Il Sole oltre la Tempesta (romanzo rosa in corso di stesura assieme ad una collaboratrice)
Estratto 1
Una melodia dissolveva tra le mura d’un assorta casa di campagna: spaziava, leggiadra, infondendo sconsolata quiete, e riempiendo il vuoto delle ore mattutine. Il cielo, spettatore silenzioso, dietro le tende opache, schiariva dopo una lunga nottata piovosa, lasciando che i luminosi raggi del sole carezzassero il volto dell’uomo, passionale sfioratore d’archetto, in piedi accanto alla finestra, delineandone la rigida mascella, le curve morbide dei ricci capelli bruni, e snebbiando i profondi occhi blu, immersi nel suonare, sotto le accigliate, fosche sopracciglia.
L’uomo ignorava il telefono vibrante nella tasca della giacca, mentre completava quella sinfonia amareggiata, che una lacrima accompagnava. Suonata l’ultima nota, si fermò, voltatosi verso il cielo roseo, ad assaporare la completezza del brano, la sua delicatezza, e l’aspro amaro che abbandonava, nella testa dell’unico uditore. Il vibrare del telefono non cessava, ma, anche questa volta, non volle rispondere. Nutriva l’animo dell’appagante sensazione interiore: come se si trovasse all’interno d’un profondo sogno,
perduto tra pensieri vaghi ed incompleti, tipici dell’inconscio, ma in completa coscienza di ciò che stava accadendo. Chiuse, delicatamente, l’antiquato violino nella custodia: la zip era l’unico rumore udibile nella casa, e, poi, fu la porta.
Estratto 2
Il portone cigolò lievemente, con un soffocato tonfo, poi, si richiuse alle sue spalle, sfiorando la bianca pelle scoperta ed insinuandosi all’interno della sottile, candida, manica della camicia. Un delicato soffio del vento raccolse un suo incerto sospiro, frutto dell’incapacità di comprendere quel disordinato accumulo d’emozioni sfuggenti, nulle, eppure colme di disagio, rammarico e, al contempo, sollievo, che, ingombrando la sua assorta mente, dipingevano, sul suo volto tagliente, un’insolita quiete tormentata. Sensazioni di piacevole disagio confondevano il suo Io interiore, indeciso se soffocarle o accoglierle. Aprì lo sportello, ed un’afosa aria bollente lo investì; il sole si era posato sull’auto color della pece, trasferendone i raggi all’interno. Volse la mano al condizionatore, dopo aver ruotato la chiave, ed il sottile “click” lo fece ammutolire…
“…Mettila giù, oppure sarò costretto a spararti!”
Il braccio sospeso, invaso da un tremolio irrequieto.
“E’ quello che voglio… lungo taglio…”
Gli occhi fissi al vuoto, terrorizzati.
Rinvenne allo squillo del telefono, sussultando lievemente. […]
Lo appoggiò sulle gambe, sospirando nel tentativo di mantenere un controllo perduto.
Il respiro, peró, si affannava. Egli appariva esangue riflesso nella visiera di fronte a sé, esausto, sperduto, nauseato, terrorizzato. La fronte cristallina, attorniata da piccole gocce, pallida e tesa nella preoccupazione delle sopracciglia aggrottate.
Il blu del mare percorreva la stanza, invaso dall’accecante ardere del fuoco: le sirene urlavano minacciose dietro la porta giallastra del garage.
Lo sparo aveva oltrepassato la pelle del giovane, accasciato a terra, di fronte a quello inerme della fanciulla dalla vita, da lui, strappata: due chiazze rosse s’avvicinavano, riunendo due mondi distanti poco prima, infinitamente vicini adesso, accomunati dalla perdita di una vita difficile ed imperfetta, colma d’odio e diffidenza, dall’assenza del respiro.
Sentiva lo stomaco stringersi dentro di lui, ed un flusso acido gli percorse la gola.
Si voltò verso il freno a mano, ed allungò la mano febbricitante, raccogliendo il barattolo arancione dal fondo perlaceo. Lo aprì preso da una crisi respiratoria: rovesciò il contenuto sulla mano, lo gettò all’interno della bocca impastata. Tre lunghe e regolari pillole bianche discesero la gola, malgrado nella confezione fosse esplicito l’uso strettamente necessario di una sola di esse. Distese il collo, lasciando posarsi il capo sul sedile, mentre le mani sfregavano sopra il morbido tessuto del pantalone da ufficio. Si dissolsero nello stomaco, svanendo come, ora, quell’agonia disprezzante, quel profondo taglio nell’emotività. Sospirò vociando, quasi stesse eliminando dal suo interno quel dolore, fin ora confinato nelle sue membra, soffocante, lacerante, lancinante. Si tramutò in rivoli d’acqua sul volto, abbandonando i suoi occhi ciani, inondando, invece, le sue pallide guance, fino a giungere al solco basso delle labbra, mosse dal lieve sbattere dei denti, ed, infine, ricoprire i piccoli solchi del mento irrigidito dal pianto. Una tempesta in lui si era spenta, giaceva, però, dormiente nelle vie ostili del suo animo, pronta a risvegliarsi ed assalirlo: lo sapeva bene.
Partì pochi minuti dopo, ripercorrendo la strada principale, mentre un’ondata di piacere ed assoluta quiete gli percorreva il corpo, facendo cessare tremolii e nervosismi. Scese dall’auto dopo una lunga attesa alla ricerca di un parcheggio, quanto meno, vicino all’immensa struttura ocra, di cui un ramo apparteneva a lui. Raggiunse il portone grigio, aprendolo d’improvviso: un vociare allegro si spense come la chiusura di un rubinetto.
Romanzo rosa in corso di stesura (attualmente senza titolo)
Estratto 1
Rosee, nel cielo fluttuanti, trafitte dai molteplici raggi aurei del sole, di fronte al corvino delle strade, apparivano come affreschi d’una divina mano ispirata, così il cielo scindeva dal taciturno grigiore del mondo: Olimpo greco, cui divinità incuranti cibarie divoravano assistendo ridenti allo sbrancarsi del mondo, esenti dal dolore e dalle fatiche. A questo Juliet pensava, mentre scendeva dal pandino viola, alla ricerca del coraggio per ricominciare. Alte si elevavano le ramate tegole della scuola Sant Angelo Michele: il suo nuovo lavoro. Un nodo alla gola, pozzo abissale d’un dolore stagnante: premeva nello stomaco, così nel petto e nel cuore. Nelle tempie stridulo l’echeggiare di un “Ti ho tradita”… Il cuore palpitava, le guance fremevano, il pugno stringeva.
Ricordava il volto di quell’uomo, futuro marito, paonazzo e colpevole, dispiaciuto d’averla presa in giro quanto di averle chiesto la mano. Quel fatidico giorno, lei alzò furente lo sguardo, e lanciò a terra il piatto. S’agitava, urlava, sbraitava, svuotandosi d’ogni incertezza che da tempo la tempestava. Il tradimento la ferì, ma non quanto la consapevolezza di averlo previsto tempo addietro e di essersi convinta del contrario: al sicuro nel cantuccio di un’illusione da lei stessa, non vedente per scelta, creata. Un respiro profondo: futile ricerca di pace interiore.
Eppure, nonostante la violenta battaglia ancora in azione, il dolore, cullato da un pensiero improvviso, giacque ed assopì stanco: la speranza di una vita diversa, nuova e rigenerante, rese vacuo il tempestare dei fucili, come brusii distanti, seppur fastidiosi.
Riaprí lo sportello dell’auto, sedendosi sul sedile anteriore: prese lo struccante, ripulendo lo sguardo dal nero colato, e ritinse le lunghe ciglia con un velo di rimmel, così come ridipinse un sorriso timido sul suo volto e ridenti occhi speranzosi. La scuola apparve ai suoi occhi, dapprima annebbiati dal pianto, un varco di nuove incertezze e future certezze, novità che solleticavano una curiosità inaspettatamente gaia seppur nauseante all’ugola.
Estratto 2
Il chiarore dei suoi occhi, nuovamente, s’imprimeva nel suo sguardo ed, impetuoso, s’insinuava dalla retina alla gola, febbrilmente percorrendo le sue ossa, mentre, dinamico, raggiungeva il ventre, eppure non provocando un eccessivo turbamento o l’assenza di fiato, come accaduto la mattinata stessa; contrariamente, al di fuori di qualsiasi aspettativa, sospendendo i battiti del petto ad una frequenza chiassosa, seppur rallentata, rimbalzante nello stomaco che fremeva senz’agitarsi. Avrebbe voluto comprendere quel che le stava accadendo, ma non lo concepiva: mai aveva sentito una così aggressiva, ed altresì confortevole, sensazione.
Sentiva il suo sguardo attraversare ogni atomo del suo corpo, sprigionando formicolii dirompenti: avrebbe voluto avvicinarsi a lui, e questo le faceva tremendamente paura.
“Ecco a te, cara.” disse Samantha, sottraendoli dalla situazione venutasi a creare.
Lasciò il caffè di fronte al professor Magnani, il quale aveva abbassato lo sguardo quasi turbato: si chiedeva cosa fosse cambiato rispetto al primo incontro, cosa avesse pensato di lei precedentemente e cosa lei avesse provocato in lui, invece, in quel momento.
Lo osservava mentre strappava la superficie di una bustina opaca, lasciando, poi, scendere lo zucchero all’interno del bruno nettare fumante appena posato sul tavolo. La rigidità e l’autorevolezza dell’iride sembrava, ora, dissolta nella dolcezza del calore di un cielo terso alle prime ore crepuscolari, quando il sole, mite, giace tra le danzanti ombre degli alberi, ma ancora chiaramente non si scorge. Avrebbe voluto coglierne la luce e scaldarsi coi suoi raggi, ma il timore di un ustione le faceva desiderare l’opposto: doveva stare lontana da lui.
Estratto 3
Libravano leggiadri quotidiani granelli opachi nell’evanescenza di eterei fasci, che ne palesavano le danze, filtrando il bagliore pomeridiano d’aureo riflesso, carezzevole sull’incarnato perlaceo: rilucente lo sguardo rivolto all’esito di qualche calcolo disordinato, scontratosi con le regolari linee della quadrettatura; lo scintillio oltremare dell’iride, sotto il soave influsso dei raggi soffusi, schiariva la fisionomia dei solchi pigmentati: irregolari imperfezioni, dalla geometria scorretta, così come solo le più limpide acque. Di codeste, la fragorosa ribellione dell’onde, la si poteva udire sprofondare nell’abissale pupilla, ed infrangersi contro la trasparenza del cristallo: energica risoluzione del pensiero. Chiuse le palpebre qualche istante, lasciando trapelare una stanchezza superiore al semplice ed alla superficialità del corpo, risiedente nella remota incorporea dimensione del, cosiddetto impropriamente, cuore. Non sembrava notare, infatti, alcunché: l’immersione ne aveva attutito i sensi, rendendo vacuo l’esterno. Ogni questione, evento, passante, un sordo tonfo in superficie, mentr’egli s’abbandonava sul fondale d’uno scenario proibito, precipizio ricolmo del chiasso ovattato, forse, della realtà interna da lui creata:
cantuccio di beatitudine, o, al contrario, d’afflizione, cui, però, egli solo poteva accedervi. Tattica difensiva, finalizzata al rifuggire costante, che, tuttavia, l’aspetto ricopriva di un’innegabile mestizia.
Forse, proprio questo l’aveva colpita: quell’imperterrita lotta, da parte di una ferrea personalità apparente, appositamente tenebrosa, contro un sé più fragile. Quando, concedendosi alla riflessione momentanea, anch’essa apertamente si svelava, sembrava quasi ch’egli si concedesse un attimo di tregua: la possibilità di prendere fiato e recuperare qualche forza.
Ne ammirava la complessità, lasciando che quelle emozioni, appena scrutate, potessero attraversarla, sicché un brivido la scosse, percorrendo dolcemente, assieme alla tranquilla andatura del respiro, il roseo strato epiteliale. Ne avvertiva il flusso, mentre sostava nel petto rigonfiante d’aria, e s’attenuava durante il rilascio di quest’ultima: il resto svaniva ai margini della figura di quell’uomo e dissolveva nell’indifferenza. Per un attimo, il tempo che intercorre tra il pensiero e l’azione del parlato, luogo, atmosfera, data e ora, esaurirono il loro significato. Ed ogni sensazione esplose scindendo dalla, oramai vacillante, consapevolezza.
Riflessioni descrittive
Il crepuscolo
D’indaco si dipingeva il cielo, mentre il sole calante sostava al confine del mare, riflettendo luce corallina e bagliori aurei sulle soffici onde stellate dai raggi. Rosea fu l’atmosfera del bacio candido che mi diede: sbocciarono sogni amorosi e piacevoli carezze. Soffiava delicato il vento primaverile, e le margherite, sul prato verdeggiante, danzavano leggiadre, al ritmo del cuor palpitante dei giovani innamorati. La primavera reca speranza, e solleva i tremori del gelo invernale, così facendoli svanire e mai più tornare.
Crescono lieti gli animi della folla, assuefatti dall’odor d’un dolce risveglio d’intensa vivacità.
Marea
Il candore dell’aria penetrava l’epiteliale tessuto bronzeo, aureo riflettendo l’irradiare soave del fulvo sultano dei cieli, i cui raggi, direttori dell’orchestrare scintillante delle celestiali acque, dissolvevano tra l’assottigliarsi dell’orizzonte perduto e l’annuvolarsi perlaceo ridipinto in superficie. Il vento sottraeva gli animi dall’immortale cruccio terreno, scompigliando le capigliature, di salsedine e cerei granelli
ricoperte, mentre risa armoniose scivolavano sugli arti degli uni e degli altri, ed i bruni corpi madidi rilucevano dell’eterea libertà. Vivaci incarnati e costumi inumiditi, si dimenavano esultanti, cavalcando il dinamico echeggiare delle popolari grida della radio locale.
Vivida era l’armonia degli animi, vibranti di passione ed assolti da un qualsiasi pensiero tortuoso: la sacralità del riposo albeggiava tra le prime luci estive.
La notte stellata
Una serenata, al barlume lunare, il perpetuo canticchiare delle cicale. Le stelle scintillavano nell’oscurità, sostituendo l’infausto imbrunire dei cieli col rifulgere di diafani fasci, cui, al di sopra, il risplendere di articolate costellazioni incastonate nell’elegiaca sublimazione di un Van Gogh naturale. Così, tale inimitabilità impressa nelle celestiali iridi di una donna innamorata, che al suo Lui il volto rivolgeva, ed egli, accaldato e rigonfio di passione, alle Stelle speranze cedeva, alla Luna il desiderio di un bacio risiedente nell’immaginario condiviso di un desiderio germogliato dall’infrangersi dell’onde nel fulcro emozionale di ambedue gli animi. La notte s’immerse nelle acque, così rilasciando l’ardere dei freni nel fremere dei corpi.
Rugiada
Io sono rugiada.
L’acqua scorre gorgogliante dai fiumi ai cieli,
e posa quest’essenza sulle superfici terrestri,
inondandole sottovoce.
Io sono rugiada e ne rifletto la luce.
Rondini
Quelle rondini sfuggirono al grido del tempo, e sfrecciarono via,
dove l’onde catturano i cieli ed il mondano vivere ribalta sulla superficie balneare; dove costellazioni tingono le spiagge,
la Luna sussegue il
Sole e lo attende,
cosí nel giorno svanisce
e nel roseo appare al suo calare.
Le piume in lontananza libranti, coi piedi all’orizzonte
e l’animo in fiamme,
padrone divennero della libertà.