Tommaso Clementi - Poesie

Natale

 

Dopo un pranzo sobrio ed esorbitante con familiari, divento un ghepardo pur di raggiungerti.

 

Dopo aver parcheggiato 

la scattante vettura

ed essere passato

per le vie

strette e dimenticate 

della città rinascimentale, 

arrivo

in orario

alla caffetteria

ma,

mentre ti scrivo,

te mi raggiungi.

 

Oltre alla camicia

a scacchi

rossa e nera, 

noto che

la bellezza

rimane

il tuo vestito preferito. 

Dopo i soliti saluti,

ci avviamo

ad un tavolo,

dove decidiamo

cosa bere.

 

Come una volpe furtiva e scattante, saldo il nostro debito alla cassa solo per godermi la tua faccia indispettita e sconcertata.

 

Dopo aver parlato 

di feste familiari

e futuri eventi,

ci doniamo

i nostri regali.

Per il vostro beniamino, 

un bicchiere

di vetro

dove sorseggiare

latte più

e, per te,

un libro disprezzato.

 

Trattieni

l’ira e il disprezzo

con estrema difficoltà, 

mentre sorseggio

il dolce analcolico, 

sorridendo.

Per farmi perdonare

e vedere di più

quel sorriso perfetto,

ci avventuriamo

tra strade sconosciute

verso la piccola carrozza.

 

Lo confesso, quest’uscita insieme a te rimane sicuramente il miglior regalo di Natale che abbia mai ricevuto.


Non omnes arbusta iuvant

 

Il sole è calato, il vento gelido domina ed io proseguo.

 

Oscure vie

percorro,

mentre

demoni invisibili

seguono

il respiro mio

e il battito

del fanciullino,

protetto

e al sicuro

dalla realtà 

fredda e meschina.

 

Non fiato.

Trattengo

ogni sospiro

e m’addentro

verso

una via sconosciuta.

Nulla

è familiare,

la speranza

svanisce

ma una scala

persiste.

 

L’eterna cima pare irraggiungibile ai santi ma non ai folli.

 

Ammirando

quel volto

intrigante e misterioso

che domina

in vetta,

calpesto

ogni morale

e il buon senso,

che rappresentano

questi scalini

ambigui ed invisibili

ad occhi estranei.

 

Non a tutti

piacciono

gli arbusti

e, infatti,

non cerco

comuni rose.

La destinazione finale

del viaggio,

oltre al tuo sorriso

dolce e pacato,

resta

una rosa nera.

 

La stessa che porti al collo.


Cenere alla cenere

 

Come un carcerato, desidero la libertà ma, una volta uscito, m’attende solo un cimitero di relitti.

 

Le corde 

rigide e maledette

del violino satanico

vengono graffiate

dalla musica funebre.

Quel suono contorto,

ma raffinato,

si diffonde

per questo studio,

poco illuminato,

e culmina

in pura estasi.

 

Così

tante sofferenze

e così

tante delusioni,

conducono

il docile agnello

ad abbandonare

qualsiasi buona maniera

per culminare

in una danza maligna,

dove il sovrano diabolico

viene spodestato.

 

Quel nostalgico voleva regnare all’inferno ma non ha mai conosciuto un vero diavolo.

 

Il folle perdente

aveva declamato

la guerra divina

e, preso 

dall’invidia amorosa,

ha instaurato 

il peccato mortale

nell’umana coscienza

ma ormai ha versato 

fin troppe lacrime 

da spegnere

le fiamme eterne.

 

Ora

il vero ribelle,

che nasconde 

un occhio chiaro

con benda pirata

e suona

una chitarra elettrica,

danza

insieme a peccatori

e i suoi cani 

di diamante,

ridendo.

 

La mia psiche è un manicomio pieno d’astronauti, drogati e nazisti… sembra quasi l’inferno! 


Homo homini hyaena

 

La notte è giovane e la birra accompagna il nostro dialogo.

 

Ci ritroviamo

ad una cena

tra amici

e fra i presenti,

te sei

una regina assassina

che fa esplodere

qualsiasi altro

frastuono

di sottofondo,

rendendo memorabile

questa serata.

 

Il banchetto

è servito

e la conversazione

s’interrompe.

Preso dalla fame

ed impaziente

di risentire

la tua voce,

un cannibale

divento,

squarciando e consumando

il bottino atteso.

 

Ho divorato la gustosa pizza ma, parlando con te, non sono affatto sazio.

 

Dopo esserci intrattenuti

con discorsi

sulla letteratura giapponese,

vaghiamo

con gli altri

per la splendida Firenze.

Camminando insieme,

ti chiedo

di uscire

con me

ma lo scortese

c’interrompe.

 

La furia

sopprime

la pazienza e la tolleranza.

Una degenerazione istintiva

mi riporta

allo stato

di iena

e, senza rimorso,

gli fracasso

il cranio

contro un muro di mattoni,

impazzendo e ridendo.

 

La cera facciale s’è sciolta così come la mia pazienza.


Narciso

 

In una serata

lugubre e devastante,

torno 

a casa

e la rabbia

maschera

questo volto sperduto.

Dall’Arno,

una voce defunta

mi chiama.

Nervoso e scombussolato,

siedo

sopra freddi muretti

e ammiro

quel cinico Narciso,

che desidera placare

il mio contrasto interiore

abbracciandomi

nelle acque gelide.

Sono tentato.

Dimenticare

per sempre

o soffrire ancora?

Il dilemma amletico

mi trascina

in questo eterno ritorno,

allontanandomi

dal cuore estinto.


Sanguinamento

 

Il fine settimana è giunto con un tentativo di riconciliazione ma sento solo dolore.

 

A differenza

di quest’artista

fatto e malinconico,

non ho abbondato

mai

la mia religione

perché

sono sempre rimasto

un profano curioso

e non ho ancora sparso

fiumi di sangue

in cruenti crociate.

 

A differenza 

del ragazzo stellare,

gloria e soldi

non m’interessano

e ora anche lui

s’è reso conto

che questi premi

valgono

quanto uno sputo

in confronto 

alla tua voce

gentile e rilassante.

 

Io e questo ragazzo di neve siamo così diversi ma stiamo entrambi sanguinando sotto luci accecanti.

 

Rivederti

non è mai stato

un errore madornale,

poiché il pensiero

di renderti felice

ha sempre dipinto

il mio mondo

meschino ed insensibile

e, anche se

non celebrerò

alcun trionfo,

m’accontento.

 

Difatti,

quella vetta ambita

resterà irraggiungibile

per un malaticcio,

che sanguina ancora,

e, sentendo

l’ora nefasta

che s’avvicina,

ti chiedo scusa

per questo senza cuore,

che batte

solo per te.

 

Mentre mi dissanguino, chiudo gli occhi e attendo il prossimo incontro.


Riflesso

 

Smetto di pensarti, guardando fuori la pioggia, che riflette la delusione romantica.

 

Mi definisco

un poeta decadente

e privo

di qualsiasi ambizione

ma

non sarebbe

veritiero.

La speranza

non si è portata

con sé

anche il sentimento

verso l’oblio

delle mancate occasioni.

 

Dopo la tua sentenza

di dubbio e paura,

vago

senza piani

di ricerca

o di conquista.

Avanzo continuamente

alla ricerca

di nuova musica,

ma la tua voce

resta

il mio vinile preferito.

 

Devo davvero impazzire e tagliarmi l’orecchio come un’artista olandese per dimenticare quella beatitudine dolce ed armonica che provo quando sono con te?

 

Mi arrendo,

scaravento

l’insulso diario

verso

la finestra chiusa

e mi dirigo

in bagno

per lavarmi

la faccia 

di inutile miserabile.

Cosa dovrei fare

allora?

 

La disperazione

macchia

il mio volto

come macchie colorate

in un’opera

di Pollock.

Eppure,

quando penso

alla felicità,

vedo

il suo volto

fin troppo perfetto.

 

Vorrei avere il talento di Courbet solo per immortalare il tuo indimenticabile sorriso su fogli candidi e nudi.


Occasione rubata

 

In gabbia

attendo

con impazienza

frenetica ed indescrivibile

quel attimo fugace,

che perfida corona

m’ha rubato oggi.

Un’uscita,

una cena

o un dialogo.

Voglio solo posare

di nuovo

i timidi occhi

sul meraviglio viso.

Lo so,

non m’appartiene

minimamente

e certi dolori

fanno appassire

qualsiasi girasole

che fissa sempre

la propria stella

sotto una tempesta.

Mi struggo

nello scrivere ciò

ma in che altro modo

posso essere

sincero?


Sogno eterno

 

Solita notte,

solito incubo.

Dopo aver seppellito

l’ennesima speranza,

marcio

sulla spiaggia desolata

senza una meta.

Voglio fuggire

da questo limbo

ma

nel vedervi

fuggire insieme

cado a terra.

Nessuna consolazione

m’attende.

Anche se

mi getto

nel freddo oceano

della solitudine,

la gelosa marea

mi trascina

verso la costa.

In collera e sconsolato,

mi punto

una pistola

alla tempia pulsante.

Un suono sordo!

Vengo seppellito…


Vetta solitaria

 

In un’afosa domenica invernale, mi ritrovo in vetta alle infinite scalinate di coscienza.

 

Un panorama familiare

appare

dinanzi agli 

occhi pazienti

e l’intensa luce 

di nuova aurora

m’alleggerisce

d’ogni vestito beffardo.

Tuttavia,

il vento assente

affianca

la volontà immobile.

 

Non sono salito

su solitaria cima

con volto sconsolato

e non credo

nemmeno

di scendere

ballando

con un sorriso.

Quest’ultimo caso

avverrebbe solo

in un’unica circostanza,

alquanto improbabile.

 

Anche se a pranzo mi sono connesso solo un bicchiere di vino, l’euforia rapisce ogni malinconia passata ed ammira questo nuovo ed improbabile inizio.

 

Nemmeno una nuvola

vedo

sopra di me

eppure

l’amigdala,

stremata

da troppe paranoie,

percepisce

un imminente bubbolio.

Quale vento avverso

vorrà torturarmi

con un nubifragio?

 

Di recente,

sono sopravvissuto

ad una tempesta

emotiva ed inaspettata,

che ha annientato

ogni mia paura

ma ha risparmiato

un sentimento lampante,

che devo sopprimere

per vivere

sotto quest’alba rinnovatrice,

dove respiro.

 

L’indisciplina di Cremesi sintetizza questa strana sensazione ed allontana ogni preoccupazione.