ANELITO DI VIOLA
Siedo su di un’altalena speziata,
foglia in controvento ondulante
grinzosa tra le mani di vita amata.
Accartocciami, levigami, sospendimi …
Disegnami di un brivido tremolante,
del mio sogno errante.
Sentori di castagne glassate, cortecce mielate,
aghi mentolati si vaporizzano sconfinati
nel bosco dei muschi smeraldo, di giallo incastonati.
Sorvolo e brucio in una stagione,
colgo ogni attimo d’emozione
in questa vita bramosa …
Sento anelito di viola, del pensiero odorosa.
CEDRI
Vaporizzanti cedri
solleticano il giorno appena sorto,
brezza mattutina, figlia delle stagioni,
assale il paesaggio che ancor sbadiglia
con il canto del gallo.
La gente va lenta a passeggiar
e i bimbi corrono a giocar,
nella scorrevole Domenica.
Vaporizzanti cedri
solleticano il mezzodì a festa…
Dalle case odoranti di pane e pasta,
pomidori e crostate,
il vociare familiare caldo e gaio
filtra dalle porte
e canti e risa si mescolano
al parlare del vento con gli alberi.
Vaporizzanti cedri
solleticano il tramonto
e tutto si quieta nella sera bluette,
la cena è più silenziosa e romantica,
il gallo non canta più
e si sprofonda in divani
di sogni e speranze.
La notte si avvinghia ai cedri,
sulle sponde…
Chissà se il giorno del domani
sarà pieno della loro asprezza
o ricolmo di aromatiche bucce gialle
da grattugiare su veli di farine…
TOCCO DI CETRA
É tocco di cetra, il tempo che immagino…
Nel giorno incongruente, nell’ora inconcludente…
Tornelli nella mente, voragini, sassi grigi si spaiano
e si ripete l’asfissia di un presente che anela ad un futuro diverso.
É tocco di cetra, il tempo che immagino…
Lillà nel cuore di rugiada malinconica,
profumo di felce spazza via la polvere
dei desii bistrattati dalla famelica realtà.
É tocco di cetra, il tempo che immagino…
Infiorescenze disperse
si azzuffano a capolini di fiato
nel sonno sospeso…
Suono di cetra del tempo che immagino
bussi alla mia porta intrecciata di ranuncoli,
soave e bellissimo incombi…
É tanta l’emozione di immaginare di immaginarti.
CORNICE
Fiori bianchi di latte,
seta bianca di brina
è dolce mattina.
La neve si adagia pian piano
e si avvolge ai rami scricchiolanti,
tra i viali spiccano due amanti.
Un cappotto blu cobalto si fonde
con un cappotto rosso fuoco,
le loro mani sono annodate,
mentre volteggiano nell’aria
i loro cuori di Cupido.
Un bisbiglio si eleva,
forse un ti amo o sei il mio tesoro …
Ora nel bosco vedo un ramato castoro
che fruga tra le ghiande, mietendo il suo oro
che non è che il tempo che scorre prezioso …
Ora sta sfiorando il cappotto dei due amanti
e con la sua folta coda li incornicia,
nell’immagine più bella della vita.
CREPITII
Un fuoco scoppietta crepitii dell’anima,
un bucaneve si chiude come scrigno
al raffinato gelo che sottile accarezza.
Passi di passeri si sciolgono in un volo
e si allungano i becchi gialli di parole,
fondendosi in echi di fuliggine.
Il dubbio di certezze radicate
si palesa nella mente e si cammina
nel tintinnio di domande senza risposta.
Il passo rallenta ed entra nel tepore di un tè,
tra libri e scartoffie di pensieri.
Dal vetro luccicante, folate si animano,
alzando cappelli all’uncinetto
e sobbalzando capelli di seta
che si impigliano in sciarpe frangiate…
Il giorno corre e la mente cammina…
Alzo gli occhi, scivolo su di un arcobaleno
e la mia incertezza si perde
nel confine perimetrale di un dolce biscotto,
mentre il fuoco scoppietta crepitii dell’anima.
SONO CHIOCCIOLA
Sono chiocciola…
Vivo con la materia che mi sovrasta.
Mi trascino, il corpo è pesante…
La mia casa è marmorea,
le pareti trasudano onice
e le scale affondano in sabbie quarzose…
Poi la vita oltre le cose, mi trasforma…
Sconfino dal perfetto ingranaggio,
dal mio involucro di sempre e volteggio lontano,
dove conta solo il respiro, dove conti solo le stelle,
dove canti petali di mille rose.
Lieve, non tocco più terra,
libro nel pallido purpureo dei giorni
e sento ametiste dentro me…
Poi gli arti si chiudono e mi riavvolgono nel mio guscio.
Sono chiocciola…
Tu mi cingi, oh corpo…
Compagno di vita, nemico dell’eternità,
viva sostanza dell’esistenza, mobile prigione dello spirito…
Sai, è bello sconfinarti…
Sento che lì, dove svanisce la materia,
risiede una rara bellezza.
CINO
Cino era un rettangolo color terracotta, piccolo e vagabondo. Girava molto e conosceva mille cose, ma una cosa non la sapeva! Chi era lui? Qual era il suo posto nel mondo? Si sentiva perso e voleva capire a cosa potesse servire. Un bel giorno, mentre dormiva, lo trovò un bambino in mezzo alla strada e lo utilizzò per i suoi giochi…Una volta era un ponte, un’altra volta un muro e poi una montagna e un robot. Il bambino si divertiva molto con il rettangolo, lui un po’meno; ma appena Cino si accorse che il fanciullo gli si era affezionato tanto, decise di non abbandonarlo, seguendo il suo cuore e poi così non era più solo come prima! Iniziava anche lui a divertirsi e a sorridere dei vari ruoli che assumeva, sentendosi come un attore. Magari era proprio quello il suo posto nella vita? Un pomeriggio mentre giocavano insieme arrivò un forte temporale e il bambino corse a casa, abbandonando Cino in mezzo ad un prato. L’indomani il rettangolo, molto triste, diventò il giocattolo di un grande cagnone. Il padrone lo lanciava e il grosso cane lo andava a riprendere. Questo gioco non gli piaceva proprio per niente e rimpiangeva il suo amico bambino che ormai si era dimenticato di lui, troppo preso da un camion telecomandato che gli avevano regalato i genitori. Tra un volo e l’altro pensò: “Che tristezza la vita quando non sai chi sei!” Giunse l’imbrunire e decise di incamminarsi verso una panchina per dormire. Il mattino seguente lo trovò un altro bambino che disse alla sua mamma: “Che bel rettangolo! Che cos’è?” E la mamma rispose: “Un mattone!” “Di cosa è fatto e a cosa serve?” Chiese il bambino e la mamma gli disse: “E’ un rettangolo fatto di argilla ed è importantissimo! Serve a costruire le case e grazie a lui possiamo erigere i muri, ripararci dalle intemperie e sentire il tepore nei nostri focolari. Non ne basta uno, ma ce ne vogliono tantissimi, uniti gli uni con gli altri, come un puzzle! E questo lavoro certosino lo svolge il muratore.” Il bambino ribatté: “Bellissimo! Uniti gli uni con gli altri, così si creano le grandi cose! Da grande voglio fare il muratore e costruire la mia grandissima casa!” La mamma sorrise e gli porse tra le mani il mattone che portarono a casa con loro. Cino aveva finalmente scoperto chi era e si sentì forte e orgoglioso, non vedendo l’ora di essere un pezzo tanto importante di una casa. Trascorsero gli anni, il bambino crebbe e da bravo muratore quale diventò, prese il mattoncino che aveva riposto sulla sua scrivania, come una reliquia e lo piantò per primo nella costruzione della sua immensa casa. Cino, ormai MATTON CINO, provò un’emozione immensa e visse per sempre con altri milioni di MATTON CINI a sorreggere con forza le mura di quella dimora. Fu allora che disse: “Ora che ho il mio posto nel mondo, la vita è meravigliosa! Ma di quanti altri MATTON CINI ho avuto bisogno per trovarlo! È proprio vero, l’unione fa la forza! Grazie, mio caro papà muratore!”
IL NASCONDINO DELLA FELICITA’
Una leggenda narrava che il grosso piede di un orco tirò un calcio alla felicità e la catapultò non si sa dove, nascondendola agli occhi di tutti. Era bella la felicità…ma chissà in quale lontano luogo si celava. In quei tempi, una grande ricercatrice di nome Gaia, visse la sua vita per scovare la felicità. La cercò ovunque…in fondo al mare, sui grattacieli, nei campi di grano, nei frutteti, sopra le nuvole, nelle cascate, negli occhi della gente, nei sorrisi; la cercò in ogni più sperduto angolo dell’universo, perché l’orco l’avrebbe potuta lanciare ovunque, anche sotto la più piccola foglia. La cercò nei fiori, nelle bacche vermiglie, nei fondi di caffè, nei gusci di noce, nella luna, nel sole, nelle stelle, nei profumi, nella neve, nelle gocce di pioggia e nel vento, ma la vera felicità non la trovò. Che peccato! Sarebbe bello averla a portata di mano, riporla in un cestino, come dei semplici pomodori rossi e portarla a spasso con sé! Gaia però non si arrese, sapeva che da qualche parte doveva esistere, ma dove? Dove la poteva trovare? Arrivò fino alla sua vecchiaia, con tante rughe e tanta stanchezza, senza riuscire nel suo intento. Piangeva Gaia e avvolta nella sua tristezza, guardava il lungo viale alberato, intrecciato di rami, che rappresentava la sua vita. Si arrese all’impresa ardua che l’accompagnò in tutti i suoi giorni, la felicità non sapeva proprio dove potesse essere! Poi le si avvicinò un fanciullo che le posò tra le mani un fazzoletto bianco ripiegato su se stesso, Gaia lo aprì per asciugare le sue lacrime ed in quel preciso istante si accorse che la felicità si era nascosta proprio lì, tra le sue pieghe. Non appena smise di cercarla, la tanto agognata felicità la raggiunse e con semplicità fluì dentro di lei per l’eternità. A volte bisogna smettere di cercare per trovare…la felicità è proprio così, come un fazzoletto bianco ripiegato su se stesso nel nostro cuore, ad ognuno di noi la scelta se aprirlo o meno…Gaia è lì che aspetta, di incontrare il nostro sorriso.
L’UOMO ELASTICO
C’era una volta un uomo che viveva perennemente su di un elastico. Era il suo più grande amico e ogni giorno gli faceva compagnia. Camminando con lui, spesso si ritrovava al settimo cielo o al contrario giù di corda! Infatti l’elastico, alcuni giorni lo proiettava verso slanci infiniti, lo elevava verso sentimenti profondi ed entusiasmi mai provati, ma altrettanti giorni lo faceva sprofondare in grande malinconia e profonda tristezza. Con il suo amico elastico andava su, verso i più sconosciuti pianeti e andava giù, verso i pozzi più desolati. Quello che è certo, è che l’uomo diventò il più grande acrobata della terra e chiunque lo vedesse, rimaneva con gli occhi colmi di stupore. L’elastico gli faceva fare le più incredibili acrobazie e l’uomo era in grado di eseguire tripli salti mortali, di rimanere appeso a testa in giù e di diventare la molla vivente più veloce del mondo. Riusciva a volteggiare sospeso nell’aria, a fare i tuffi più spericolati e poi a risalire le più alte montagne! Che vita incredibile con questo elastico! Ma era tanto faticoso, in quanto l’uomo viveva in un continuo squilibrio. Un giorno, dall’altezza del suo lunghissimo collo, lo vide la donna Cigno, la più grande circense del pianeta. Lo voleva assolutamente per i suoi spettacoli e per questo gli offrì parecchio denaro. L’uomo elastico non esitò un attimo, almeno la sua fatica sarebbe valsa a qualcosa! Così iniziò ad esibirsi nelle grandi città e a viaggiare molto. Le file di persone si affollavano, pur di vederlo e la sua presenza faceva il tutto esaurito! Che grande successo ebbe l’uomo elastico! Era ormai famosissimo e richiestissimo ovunque, ma lui dentro di sé, viveva in continua tensione. Sballottato di continuo dal suo elastico, si ritrovava in luoghi in cui non desiderava essere, provava emozioni che non voleva provare e viveva come pilotato, sobbalzato a destra e a manca! Dov’era finita la sua vera identità? L’elastico si era impossessato di lui, come fosse un giocattolo, ma non doveva più permettergli di essere un tutt’uno con il suo corpo e la sua anima perché era l’elemento che gli impediva di fare il vero slancio verso di sé. Fu così che l’uomo, durante un suo spettacolo, mentre era intento in un lungo salto, lasciò indietro il suo elastico che perse subito forma, cadendo a peso morto al centro della pista. Intanto lui continuò a volare in alto, fin quando si aggrappò ad uno dei tanti nastri di raso colorati, appesi al telone del circo. Tutti lo guardavano meravigliati, chiedendosi: “Ora cosa farà senza il suo elastico? Come potrà finire il numero senza il suo compagno di sempre? Finirà per cadere!” L’uomo rimase appeso a quel nastro per un po’, come fosse uno stoccafisso, poi un lembo del nastro azzurro cielo si strappò, mentre l’altro rimase stretto nella sua mano destra. L’uomo iniziò a cadere in picchiata, provando una sensazione di libertà mai sentita prima. Non aveva più redini a frenarlo, non aveva più l’elastico a slanciarlo e riportarlo a sé. Erano rimasti lui e un nastro di raso tra le mani. L’uomo iniziò a pilotarlo, facendolo roteare e ciò gli permise di rimanere sospeso, perdendo quota lentamente. Il nastro assunse diverse forme…divenne leggera piuma, morbide ali, sinuosa vela, romantico ventaglio ed infine giocosa girandola di cielo che lo condusse al centro della pista. L’uomo riuscì a proiettare ciò che aveva dentro di sé, trasformando quel nastro in una pellicola da cinepresa e unendosi alla sua vera identità, diventò il più grande regista di se stesso…poi, dopo la consapevolezza, un grande applauso lo introdusse alla sua nuova vita che visse con grande slancio, ma senza più alcun elastico!
IL CALCO DEI SOGNI
Battista, da piccolino, amava tanto suonare e da grande avrebbe voluto fare il batterista. In casa aveva un amore spropositato per le pentole e le cucchiaie di legno. Suonava spesso e assordava chiunque lo circondava! Ma qualcuno gli disse: “Non potrai mai fare il batterista, cerca un lavoro sicuro per guadagnarti il pane!” Così Battista cercò un lavoro stabile e divenne nel suo mestiere assai abile, ma a poco a poco, si accorse che dentro di sé non scorreva il fuoco! Beatrice, da piccolina, adorava tanto ballare e da grande avrebbe voluto fare la danzatrice. In casa danzava sempre e si creava i tutù con le varie stoffe. Con i suoi passi di danza, le punte dei suoi piedi punzecchiava… eppur volava! Ma qualcuno le disse: “Non potrai mai fare la ballerina, cerca un lavoro sicuro per guadagnarti il pane!” Così Beatrice cercò un lavoro stabile e divenne nel suo mestiere assai abile, ma a poco a poco, si accorse che dentro di sé non scorreva il fuoco! Giancore, da piccolino, amava molto recitare e da grande avrebbe voluto fare l’attore. In casa si divertiva ad entrare nella veste di diversi personaggi e recitava con tanto amore lunghe storie e brevi saggi. Ma qualcuno gli disse: “Non potrai mai fare l’attore, cerca un lavoro sicuro per guadagnarti il pane!” Così Giancore, a malincuore, cercò un lavoro stabile e divenne nel suo mestiere assai abile, ma a poco a poco, si accorse che dentro di sé non scorreva il fuoco! Dante, da piccolino, adorava tanto usare la voce e da grande avrebbe voluto fare il cantante. In casa cantava sempre e immaginava di amplificare la sua voce con un mestolo di ferro che passava da una mano all’altra, veloce. Ma qualcuno gli disse: “Non potrai mai fare il cantante, cerca un lavoro sicuro per guadagnarti il pane!” Così Dante cercò un lavoro stabile e divenne nel suo mestiere assai abile, ma poco a poco, si accorse che dentro di sé non scorreva il fuoco! Tino, da piccolino, amava molto il pulito e l’ordine e da grande avrebbe voluto fare lo spazzino, con quell’Ape con le ruote che tanto lo affascinava! In casa puliva sempre, amava raccogliere carte e ad ogni suo passaggio tutto splendeva ad arte! Ma qualcuno gli disse: “Non vorrai di certo fare lo spazzino? Riusciresti a guadagnarti a stento un po’di pane! Cerca un lavoro più importante, per arricchirti!” Così Tino cercò un lavoro stabile per potersi arricchire e divenne nel suo mestiere assai abile, servito e riverito, ma senza più pulire! Col tempo, a poco a poco, si accorse che dentro di sé non scorreva il fuoco! Crescendo, i più bei sogni si perdono nell’oceano della vita e si percorrono strade diverse da quelle che avremmo voluto, ma l’arte è figlia della libertà! Ripercorrendo il passato, ci si rivede come in un ritratto, in un angolo della nostra stanza a fare ciò che più amavamo. Quello è il più bel dipinto del nostro esistere, il calco della nostra anima, è una fortezza che dovremmo ripescare nel fondo del nostro mare! Ed ecco che il fuoco scorre, si apre un palco e nasce un’emozionante poesia:
Battista fa il batterista,
Beatrice fa la danzatrice,
Giancore fa l’attore,
Dante fa il cantante,
Tino fa lo spazzino…
Che bello questo palco…
Il calco dei sogni!