono il passato al futuro, l’esistenza all’eternità.
Nella campagna le tenebre gelano l’aria e preparano il nuovo giorno sulle ali del predatore attento. Già l’alba è vicina e nella gola del gallo il giorno sfugge alla notte dagli artigli spuntati. L’aria s’infiamma ed è tempo di nuove avventure, a cavallo di un’ansia che non si appaga e che alcuni alimentano di sogni e cocenti delusioni.
MANIFESTO
L’attesa ovunque sale
nel plagio e nell’accenti
del tempo che distilla
come strappo di veste.
Sono fitti sensali
e lor versi agitati
a piè del monumento,
intuizioni solari
affollate di volti
dissolti sull’ardesia.
Essenza d’un passato
fatto zolle e sartie,
senza’albero ne’vela,
dove fiacco il ricordo,
l’idea ancor sconfigge.
ECCO IL LAMPO
LA RAFFICA
IL VERSO
COMPARSO
Penoso è sempre, ai sopravvissuti,
dar pace a vuote case e lor squallore,
scoltar sommesse voci con pudore,
estranei sempre, e anche un po’ sperduti.
S H O A H
Terribile la notte sulle alture!
Al cielo muto tremano le stelle,
fasci di fotoelettrica la scure
s’abbatte in corsa sulle sentinelle,
dentro l’occhio rapace dei lupi
che dilagano fuori dalle celle,
dove covar seppero assilli cupi
contro il solone saggio e l’assennato,
che alti aspettavano sull’erte rupi.
SYRIA
Acuta falce
Rivolta all’Occidente
Sdegnato taccio
MAESTRA VITA
Poiché la sera incombe e annuncia il gorgo,
del padre tuo sia fatta ammenda e viri,
in casta anima assorta ai suoi deliri,
l’angoscia a vita tua che ancora scorgo,
portando altera in ritrovato stormo
un casto cielo fresco ai suoi sospiri,
prima che il vento cambi e si ritiri
portando nubi allo stupito borgo.
Del figlio mio maturo accolsi il cenno
nei tanti suoi richiami al nostro gioco,
tacendo invece nota al poco senno
d’un padre spesso intento ad altro fuoco
che al fin di vita intensa e forse vana
allunga mano a figlio anche per poco.
Del padre mio intesi fiacca e strana
sua tarda redenzione in bianco letto,
perciò al figlio tolsi idea insana
d’un padre assai distratto al suo bacetto
e l’ali spalancò come alta vela
mentre il maestrale gonfia al suo cospetto.
Più tardi colsi il cinque con ardore
da quella mano un dì assai piccina
che carezzava fulva ragazzina
lasciando me stupito al suo candore.
Passati erano gli anni e lui attore
del complicato mondo suo, fucina
indefinita d’arti e razze, mina
ai cavalieri miei senza spessore.
ESCLUSI
Non ebbi figli miei
ma tutti i figli vostri
che un giorno rifiutaste
saper dolori e mostri.
Li vidi astuti in volto
sgusciar di notte oscura
cercando il paradiso
in grande lor premura.
A volte mi stupì
scoprir lor padri pure,
senza mai dire poi
l’ambasce e le torture,
perché la vita ammazza
senza frontiere e caste
senza guardare in faccia
le donne mai rimaste.
I figli ch’ebbi un dì
cercai che fosser forti
più del nemico mondo
dei lor compagni morti.
Purtroppo debbo dire
che i sogni son coltelli
piantati dritti al cuore
e pieni di tranelli,
che a madri ormai disfatte
dall’uomo senza briglie
cercando porre un freno
stupite guardan figlie.
Non ebbi figli miei
ma voi che foste padri
l’invidia non vi coglie
se a donne foste ladri.
E VENNE IL TEMPO
Amai le debolezze e le mancanze,
mentre a Lui chiesi solo si mostrasse
in sconsolate e combattute stanze
dove siam spenti e soli nell’ambasce.
Quest’indecente mondo combattei,
sperando almen perplesso si fermasse,
ma, refrattario o iniquo non saprei,
non mosse un dito e a quell’orribil sfregio
ne calpestai le leggi eppur gli dei.
Ebbi compagno intento al sortilegio
d’insonni notti e mai comuni giorni,
in letti sfatti e grande sacrilegio
di convenzioni andate, dai contorni
vaghi, perché la vita ha i suoi colori
e in notte tarda aspetti purchè torni.
Siam fatti d’avventure amare ai cuori,
che troppa angoscia schiaccia contro i muri
di case nostre arrese ai venti fuori.
Ben presto venne il cruccio e i musi duri
perché di questo è fatta rappresaglia
ai pochi istanti belli e il sogno curi
d’aver passato il peggio e sua mitraglia,
vigliacca attende invece la corsia
e tutta la tua vita par deraglia.
Sorretta dall’impegno e sua magia
t’attrezzi ancora a vita e a non tradire
pena, cercando in casa tua natia
tornar, seppur per poco, e capire
se ancor potessi ritrovare forza,
in chi ti vide afflitto un dì partire.
Intorno affollan tutti loro scorta
per scienza e arnesi irriverenti, ma
il tempo scappa e più vigor si smorza,
finchè sei sola e alcun parola ha.
Il figlio aspetta e tace lo sgomento,
poi stringe mano e intanto il treno va.
FIGLI
Dagli occhi accesi vidi la marina
dove aleggiò la mia maturità,
ben presto fu acerba brillantina
a prenderli per mano in quell’età
di specchi gran madrina e invece avara
dell’allegria fino a senilità.
Se vita faticosa mi fu chiara
il bimbo tanto amato, poi adulto
tormentato, mi fu scoperta amara.
BREVI LE STAGIONI
I figli in fretta allentano l’ormeggi
e noi che al molo stiamo invan sgomenti
pensando in mare aperto alcun l’osteggi,
vorremmo dar la mano in quei momenti
e trarre in salvo loro e quei mocciosi
in cara foto che or piangiamo assenti.
ma l’orizzonte inghiotte i nostri tosi
e in men che non si dica volge vita
a noi che l’altro ieri fummo sposi.