Amore e meraviglia
Di una brezza marina,
d’estate intrisa,
che tende allo spazio,
che accompagna le onde mosse all’unisono,
cangianti, davanti al sole calante,
mormorando una quiete fittizia;
loro che furono altalenanti, mutevoli, impetuose, spente.
Di questo m’innamorai.
Alla notte lascio le mie colpe, alle spalle bagnate dalla tempesta.
Il buio mi accolse felice,
ma un’anima sottratta al mondo
non può redimersi dalla meraviglia.
Anoressia che si ciba di parole
Non dispiacerebbe la perfezione
A chi non la vive, essere vissuta.
Io so che consuma la pelle, brucia il corpo.
S’innalzano torrenti nelle sferiche sfavillanti, sei tu da sola.
Preferisci i tuoi versi, la materia buona.
Dentro un vuoto. Lo senti, tu conosci i suoi segreti.
Oh chi ti punterà il dito, chi per prima?
Ero bambina.
Guardavo la luce filtrata dalle stole lontane,
l’eco della casa mi rimbombava vicino.
Le voci ormai note d’inverno, le stesse parole.
E quel camino che accende a volte i silenzi.
Rimango lì e mi fermo. Lo tocco, con le mani con cui mi consumo,
Lo sento sanguigno e mi piace.
Ero bambina.
Convinta del rifiuto, contavo le ore tra i pasti
Passavano i piatti ed io guardinga scappavo.
Mi rifugiavo dove sono ancora, tra le parole che sole mi nutrivano.
Uniche uscivano spontanee. Adesso mi guardo indietro, sono cambiata.
Campagna, notturna sensoriale
Il vento asciuga quell’anelito fuggente,
il sospiro ritmato e durevole
E le fredde notti?
Quelle di inanimati cieli e di stelle,
quelle immerse nelle lacrime e filtrate dalle gocce
che dal viso scivolano via.
Non versare la linfa vitale,
quella che trasforma i pensieri in core.
Non soffermarti sulle singole foglie; quelle vibrano pari
Ad un’orchestra ancestrale.
Non guardare con gli occhi la tua anima,
abbandonati solo al tintinnio delle melodie campestri.
Specchiati nell’universo.
Annulla i tuoi pensieri.
Senti adesso il sofferto squarcio di dolore
Fare l’amore
Ascolta
La tentazione dell’attimo sublime,
Eterno
Che annaspa nella frenesia,
Nel movimento sincrono
Perfetto, della natura che si rivela.
Le candide rosse purpuree pulsanti
D’amore
Si sfiorano e al centro l’oblio delle
Parole.
È profondissimo, muto sonante
Quel tocco,
L’impatto tra membra e membra che d’un impeto poi
S’accende.
Fuori nebbia, dentro calore.
Il freddo inverno si sente
Ed una lacrima come una goccia che scivola sul vetro
S’infrange sul riso e
Di colpo l’infinito
Dolore passa d’un fiato.
Mi soffermai a lungo dapprima,
Dopo: l’eterno momento
Il giovanile errore scoperto
Spiegami perché il destino ci è avverso,
gli amabili e fragili doni della vita si scagliano contro il nostro amore.
La verità, quello è il complotto emerso
Ciò che ci rese mortali ci condusse al giovanile errore.
Ripugnato dalla bigotta era ideale,
ho visto lo sguardo della massa che non capisce,
prevenuta, ignorante spiega in maniera razionale
ciò che contro la ragione, l’amore guarisce.
E come questo spinge ad evadere dalla scura nebbia che avvolge,
sì ricorda i giorni felici e privi di verità
ché nella finzione il desìo all’inverosimile si coinvolge,
e l’occhio cieco mira solo alla realtà.
Le anime dei due incompresi attori
Di un’impresa a cuore aperto,
in mezzo al mondo amanti e sognatori
lasciano indi il loro amore coperto.
Morir d’un tratto
Provate adesso a volare,
candide ali,
occhi splendenti
sulle acque impervie,
sulle strade sterrate
tra i sentieri aridi,
privi di vita.
La vita che ora ti possiede più di prima,
che mira senza occhi
all’orizzonte lontano,
alle albe che nascono,
ai chiari silenzi dell’alto,
infiniti limiti.
Il tuo corpo non esiste più.
Corruttibile è nella rimembranza, curiosa marea burrascosa
Di eterne visioni ed eterni sorrisi.
Mutato al mutevole cambio delle stagioni
Ecco…io scelsi te
Che giungesti come fattezza incompiuta,
come gioia inespressa,
mutato al mutevole cambio delle stagioni;
in primavera, or usignolo soave,
ti accosti a colei che sola ti rivolge lo sguardo;
nel mese delle foglie vibranti ecco che il tuo senso impallidisce
al moto incessante delle fronde,
e d’inverso candidi fiocchi cingono di bianco le tue mille notti ardenti.
D’estate invece sei tu, tu che emergi. Non è vero, non lo sei, non lo vuoi essere mai.
Ci celi dietro un manto di bestia estranea,
acqua che scorre impetuosa da una sorgente
arrestandoti alla foce.
Mancasti lo giorno d’inverno;
adesso ciò che muta, muta insieme a me.
Pace aurea
Provate a volare
Candide ali
Occhi splendenti
Su acque impervie
Su strade sterrate
Sentieri aridi
Privi di vita.
La vita che ora ti possiede
Che mira senza sguardi
All’orizzonte lontano
Ai chiari silenzi
Infiniti d’ogni limite.
Il tuo corpo non esiste più,
corruttibile è solo nella rimembranza
curiosa marea burrascosa
ora eterne visioni, eterni sorrisi.
Sera
Parole, dolci grafemi
Intagliate
Su fogli blu al chiarore
Notturno.
Tu scendi sopra le vesti
Le spoglie scogliere investi
Ed io
Ti ammiro mentre tu materna,
mentre tu maligna
manovri il meriggio.
Scendi e trascini, dimezzi le ore.
I frastuoni si dimenticano mentre tu invadi
E mi premi forte verso il basso con le tue tenebre.
Accogli immensamente il mondo
Severa, formosa…sei lì fuori
Sei dentro e mi travagli. Ti bramo
Nelle viscere, ma ti temo.
Ma sera mi desideri tu, anche tu?
Forse. Mi hai adesso invaghito, mi hai illuso
Ma io qui ti attendo
Appresso ad ogni dì.
Sicilia, mia
Terra di sole, terra d’incanto
Chi la abita s’accredita il vanto
D’essere figlio della Trinacria madre.
Terra di conche e di giumente
Di frasca fresca e acqua corrente
Del terreno solcato dall’aratro padre.
Cibo colto appena, genuino, rosaceo e sano.
Puledri e manzi, montagne e rocce;
Spaccapietre, borragine e ortica,
Rapaci, gallinacei e rugiada in gocce
D’inverno sull’erba, che la mente non dica
L’estate bollente che aspetta il paesano.
Il caldo spacca la terra sudata e arida…
Una formica risale dal bordo,
Il cielo s’infiamma, la fronte è madida
Di sudore per la fatica e mordo
Una fetta d’anguria; Sa di lavoro,
Sa di anni, di stagioni e di famiglia
Che tramanda la manuale intesa
Di solcare il terreno di Ventimiglia
Proprio quello della paterna mano protesa
Ad aiutar la prole per gli anni che passano.