Teresa Modica - Poesie

Amore e meraviglia

 

Di una brezza marina,

d’estate intrisa,

che tende allo spazio,

che accompagna le onde mosse all’unisono,

cangianti, davanti al sole calante,

mormorando una quiete fittizia;

loro che furono altalenanti, mutevoli, impetuose, spente.

Di questo m’innamorai.

 

Alla notte lascio le mie colpe, alle spalle bagnate dalla tempesta.

Il buio mi accolse felice,

ma un’anima sottratta al mondo

non può redimersi dalla meraviglia. 


 

Anoressia che si ciba di parole

 

Non dispiacerebbe la perfezione

A chi non la vive, essere vissuta.

Io so che consuma la pelle, brucia il corpo.

S’innalzano torrenti nelle sferiche sfavillanti, sei tu da sola.

Preferisci i tuoi versi, la materia buona.

Dentro un vuoto. Lo senti, tu conosci i suoi segreti.

 

Oh chi ti punterà il dito, chi per prima?

Ero bambina.

Guardavo la luce filtrata dalle stole lontane,

l’eco della casa mi rimbombava vicino.

Le voci ormai note d’inverno, le stesse parole.

E quel camino che accende a volte i silenzi.

Rimango lì e mi fermo. Lo tocco, con le mani con cui mi consumo, 

Lo sento sanguigno e mi piace.

 

Ero bambina.

Convinta del rifiuto, contavo le ore tra i pasti

Passavano i piatti ed io guardinga scappavo.

Mi rifugiavo dove sono ancora, tra le parole che sole mi nutrivano.

Uniche uscivano spontanee. Adesso mi guardo indietro, sono cambiata.



Campagna, notturna sensoriale

 

Il vento asciuga quell’anelito fuggente,

il sospiro ritmato e durevole

 

E le fredde notti? 

Quelle di inanimati cieli e di stelle,

quelle immerse nelle lacrime e filtrate dalle gocce

che dal viso scivolano via.

Non versare la linfa vitale,

quella che trasforma i pensieri in core.

Non soffermarti sulle singole foglie; quelle vibrano pari 

Ad un’orchestra ancestrale.

Non guardare con gli occhi la tua anima,

abbandonati solo al tintinnio delle melodie campestri.

 

Specchiati nell’universo.

Annulla i tuoi pensieri.

Senti adesso il sofferto squarcio di dolore


 

Fare l’amore

 

Ascolta

La tentazione dell’attimo sublime,

Eterno

Che annaspa nella frenesia,

Nel movimento sincrono

Perfetto, della natura che si rivela. 

 

Le candide rosse purpuree pulsanti

D’amore

Si sfiorano e al centro l’oblio delle

Parole.

È profondissimo, muto sonante

Quel tocco,

L’impatto tra membra e membra che d’un impeto poi 

S’accende.

 

Fuori nebbia, dentro calore.

Il freddo inverno si sente

Ed una lacrima come una goccia che scivola sul vetro

S’infrange sul riso e

Di colpo l’infinito

Dolore passa d’un fiato.

Mi soffermai a lungo dapprima,

Dopo: l’eterno momento


 

Il giovanile errore scoperto

 

Spiegami perché il destino ci è avverso,

gli amabili e fragili doni della vita si scagliano contro il nostro amore.

La verità, quello è il complotto emerso

Ciò che ci rese mortali ci condusse al giovanile errore.

 

Ripugnato dalla bigotta era ideale,

ho visto lo sguardo della massa che non capisce,

prevenuta, ignorante spiega in maniera razionale

ciò che contro la ragione, l’amore guarisce.

 

E come questo spinge ad evadere dalla scura nebbia che avvolge,

sì ricorda i giorni felici e privi di verità

ché nella finzione il desìo all’inverosimile si coinvolge,

e l’occhio cieco mira solo alla realtà.

 

Le anime dei due incompresi attori

Di un’impresa a cuore aperto,

in mezzo al mondo amanti e sognatori

lasciano indi il loro amore coperto.


 

Morir d’un tratto

 

Provate adesso a volare,

candide ali,

occhi splendenti

sulle acque impervie,

sulle strade sterrate

tra i sentieri aridi,

privi di vita.

La vita che ora ti possiede più di prima,

che mira senza occhi

all’orizzonte lontano,

alle albe che nascono,

ai chiari silenzi dell’alto,

infiniti limiti.

Il tuo corpo non esiste più.

Corruttibile è nella rimembranza, curiosa marea burrascosa

Di eterne visioni ed eterni sorrisi.


 

Mutato al mutevole cambio delle stagioni

 

Ecco…io scelsi te

Che giungesti come fattezza incompiuta, 

come gioia inespressa,

mutato al mutevole cambio delle stagioni;

in primavera, or usignolo soave,

ti accosti a colei che sola ti rivolge lo sguardo;

nel mese delle foglie vibranti ecco che il tuo senso impallidisce

al moto incessante delle fronde,

e d’inverso candidi fiocchi cingono di bianco le tue mille notti ardenti.

D’estate invece sei tu, tu che emergi. Non è vero, non lo sei, non lo vuoi essere mai.

Ci celi dietro un manto di bestia estranea,

acqua che scorre impetuosa da una sorgente

arrestandoti alla foce.

Mancasti lo giorno d’inverno; 

adesso ciò che muta, muta insieme a me.


 

Pace aurea

 

Provate a volare

Candide ali

Occhi splendenti 

Su acque impervie 

Su strade sterrate

Sentieri aridi

Privi di vita.

La vita che ora ti possiede

Che mira senza sguardi

All’orizzonte lontano

Ai chiari silenzi

Infiniti d’ogni limite.

Il tuo corpo non esiste più,

corruttibile è solo nella rimembranza

curiosa marea burrascosa

ora eterne visioni, eterni sorrisi.


 

Sera 

 

Parole, dolci grafemi

Intagliate

Su fogli blu al chiarore

Notturno.

Tu scendi sopra le vesti

Le spoglie scogliere investi

Ed io

Ti ammiro mentre tu materna,

mentre tu maligna

manovri il meriggio.

Scendi e trascini, dimezzi le ore.

I frastuoni si dimenticano mentre tu invadi

E mi premi forte verso il basso con le tue tenebre.

Accogli immensamente il mondo

Severa, formosa…sei lì fuori

Sei dentro e mi travagli. Ti bramo 

Nelle viscere, ma ti temo.

Ma sera mi desideri tu, anche tu?

Forse. Mi hai adesso invaghito, mi hai illuso

Ma io qui ti attendo

Appresso ad ogni dì.


 

Sicilia, mia

 

Terra di sole, terra d’incanto

Chi la abita s’accredita il vanto 

D’essere figlio della Trinacria madre.

Terra di conche e di giumente

Di frasca fresca e acqua corrente

Del terreno solcato dall’aratro padre.

Cibo colto appena, genuino, rosaceo e sano.

 

Puledri e manzi, montagne e rocce;

Spaccapietre, borragine e ortica, 

Rapaci, gallinacei e rugiada in gocce

D’inverno sull’erba, che la mente non dica

L’estate bollente che aspetta il paesano.

 

Il caldo spacca la terra sudata e arida…

Una formica risale dal bordo,

Il cielo s’infiamma, la fronte è madida

Di sudore per la fatica e mordo

Una fetta d’anguria; Sa di lavoro,

Sa di anni, di stagioni e di famiglia

Che tramanda la manuale intesa

Di solcare il terreno di Ventimiglia 

Proprio quello della paterna mano protesa

Ad aiutar la prole per gli anni che passano.