Silvia Tosato - Poesie e Racconti

Le stanze della mente

 

Il mio cervello è composto da stanze, a volte ordinate altre volte no.

Ognuna di loro ha delle caratteristiche proprie, ma è in continua mutazione, a seconda della crescita, del luogo in cui mi trovo, del momento e dell’umore.

Quando era più piccola prevalevano i toni pastello, immagini semplici e non dettagliate, governate da un forte sentimentalismo, anche se facevo una certa attenzione alla scelta dell’arredo, ben consapevole che, anche stipando fino all’inverosimile le camere, prima o poi, si sarebbero inevitabilmente riempite completamente e, a quel punto, non avrei più potuto aggiungere nient’ altro. Essendo soltanto una bimba la scelta risultava più semplice perché disponevo di una serie di possibilità  molto limitate, anche se rispetto ai miei coetanei, avevo già un panorama sufficientemente variegato.

Fin da bambina, da brava esteta, mi assicuravo che il risultato finale fosse, il più possibile, conforme al mio ideale di bellezza, malgrado questo fosse piuttosto elaborato e alquanto strano.

Sommariamente posso scegliere il mobilio e le suppellettili, e, con un certo sforzo, posso riordinarli o accatastarli. Alcuni, nel tempo, mi hanno annoiato oppure occupavano troppo spazio inutilmente e quindi li ho buttati per sempre o sostituiti e confinati in qualche angolo remoto che non conosco neppure io.

Per esempio: tutti i famigerati ricordi delle medie gli ho confinati in soffitta, le magre nozioni di musica abbandonate a loro stesse, le lingue messe su un alto scaffale da tirar giù solo nel momento del bisogno, i brutti ricordi selezionati o nascosti in cassetti con la chiave, altri che non posso ignorare, sempre soggetti a continui smottamenti nel vano tentativo di trovare, finalmente, uno spazio definitivo per loro.

La mente è un luogo talmente vasto, seppur con dei confini, che tu pur essendone il proprietario, non ne conosci l’intera mappatura e a volte capita di trovarsi in un luogo fino a quel momento sconosciuto o perdersi.

A me capita spesso di perdermi tra i ricordi, sia quelli belli che quelli brutti, mi ricordo di una piccolezza che però all’epoca mi era sembrata catastrofica …

Al cinema: è stata una delle esperienze più brutte che io abbia mai vissuto, non è vero, esagero, ma mi era sembrato così. Uno di quei momenti in cui ardi dalla voglia di scomparire. Tutto è iniziato la mattina in cui dovevamo uscire. Era il suo momento: aveva l’occasione di dimostrarsi una buona amica. Me lo aveva promesso una settimana prima, è tanto tempo per organizzarsi. E poi scoprii che doveva fare una visita, privata, quindi lo sapeva. Mi è crollato il mondo addosso. Non parlavamo più. Da quando stava con il suo ragazzo io ero come evaporata, nel nulla, dissolta. E così anche la nostra amicizia. Forse la aveva solo riposta come una vecchia scatole di cianfrusaglie sul ripiano più alto. La tirava fuori solo quando aveva bisogno di qualcosa. Oppure in caso di un estremo attacco di blu nostalgia. Poi mi scriveva parole dolci. Mielose. Mi veniva il volta stomaco, trovavo tutto ciò ributtante. Mi faceva schifo, come la carcassa di un animale sul ciglio del marciapiede,con quel pizzico di pena.  È solo un avanzo della persona che era. Mi manca quella persona. Alla fine però decise di venire lo stesso. Ammetto: un po’ lavevo forzata io. Forse più di un po’. Mi ero lasciata prendere la mano. Volevo tantissimo che mi dimostrasse che avevo torto. Su tutto.  Ma purtroppo avevo ragione. Avrei tanto voluto non avere ragione. Non si era portata i soldi.Si comprò un menù usando i miei,senza troppi convenevoli. Ma il divertimento maggiore doveva ancora venire. Il film passò. Mi faceva delle domande sul film. Ma non l’aveva già visto, mi chiedevo dapprima tra me e me e poi ad alta voce. Mi rispose indispettita anticipandomi una scena del film. Sbagliando dei dettagli tra l’altro. Non dubitavoo che riguardasse i film tante volte, con una memoria così…E poi se ne andò. Uscì dalla sala dandomi un rapido e indifferente bacio sulla guancia esercitando una pressione appena sufficiente da sentirlo. Il film non mi era piaciuto. Troppo studiato per il classico americano da american way of life. Ma probabilmente non mi era piaciuto perché non ero mai stata al cinema da sola. È una cosa tristissima. Ti senti come un naufrago su un’isola tutt’altro che ospitale. Come un pesce sul prato. Come una patatina in mezzo ai poc corn. Insomma fa proprio schifo. Veramente. E poi all’uscita che tutti mi guardarono chiedendosi cosa avessi fatto per scacciare la mia accompagnatrice. Aveva lasciato le carte del panino per terra. Personalmente lo trovo oltremodo maleducato. Così le gettai io. Rimarrà sempre impresso nella mia memoria, come parole incise nelle carne, la sensazione di abbandono. Mi sentivo in una terra desolata. Lei è stata la mia desolazione.

Ora questo ricordo è uno sbiadito sentore, e se ci ripenso, non sento nemmeno un po’ di ciò che avevo provato.

In alcune stanze si trovano immagini di ricordi che ho vissuto, che si sono impressi nella memoria a forza, corredati delle loro emozioni, e questi, per quanto possa nasconderli, accatastarli sotto pigne di altre immagini, non posso buttarli, perché diventano parte di me.

Per esempio ora, mentre sto semplicemente pensando a queste cose, un ricordo riaffiora e si fa spazio fino ad arrivare nella stanza principale, mi ricordo un frammento, un’immagine di qualche tempo fa, semplice ma inseparabile dal mio io…

Non sei molto attento alle parole vuote dell’ennesima professoressa che tenta, invano, di infilare a forza concetti astrusi nelle nostre menti assonate. Rigiri tra le dita la tua penna nera con una naturalezza tale che per me quella biro è come se volasse tra le tue agili e sottili dita. La pelle è come avvinghiata alle ossa in questa bellezza scheletrica. Mi soffermo sulle tue mani, in quel momento mi appaiono così perfette mentre eseguono un movimento fluido che per altri sarebbe difficilissimo (compresa me) …un complesso ordito di vene azzurre si cela sotto la pelle lattea, formando un disegno armonico. Mi apparire così fragile, così etereo mi sembri così … il mio sguardo risale sul polso in cui esse si intrecciano fino a dove il mio occhio può vedere, mi perdo nelle linee contorte…immagino di seguirle toccando delicatamente con la punta del polpastrello, immagino le sensazioni, l’idea di toccare la tua stessa vita attraverso questo semplice gesto, sento scorrla come un brivido. Un fremito mi riscuote dal torpore di quella perfetta illusione, nulla è cambiato: niente. Nemmeno uno degli innumerevoli altri presenti ha notato qualcosa, tu non hai alzato lo sguardo dalla penna che vortica tra le tue esili dita, io sola mi sento diversa.

In qualche modo questi estratti di vita quotidiana ci modificano e ci determinano, e anche una cosa così semplice può diventare una parte di fondamentale importanza per la nostra personalità.

A volte mi diverto a viaggiare per i cunicoli, i sottopassaggi e, sostanzialmente nella mia grande casa-mente.

Ne ammiro ogni luogo, come un fiero padrone di casa che mostra la sua villa a dei popolani, facendone notare ogni anfratto, la cura al dettaglio più minuto, come i mobili in mogano decorati a mano secondo antiche tecniche giapponesi abbinati alla sfumatura dalla tenda.

Mi piace ripercorrere ciò che ho accumulato: le nozioni teoriche, che ho scelto accuratamente, come tutte le informazioni sulla beat, che mi hanno richiesto ore e ore di scrupolose ricerche, nelle giornate estive di qualche anno fa e che ora si presentano come mobili dai vividi colori sgargianti, da cui, spesso, tolgo la polvere di modo che non si sbiadiscano e siano sempre in mostra.

Come a tutti, non mi reca affatto fastidio sembrare meglio di quanto non sia, quindi, soprattutto con persone nuove, mostro i mobili dall’aria più pregevole, le suppellettili con un’aria più sfarzosa, anche se spesso inutili, come argute citazioni, piccole parti di un libro a memoria o altri ninnoli.

In alcune occasioni, però non sono in grado di scegliere coscientemente dove andare, ed è la mente che mi porta in un luogo di suo gradimento, spesso recondito o che ho provato a dimenticare con tutta la mia forza e questo succede o quando mi incanto nel nulla, o quando sono stressata, oppure quando sogno. Un giorno ero particolarmente triste e la mia mente mi ha giocato un bruttissimo tiro mancino, mentre ero sveglia. Spesso faccio fatica a parlare con alcune persone, anche se voglio loro del bene, e mi immobilizzo nel tentativo di parlargli, davanti a me c’era mio padre…

Le parole volano leggiadre, come fogli di carta in balia del vento, le mie e le tue. Parole di scuse non se ne sentono, ci sono solo parole sincere, di schietta e crudele onestà.  Si susseguono rapide. Sembra quasi che si inseguano come cavalli al galoppo durante una corsa. Sono felice. Per una volta non sto né mentendo né mistificando: posso finalmente essere quel disordinato accavallamento di errori quale sono. Mi sento più leggiera, sto volando anch’io come un aquilone seguendo il ritmo delle leggiadre parole. Danzo. Danzo per me stessa. Per la verità. Per te. Mi faccio travolgere come sabbia da una marea nel l’impeto della gioia. Abbiamo parlato per ore. Per davvero tantissimo tempo. Di tutto. Non mi ricordo quando era successo l’ultima volta. Possibile che non sia mai accaduto? Probabilmente si, eri troppo occupato ad insultarmi e io a nascondere la vera me per celare le innumerabili imperfezioni. Esprimo le mie opinioni liberamente, sono così leggere le parole che non riesco a trattenerle con le labbra, scivolano fuori come la brezza d’estate in riva al mare. E poi ad un tratto capisco. Realizzo il tutto. Non era reale. Era solo un ‘ illusione. Una banalissima illusione. Ma alla fine non importa. Finché mi illuderò ci sarà la possibilità che io sia felice, come un bimbo che tiene tra le braccia un giocattolo che desiderava da moltissimo tempo. Ma puoi sempre toglierlo di mano e così ha fatto la realtà con il mio fragile e splendido momento. Distolgo lo sguardo da quel punto sulle scarpe di lui in cui mi ero incantata.  Mio padre mi guarda strillando. Il mondo fa più schifo di quanto ricordassi.

La mente inganna, crea delle false immagini che spaccia per ricordi, o ti impedisce di vedere ciò che sta accadendo realmente, per rielaborarla in modo proprio e farti credere che la tua vita stia andando come vorresti, ti fa credere che sia reale.

Ma secondo me il momento peggiore non è questo, in cui vaghi semi cosciente negli interstizi della tua mente, assolutamente no il momento peggiore è quando la tua casa prende completamente il comando di te e crea di continuo nuove stanze, nuovi mobili, nuovi oggetti. Quel momento è il sonno, in cui attraverso i sogni Lei prende completamente il controllo della situazione, ci sono volte in cui rielabora la realtà ed un fatto che volevi fortemente andasse in quel modo riesce a concludersi esattamente come avevi sperato oppure quando rielabora un brutto fatto e si inventa strane metafore o allegorie per presentarti lo stesso concetto ma in un altro modo. Ci sono volte in cui, però, crea proprio un universo a parte…

Non riuscivo ad addormentarmi, il sonno non voleva, in alcun modo, impossessarsi di me.  Guardavo ogni cosa fosse vicina al mio letto, toccavo il legno fresco del comodino, guardavo la lampada, il libro di lettura con il suo segnalibro con un’immagine di Klimt, la penna posata su un foglio bianco in attesa di essere riempito da pensieri non ancora sbocciati, piano piano, sentivo le palpebre appesantirsi fissando il nulla del soffitto, un punto bianco come tutto il resto intorno a lui, scivolavo piano avvolta nel silenzio di camera mia, i muscoli si intorpidivano uno ad uno, perdevo il controllo del mio corpo, sempre più pesante…

Mi ero completamente persa in una stanza celeste.  Non vi era nient’altro se non questo colore sulle pareti, sul soffitto sul pavimento, era come se fossi stata avvolta da un lembo di cielo.  Nessun mobile, nessuna nube, ornava quel deserto luogo. Ero perfettamente al centro, mi guardavo attorno, dapprima non mi accorsi di nulla di strano, ma osservando meglio il luogo diventava sempre più piccolo. Le pareti andavano via via restringendosi, sembravano mosse da una volontà propria, come se volessero schiacciarmi e infine uccidermi nella loro morsa mortale. Mutarono, da sterile azzurro ora erano piene di strane decorazioni caleidoscopiche in movimento costante. Era un po’ come se guardando oltre quell’immagine, apparentemente incomprensibile miscuglio di colori e forme illogiche, riuscendo a vedere al di là della fredda apparenza, potessi uscire dalla quella ignobile stanza e arrivare in un’altra, scappando così dalla Morte stessa. Ora nella stanza saltellavano buffi animali che come me cercavano una via d’uscita, non riuscivo a capire da dove provenissero. Provavo a toccare le pareti ma non sembravano portarmi altrove; erano dure, come cemento, impenetrabili e sempre più vicine, il panico mi assaliva e gli animaletti zampettavano intorno a me sempre più spaventati, ma alcuni ad un certo punto come erano arrivati dal nulla al nulla tornavano, non sapevo dove stessero andando. Dovevo concentrarmi per vedere oltre le cose e forse sarei arrivata nella stanza adiacente, che un angolo della mia mente sussurrava essere la stanza rossa, anche se non sapevo cosa potesse significare. Finalmente ci arrivai. La stanza era vuota, deserta all’apparenza, ma in un lato sgorgava ancora caldo sangue vermiglio, mi sforzai di vederne ogni dettaglio e vidi i corpi morenti di schiere di grandi uomini, era la stanza della guerra, ora ne ero certa. Al centro come unico mobilio si trovava un unico pungiball muta forma che ti permetteva di vedere tutte le persone odiate che avresti voluto prendere a pugni, anche quelle che la parte lucida del tuo io, mai e poi mai avrebbe osato punire. Non capirò mai chi era per me. Non riuscivo a distinguere i contorni del suo volto, mi apparivano distorti, come se fosse tutte le persone che io avessi mai voluto punire fisicamente tutte insieme. Iniziai a colpirlo con rabbia, ma una parte di me non voleva. Volevo scappare e quindi mi sono chiusa nell’unico posto sicuro. L’oblio a me tanto caro.

Il mio sonno fu inquieto, mi svegliai in preda ad atroci dolori, quell’immagine non riuscì mai a cancellarsi, perché, se anche non lo ammisi mai, né con me stessa né tanto meno con gli altri, un volto l’avevo visto, ed era il mio.

In quel caso, la mia mente mi aveva manipolato e creato a proprio piacimento un tormento apposito per me, mi aveva obbligato a pensare, a valutare con più attenzione ogni singola cosa, ma soprattutto mi aveva obbligato a conoscermi e a guardare la realtà, a tirar fuori da sotto il bellissimo tappetto persiano intessuto con filamenti pregiati di attente ricerche sull’io, sulla psicoanalisi, ciò che pensavo e provavo.

Ero stata, così, obbligata ad ammettere che il più grande nemico di me stessa, l’imputato della mia tristezza, il mio giudice ero io stessa, che sotto a tanto sfarzo, parole così attente e forbite, questi mobili così raffinati, esotici addirittura si celava una profonda insicurezza che veniva celata dietro ad una vana e superficiale visione di argutezza ed eleganza.


 

IO SONO VIOLA.

 

 

Io sono Viola, si proprio quella che sta sempre in un angolo, che nessuno nota mai. Ti sei mai chiesto che cosa mi passi per la mente? Cosa senta? Cosa provi?

Io si, me lo chiedo spesso, perchè, a volte,proprio non mi capisco.

Credo sia normale avere paura di se stessi. Non si sa mai cosa potenzialmente si potrebbe  fare.

Soprattutto  ho paura che gli altri mi vedano per quella che sono.

Lasciandomi esposta,fragile. Come denudata dal velo che mi tiene a distanza da tutto ciò che mi spaventa: voi, il vostro mondo, la vita…ma più di tutto ho paura di essere un danno.

Mi sento una bomba ad orologeria e  ho paura che nell’esplosione non distruggerei solo me stessa, ma anche tutti quelli a cui mi sono permessa di volere bene. E questo farebbe male, molto più di quanto io possa sopportare.

Purtroppo la mia vita  condiziona la loro, nel bene e nel male, soprattutto se, per assurdo, decidessi di farla finita .

Per quanto possa suonare strano non ho paura della morte. E credo, per giunta, nel lato potenzialmente positivo della violenza, quello tanto declamato da alcuni autori come, per esempio, DeLillo.

Però ho una paura folle di essere sbagliata. Come una bambola a cui manca un pezzo. Difettosa. Una di quelle rimanenze di magazzino che si può dare via con lo sconto.

Si potrebbe fare lo stesso con me: restituirmi come merce rovinata.

A volte credo di non possedere un volto,un’identità.

Per anni ho cercato di disegnare visi in modo da trovare il mio negli occhi degli altri,ma ho fallito, come spesso succede in tanti momenti della mia vita.

Del resto  che cosa ci si può aspettare da un fallimento,se non l’ennesimo fallimento?

L’orologio della vita continua imperterrito con il suo toc-toc, senza fermarsi per ogni mio errore, senza avere pietà nè dei morti nè dei vivi.  Lasciando invariato e invariabili l’infernale cerchio della vita.

Io, che parola insolita dal suono così altisonante, eppure sono solo due lettere e una sillaba soltanto, ma dietro si celano infinità di definizioni e significati. Molte più sfumature di quante l’immaginazione ne possa comprendere. Una parola sfaccettata che ricorda un diamante grezzo, che va, poi, lavorato.

Da quando ho scoperto che c’erano cose interessanti da leggere quella è stata la mia passione più grande. Ho capito molto più di me stessa  di quanto non avrei potuto fare con un milione di seduto psichiatriche.

Poi ho imparato ad esprimermi, ho iniziato a disegnare, la matita accarezzava leggera il foglio lasciando al suo passaggio una linea delicata, morbida. Solo in seguito ho iniziato a scrivere, dapprima solo semplici frasi, via via i componimenti si sono fatti più complessi e lì ho realizzato che era il modo che preferivo per essere me stessa.

 


 

 

Ti amo.Davvero

 

 

Non potrei immaginare qualcun altro al tuo posto.

Di nessuno mi fiderei come mi fido di te,mai.

Nessuno saprebbe tutto ciò che sai.

Eppure…sento come se fossimo costantemente sul limitare di un burrone,

ci basterebbe un altro errore per cadere,

credo sempre stia per finire.

Ho la sensazione che ogni giorno sia l’ultimo,

e non ho voglia che finisca,

ma è come se ne avessi bisogno.

 

Ho sempre avuto dei problemi con la competizione,

con te mi sento sempre in costante competizione,

e sappiamo entrambi quanto odi perdere

e,con te, credo che perderei,

quindi,forse,non voglio più giocare,

non ce la faccio più.

Mi sento inferiore,in tutto.

 

 

Ho paura che un giorno

quegli occhi a cui non smetto di pensare,

quegli occhi che nella mia mente diventano enormi sfere verdi,

quegli stessi occhi che amo,

un giorno,presto,

vedranno che sonbo solo un castello di carte.

 

 

Sono apparenza,costruzione,

un fragile artificio di una pazza,

un esserino noioso e bruttino,insignificante,

come quella formica,

che poco fa,

ho visto zampettare

nella terra umide,sono inutile.

 

Non sono niente,non sono nemmeno intelligente,in realtà,

quellaè tutta immagine,

fingo di essere colta,

rispolverando le stesse quattro citazioni,

leggevo molto,

ora nemmeno più quello.

 

Con me non si può fare niente,

perchè non ho il benchè minimo interesse,

sono piatta come un foglio per la stampante.

E credo che,pian piano,tu lo stia vedendo,

ti avvicini sempre di più alla realtà,

e so che Lei ti farà schifo.

 

 

E non posso sopportare di essere guardata

con disgusto da te.

Perchè sei l’unica persona

di cui mi importi qualcosa,

perchè sei fantastico.

 

A volte ti guardo con ammirazione,

un po’ come una bimba guarda l’adulto,

con quel pizzico di timore reverenziale

e poi mi chiedo:perchè?

 

Non hai nemmeno vantaggi sul genere:almeno è brava.

Accarezzando il tuo volto,imprimo in me la tua immagine,

in modo che quando finirà

potrò avere qualcosa.

 

Vorrei riuscire ad andarmene prima

dell’inevitabile collisione,

prima che tu veda davvero

quanto faccia schifo,

quanto non sia simile

a quella che credevi che fossi,

una persona insolita,

ma non ce la faccio.

Non voglio che finisca,ti amo.


 

 41

 

Piove. E’ un giorno come gli altri. La periferia di Milano è una sporadica spruzzata di case.Una ed una soltanto interessa la nostra storia. E’ circondata da uno sconfinato pioppetto da cui le sue mura in klinker marrone si ergono nel loro splendore.Sono i mitici anni ’70,il boom ha fatto si che case come questa nascessero come funghi.

E proprio da questa casa,da una finestra del terzo piano,una donna dagli occhi vivaci guarda gli alberi bagnati dalla pioggia,le goccie scivolare al suolo e pensa,pensa al suo passato,immersa nel ticchittio della pioggia,perdendosi in quello che aveva visto molti anni prima.

Ci sono ricordi che si impromono a forza nella memoria,irruenti,altri dolci e nostalgici come quando,prima della guerra,ancora bambina,guardava da un’altra finestra di Milano accanto ai genitori.Questo ricordo viene spezzato dalle grida di guerra,dal frastuono e dalla separazione che i genitori imposero per proteggerla dalle atrocità della guerra.

In collegio conobbe un’altra tipologia di atrocità:le suore,con un’educazione ottocentesca,minavano la sua autostima,la sua indole,schiacciandola come fosse una formica.Lei doveva sorridere ed essere riconoscente,perchè da loro dipendeva la sua sopravvivenza lontana dalle bombe.

Si vestivano allo stesso modo,avevano un numero,come i detenuti,come i condannati,e al numero apparteneva un letto,un corredo,e nessuna amicizia era permessa:se solo parlavi con la tua vicina di letto il tuo numero si sarebbe spostato in un posto lontano ed isolato.Questo numero molte suore lo utilizzavano per chiamarti,soprattutto quelle che non erano alla prima guerra.

Ogni numero imparava a cucire,a ricamare,a far di conto,a leggere,a scrivere lettere(che dovevano essere controllate dalla superiora per far si che le bambine dicessero solo di aver mangiato,di essere in salute,e di aver un buono spirito),ma anche a recitare e la bambina 41 amava moltissimo recitare,era il suo modo per fuggire alla realtà.

Il primo Natale i genitori non si presentarono,e così passarono gli anni…gli anni.

41 vivace e piena di fantasia,sognava di scappare.Guardava oltre la cancellata di ferro del collegio,oltre quel viale lughissimo,circondato di ortensie e progettava un milione di modi per evadere.

Grazie alla fantasia riusciva ad andare in ogni luogo vedendo la bellissima madonna e i putti floridi, in un cielo roseo e azzurro che sembravano nuvole di zucchero filato.Immaginava,sognava e arrivava oltre il cielo,oltre il triste mondo che stava sotto le nuvole morbide,oltre gli aerei che passavano sopra il collegio terrorizzando le bimbe che in ogni aereo vedevano un assassino.

41 nutriva solo l’anima leggendo e imitando mikey mouse,dimenticandosi di mangiare finchè non si ritrovò a letto.

Il tempo trascorse e gli anni difficili lasciarono non pochi segni,le temprarono il carattere,ma mai riuscirono a scalfire la sua fantasia,il suo amore per la lettura.

Si riscuote pensando ai figli che cresce con amore.Pensa ai fratelli che ha cresciuto come figli,per la malattia del padre,che l’aveva portata a lavorare in un ufficio al posto di seguire i suoi sogni e fare una scuola d’arte.

A quindici anni già donna,lavorava,ma rimaneva bellissima con i suoi vispi occhi.

La pioggia intanto cade in grosse goccie sul riflesso della donna,pensa al marito,quell’uomo dall’indole burbera di cui poi si è innamorata.

Quella donna è Anna,il mio eroe,forte e sicura nelle difficoltà,sempre coerente con se stessa,ma con fantasia,capace di farti sentire a casa e al sicuro indipendentemente da tutto. Vorrei che qualcuno parlasse di me come i suoi figli fanno di lei.

Non è inventata,e non ha superpoteri ma di magie ne ha fatte tante,e non ha la superforza eppure ha sollevato macigni pesantissimi,e non può leggere nella mente eppure sa esattamente cosa dirti.Ora quella stessa Anna mentre scrivo si trova a 200 km da me,in una giornata uggiosa alla finestra,accarezzondo il gatto rosso,e io lo so perchè è mia nonna.


 

Ed è perchè hai paura

 

Hai paura che io stia mentendo,che ricapiti come in passato.

Hai paura che non significhi nulla,credi sia vero che io sia apatica,completamente.

Che arrivi il giorno in cui mi chieda il perchè,che io non lo trovi questo perchè.

Ho amato una sola volta ed una soltanto. E forse ora riprovo questa sensazione.

Mi piace il fatto che sia complesso,impossibile quasi.

Un qualcosa di irraggiungibile.

Lontano,molto lontano.

Ho di nuovo trovato una persona come me.

Non è vero nulla.

Dimentico molte cose,mai le persone.

Sarebbe più facile.

Vorrei dimenticarti.

E in fondo voglio solo che tu stia bene.

Molto in fondo,bisogna scavare tra metri di marcio del mio vido cuore,prima di trovare questo dolce pensiero.

Manipolo tutto ciò che riesco a manipolare,come un esperto prestigiatore.

Lo faccio perchè accada finalmente ciò che voglio.

E se riesco,mi sento ancora insoddisfatta,perchè non era ciò di cui avevo bisogno.

Non volevo davvero quello.

E alla fine distruggo tutto.

E perdo ciò di cui,in realtà,avevo più bisogno.

Come quando,a furia di giocare,ti ho perso.


 

Soliloquio sul cibo

 

Il cibo è una funesta libido per i tristi abitanti di questa mesta società,formata da semplici invenzioni di città.

Il cibo è un fantastico mito di vita lieta,che si mostra quasi più ptrezioso di una seta,per gli affamati e per gli amati,sereni e senza freni.

Con il cibo io rido,mischiando, impastando,giro e rigiro,e infine dormo con un ghiro.

Poi ti guardo,oh cibo,e vedo in te il mio tanto lardo.

Il cibo è un miscuglio ibrido tra arte scienza,su di lui gira,però,ben più di una maldicenza.

Oh cibo,il tuo gusto raffinato oppure equilibrato ha studiato il cuoco a volte come semplice gioco.

Il cibo,il cui odore cito,è di sapore antipasto e mai contrasto.

Il cibo è inebriante,galante,arriva al naso incalzante e io lo mangio anelante.

oh cibo,di te mi fido,sei la mia consolazione e la mia desolazione o forse solo la mia abbondante colazione.

Di tutti i gusti,che venga da arbusti o sia stato cacciato,ommidio no,animale abusato!

Il cibo da terra reciso,legame cresciuto,nel cuore di genti,come fu per il liuto.

Ricordo lontano,ma mai vano,del passato lasciato per un sogno baciato.

oh cibo sei il primno,amore di ogni bambino nei sogni.

Insomma oh cibo,a volte sei persino una gomma,legame difficile ma visibile.


 

A Giulia

 

Non ti manca la salsedine che si insinuava sui vestiti?

L’odore del mare,quel fresco profumo avvolgente?

La sabbia che scivola tra le dita mentre camminavamo insieme?

Le canzoni…per tutta la vita andare avanti,cercando i tuoi occhi negli occhi degli altri;non vorresti percorre di nuovo,insieme,il breve pezzo di strada che ci portava nel luogo perfetto,lontano dagli altri,lontano da noi stesse?

Il servizio fotografico sugli scogli con la luce del tramonta che con il proprio bagliore illuminava anche il nostro stesso sguardo che cercava oltre l’immensa distesa turchina?

E parlare di libri?

Sento freddo,sento freddo uhhhh…ti prego continua tu!

Rubare le sigarette della badante,poi nascondersi tra le dune e osservare il fumo che esce grigio dalle nostre labbra,tenere in mano tra indice e medio dalla mano destra,credendosi già grandi,credentosi per un piccolo sprazzo di secondo al di fuori dal tempo e dallo spazio…

Parlare del futoro temendo di non averlo

Ridere,ridere,e ancora ridere, e poi piangere è una giornata no,ma ciò ci consente di apprezzare di più le giornate sì

Non credere in niente o credere a tutto.

Le vene azzurre che si notano nell’incavo del gomito di quella ragazza dalla pelle troppo chiara,la cellulite di quella di fianco,il modo scomposto di camminare del tipo che porta a spasso il cane,l’eccessivo sculettare di una signora…non ti manca riuscire sempre a vedere anche i dettagli più insignificanti che gl altri considerano inutili ma per noi erano il tutto del nostro niente?

E capire che alla fine Sabiana è simpatica ma che a tutte due piace lo stesso ragazzo?

Osservare i ragazzi della spiaggia e valutarli in modo spietato sperando che non facciano lo stesso con te?

Mi manca il tuo modo maldestro di bere la granita facendo quegli orridi rumori…

Il tuo modo di prendermi in giro pechè non so fare l’occhiolino

La tua risata con il tuo candido e innocente sorriso

Mi manca fari sedici ore di viaggio mossa solo dalla voglia inrefrenabile di arrivare per stringerti finalmente tra le mie braccia.

Sai che non sono il tipo da cose troppo smielate,sono dissilusa che non crede in Dio,nel mitico o nel mistico,nell’amore ma credo,e non smetterò di crederci,nella nostra amicizia,e quindi tuoi puoi scegliere di odiarmi,puoi insultarmi,puoi farmi male o augurarmelo,ma io non posso che ricambiare dicendo:”malgrado tutto,se giocassimo ancora una volta a obbligo,verità,salvataggio e testamento,seglierei testamento e ti salverei,mille e mille volte ancora. E sai cosa ti dico? Proverei a salvare anche qualcun’altro,e darei la mia vita per voi,ma sappiamo che non sono un ‘eroina,lo farei solo perchè sono troppo codarda per sopportare un mondo in cui voi non ci siete. Odiatemi. E odiatemi ancora,questo era,è e sarà l’unica verità.”


 

Dolore

 

Ci sono emozioni che fanno più male dei pugni.

Sai che scoperta.

Ti devastano più di una bomba nucleare.

Ti penetrano nelle viscere più di un proiettile.

Anche loro lasciano il segno.

Il nostro carattere è dato per il cinquanta per cento dell’ambiente circostante. Fino ad oggi non lo sapevo.

Però ci sono predisposizioni già scritte. Chissà che fregatura avere scritto assasino nel dna.

Credo di non essere nata così. introversa.insicura.lunatica.sfuggente.rifelessiva. Cinica. Sembro morta. Almeno in parte. Così adulta e vissuta. Vorrei non esserlo.

Credo sia stato il dolore.

Nella mia idea io ero solare. Spensierata. Giosa. Come una splendida aurora dai toni aranciati-

Non so cosa sia una famiglia felice e normale. Anche se non credo si possa dire di una famiglia che sia normale. Proprio in quanto tale.

Una è pazza. Uno di quelle da film. Le classiche malate di  mente. Un’ ameba.

Uno è bipolare. A volte è incline alla violenza. In generale. Anche in quella verbale.

Una si odia. Di conseguenza non riesce ad amare. O più in generale a tenere abbastanza ad un’altro individuo da riuscire a preoccuparsi per lui. Recita. Sempre di continuo senza sosta. è come se fosse sempre un personaggio di un telefilm.

Ed io…io sono io…

so che non ho il diritto di lamentarmi c’è chi se la passa peggio.

Ma fa male.

Fa male avere ogni giorno che tutto quello in cui potresti credere è solo un artificio. Immaginazione.

Fa male non riuscire a passare davanti allo specchio senza provare ribrezzo.

Fa male sentirsi dire ogni giorno cosa c’è di sbagliato in te.

Fa male svegliarsi ogni giorno con la speranza che possa essere l’ultimo giorno.

Giuro ci ho sperato a lungo. Molto più di quanto si possa immaginare.

Il dolore mi travolge come una fitta sorda al centro del torace come una scarica vibrante di corrente che si diffonde in ogni nervo. Ogni singolo nervo.

Il dolore ormai è il mio compagno di vita.

Se non ci fosse probabilmente mi sentirei ancora più sola.


 

Tutti raccontano bugie. è nella natura umana.

 

Però ci sono persone a cui viene naturale. Fa parte di loro. è come se fossero incapaci di dire la verità.

Ma alla fine che cos’è la verità? Se non un ammasso articolato di invenzioni umane? E che cos’è una bugia se non un’invenzione?

Credo che l’uomo stesso sia una bugia. Una bugia bella e buona. Una grande bugia. La più colossale.

La nostra vita si fonda su bugie. Come nasciamo. Dio. La convinzione di essere superiori,quasi di non essere animali.

Ma credetemi siamo animali. Nient’altro. Luride bestie.

Bugie. Bugie viventi.

A volte ci credi. Per un attimo credi a tutto ciò che esce dalla bocca dell’altro.

Poi capisci che solo l’ennesima bugia.

Ti amo.

La peggiore di tutte.

Fa più male di tutte le altre messe insieme. é crudele. Implacabile. Ma il vero problema è che vorresti con tutta te stessa crederci.

E poi ci credi.

è così arriva una lezione importante. Non era vero nulla.


 

recitare

 

A volte è difficile essere se stessi. Percui si può ricorrere a piccoli escamotage. Io per esempio ripudio l’amore.

Non posso amare se sono me stessa. Ma se fossi qualcun’altra? Allora potrei.

Potrei davvero,perchè quindi non fingere,anche solo per un attimo per essere quella persona che vorresti essere,ma che non sarai mai. Perchè ti conosci e sai che con la tua volontà non puoi.

Io ho imparato a fingere.

è normale fingere. Lo fanno tutti. Da bambini. Da giovani. Da adulti. Da vecchi.

Se ci pensiamo fingiamo ogni giorno per ogni piccola cosa,fingiamo quando ci chiedono come stiamo,fingiamo quando ci chiedono com’è andata la giornata,fingiamo quando non abbiamo voglia di far lezione,quando vogliamo essere lasciati in pace,quando abbiamo bisogno di attenzioni e per ogni piccola cosa ne facciamo un dramma,e anche quando abbiamo bisogno di un lavoro,o quando aiutiamo qualcuno anche se non ne abbiamo voglia…e mille e mille altre volte ancora. Tutti i giorni.

Mentiamo anche a noi stessi. Più spesso di quello che crediamo.

Il nostro cervello è un meccanismo molto complesso.

A volte riusciamo addiritura a credere ad una versione alternativa della realtà. Che ci costruiamo noi,interamente.

E per quanto possa sembrare assurdo alle volte riusciamo persino ad autoconvinerci che quello sia successo davvero.

E noi viviamo nelle menzogne che ci siamo appositamente costruiti. Menzogne ricolme di dettagli,sfacciatete,curate nei minimi dettagli. A volte sono persino più nitide della realtà. E così recitiamo. Recitiamo il personaggio che ci siamo costruiti.

A volte però i suoi panni possono andarci stretti. Allora creiamo un nuovo personaggio.

E così per tutta la  vita.

Alla fine non siamo neanche sicuri che esista un vero io. Essere vuol dire essere percepiti. Io mi percepisco come ognuno dei personaggi. Quindi possiamo o affermare che l’io sono tutte le nostre creazioni o affermare che l’io non è nessuna di queste. Che l’io non esista. Personalmente credo non esista,almeno non cronchetamente.

In questo momento sono un’altra. Una scrittrice innamorata di un’idea.

Ed è bellissimo.


 

 

un uomo e una donna

 

Lui protende le braccia verso di lei. Le accarezza lievemente la guancia,preme con la punta del polpastrello sottolineando il mento,risale piano leggiadro fino alla zigomo. Qui si ferma.

La guarda. Forse la sta vedendo per la prima volta.

I loro occhi si scrutano sospettosi.

Cercano qualcosa che suggerisca loro di proseguire. Qualcosa di speciale.

Una prova. Anche solo un indizio.

Lei ha uno sguardo vacuo. Chiunque si accoggerberebbe che non è presente.

Lui no però. E’ smanioso delle sue labbra. Del suo corpo.

Vede nel suo sguardo arrendevolezza. Voleva solo trovare un segnale. Eccolo.

Le sue mani scendono rapide giù fino alla vita,e poi ancora più giù le accarezza le natiche.

Le si ritrae. Lo scosta con violenza in un moto d’ira.

Non è una bambola. Nè un burattino.

E lei non vuole che lui lo pensi.

Non vuole essere usata.

Poi buttata come carta straccia. A terra. Appalotolata,calpestata.

Perchè è questo che succederebbe.