Valentina Corsano
Racconti
Nonni d’altri tempi
L’altro giorno, a scuola, una mia allieva mi ha mostrato un nuovo tatuaggio disegnato all’interno del braccio e che rappresenta lei e suo nonno, vicini e abbracciati.
Mi racconto’ di avergli mostrato lo schizzo prima che morisse e che fu felice di sapere che “sarebbe finito li’”. La sua dipartita avvenne qualche giorno dopo.
Un altro mio allievo, meno di un mese fa, ha composto una canzone da dedicare sempre al nonno.
Una composizione commovente che racconta molti attimi trascorsi insieme a lui ed anche delle crepe procurate nel suo animo dalla grande nostalgia di non averlo più a fianco.
E poi ci sono io…che ho bisogno di scrivere questo racconto rivolto soprattutto ai miei nonni materni che hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita.
I miei nonni materni, soprattutto mio nonno, negli ultimi anni della sua vita aveva il terrore che potessi dimenticarlo. Sentiva il bisogno di continuare a vivere nei miei ricordi ed anche in quelli dei miei futuri figli.
Nonostante cercassi di rassicurarlo, non smetteva di registrare vhs che riempiva completamente, e ne andava fiero, di documentari sulla natura o performance dei suoi cantanti preferiti…
Le catalogava tutte – le chiamava “la sua videoteca” – sperando che prima o poi le avrei riguardate.
Mia nonna invece confezionava abiti per bambini, camicini per la nascita, bavaglie…li ricamava per lasciarli in eredita’ a noi, i suoi nipoti.
Era convinta che non avrebbe visto i miei figli nascere, continuava a ripeterlo. Quello era il suo modo di restarci accanto.
Li lasciavo fare…
Permettevo loro di occuparsi di ricordi materiali perché questo li rassicurava, ne avevano bisogno…
In realtà io, più’ che gli oggetti, mi porto dietro i racconti, gli insegnamenti, i momenti condivisi e tutto l’affetto che ho provato ed è impossibile rivivere.
I miei ricordi sono divisi in due metà.
La prima metà riguarda i ricordi d’infanzia…la seconda i ricordi di ragazza.
Perché li chiamo ricordi divisi?
Non solo perché quello che si racconta ad un bambino è differente rispetto a quello che si trasmette ad un adulto…ma, più che altro, tanto dipende da come viene recepito.
All’eta’ di tre anni fui affetta da una adenite con sospetta origine tubercolare.
Fu necessaria una lunga degenza ospedaliera che si concluse con l’asportazione della ghiandola infetta accompagnata da una lunga terapia con svariati controlli. Questa esperienza mi segno’ psicologicamente dando origine a molteplici paure ingiustificate. Considerando poi il mio stato di salute cagionevole, in via preventiva, con l’intento di evitare ulteriori infezioni infantili, si decise di escludermi dalla frequentazione della scuola materna.
In quegli anni sono stata accudita quasi esclusivamente dai miei nonni materni – i miei genitori lavoravano entrambi -. Gemma era ricamatrice e trascorreva intere giornate a confezionare abiti mentre mi accudiva.
Gianni faceva il portiere…lo vedevo quindi molto meno.
Di quel periodo ricordo la passione di mia nonna per il lavoro che ancora adesso prendo ad esempio: lei ha condizionato molto il mio indirizzo…mi ha fatto capire quanto fosse importante scegliere il mestiere giusto.
Mia nonna ha lavorato fino all’ultimo, la sua passione le ha salvato più’ volte la vita.
Mi ricordo poi i suoi pranzi…pasti ripetitivi ma dai sapori che non sono più’ riuscita a ritrovare e poi le sue carezze per farmi addormentare…mi stendeva sul divano e faceva scivolare le sue mani sui miei occhi, lentamente.
Aveva sempre pronti grattini alla schiena per me e i racconti delle storie di famiglia che le chiedevo ossessivamente di ripetermi.
Gemma era la penultima di 10 figli. Aveva trascorso la sua infanzia in Puglia e in povertà. Si trasferì’ a Milano solo dopo il matrimonio. Spesso mi parlava dei tempi di guerra…del raccolto dell’acqua alla fonte, del fatto che tutti, in famiglia, si lavassero i capelli con l’acqua saponata avanzata dal lavaggio del bucato; mi raccontava della miseria, quella vera.
Aveva frequentato la scuola fino alla quinta elementare e ne andava fiera, era anche brava!…poi aveva dovuto fermarsi per iniziare a lavorare; c’era bisogno che lo facesse.
Ricamava disegni da lei stessa ideati ed insegnava ad un gruppo di ragazze il suo mestiere, le chiamava, in dialetto: “discipule”.
Nelle sue parole non ho pero’ mai visto altro che luce…Gemma aveva imparato, con il tempo, ad amare le piccole cose
come ad esempio lo stare seduta sulle gambe del padre ad ascoltare una storia: “io e mia sorella Maria, una su una gamba e l’altra sull’altra”, diceva.
Il suo passato e’ stato molto complesso…questo le ha permesso di acquisire un gran senso dell’umorismo e, di contrasto, anche una tendenza spiccata alla depressione.
Quando ero bambina voleva mostrarmi più il suo lato comico… A dire il vero mi veniva quasi da sorridere anche quando trasformava in un evento drammatico anche una banale frattura…
La si prendeva un po’ in giro…
Da bambina ed adolescente Gemma mi aveva detto di aver perso la mamma da giovane…anni dopo venni a sapere che ebbe anche una sorella affetta da sindrome di down – Vittoria – che mori’ da bambina. Oltre a questo scopri’ che i suoi volevano che si accasasse il prima possibile; per questo motivo, divento’ moglie di Gianni, suo compaesano.
Mio nonno le aveva fatto “la corte” per molto tempo frequentando diverse funzioni in Chiesa pur di mostrarsi a lei (nonostante non fosse credente…ma questo l’aveva taciuto…).
Gianni tendeva a non volersi troppo raccontare per via della sua infanzia drammatica.
Mi spiaceva molto non sapere di lui… Dall’altra parte, da adulta lo considero un atto estremo di generosità e orgoglio; forse non voleva che il giudizio nei suoi confronti venisse troppo influenzato da questo…o, semplicemente, non voleva ricordare quel grande dolore e ributtarcelo addosso.
Sapevamo che era l’unico sopravvissuto di diversi figli unitamente ad una sorella che pero’ mori’ a 13 anni a causa di un’infezione gengivale trascurata.
Tutti gli altri fratelli morirono in eta’ infantile.
Gianni perse la mamma ad 8 anni e visse unicamente con suo padre. Frequento’ la seconda elementare e poi dovette andare a lavorare nei campi.
Suo padre mori’ di tifo pochi anni dopo il suo matrimonio…la malattia venne trasmessa a mia nonna e alla loro piccola Pina non sopravvisse all’eta’ di 18 mesi.
Essendo figlio unico e avendo una casa di proprieta’…era stato considerato dai miei bisnonni un buon partito per mia nonna. L’ignoranza e la povertà di quegli anni avevano eliminato il romanticismo per lasciare più’ spazio ai beni materiali.
Gemma si sposo’ per rassicurare i suoi che morirono poco dopo. Successivamente mio nonno decise di trasferire tutta la famiglia al nord, precisamente a Milano, senza accordarsi con sua moglie che dovette lasciare tutti i fratelli e sorelle reinserendosi professionalmente in una realtà’ a lei sconosciuta; questo provoco’ molto rancore in Gemma… Gianni amava mia nonna anche se da bambina questo non lo notavo…e adorava i suoi occhi… Trascorrendo molto tempo con Gemma e sentendola spesso lamentarsi di lui – era colpa del suo passato se aveva delle spigolosita’! ma questo non lo capivo ai tempi…e poi conoscevo la storia del trasferimento che contribuiva a non farmelo risultare simpatico…- …la figura di Gianni mi era quasi estranea e intimidente.
Da bambina, inoltre, le figure maschili della mia famiglia ricoprivano tutte un po’ lo stesso ruolo: mio padre era molto severo con me e mio nonno paterno era molto austero e algido.
Anche le poche volte in cui Gianni giocava con me e mio fratello…non riuscivo a lasciarmi andare completamente causa incredulità. Con il tempo pero’ questo cambio’, cambiai io, cambio’ il mio sguardo.
Quando ero bambina i miei nonni erano poveri ma incredibilmente generosi…ospitavano tutti i parenti bisognosi che migravano dalla Puglia a Milano per trovare lavoro, nel loro piccolo appartamento che odorava di pecorino (mio nonno ne acquistava sempre chili da grattugiare per condire la pasta al ragù’) che aveva anche la camera da letto con accesso dal balcone.
I miei nonni si facevano in mille per tutti…con i loro difetti, i loro limiti dettati dall’ignoranza di aver frequentato solo alcune classi elementari e dalle esperienze di vita traumatizzanti, ma dal cuore altrettanto gigantesco.
Gianni, con tutti i suoi errori ortografici che mi facevano molta tenerezza, portava avanti la famiglia e manteneva anche me, piccolina, viziandomi con coccole dolciarie. Aveva poco ma quel poco riusciva a renderlo gigantesco. Mi diceva sempre: “la banana la vuoi?” guardandomi con lo sguardo orgoglioso e soddisfatto di chi può farti un grande dono… Tanto di questo mi aiuto’ a cambiare opinione con il tempo…
I pochi risparmi che riuscivano a mettere da parte li spartivano in mance natalizie da destinare a noi nipoti…li infilavano in buste chiuse che dovevamo estrarre…una conteneva 5 mila lire in più’…quanto si divertiva Gianni! Si ricordava di anno in anno chi erano stati i fortunati… Inoltre non mancavano mai stecche di cioccolato regalo.
I miei nonni possedevano un piccolo appartamento – lasciato in eredita’ – nel loro paesino pugliese d’origine in cui soggiornavano nel periodo estivo negli ultimi anni della loro vita. Questa casa dava su un piccolo orticello che Gianni curava con una passione mai vista… Quando li si andava a trovare mostravano ogni centimetro quadrato del proprio terreno e ci donavano interi sacchetti di frutta e verdura; erano famose le zucchine che aspettava diventassero giganti prima di tagliare.
Ma non trattavano solo noi cosi’…la loro porta d’ingresso era sempre aperta, un traffico costante di amici e parenti la attraversavano, e non c’era mai una volta in cui qualcuno se ne andasse a mani vuote.
Che passione che aveva mio nonno! Non posso scordarmi di lui, in giardino, in canotta e pantaloncini corti, canna per innaffiare in mano, grande pancia ma sorriso ancora più’ ampio.
E poi amava la bicicletta, in paese girava solo in bici…e le poche volte in cui veniva in montagna con noi, ci dirigevamo insieme fino al cantone vicino…lui mi stava accanto e pedalavamo alla ricerca di una gelateria; mi sembrava incredibile.
Inoltre…ogni tanto, con nonna veniva a trovarci al mare. Gemma si incantava a guardare la nostra casa interamente progettata da mio padre e che ha una grande vetrata con vista sulla costa. Nonno, invece, “rubava” la chitarra di mio fratello Lele e faceva finta di saper suonare mentre improvvisava un canto vocalizzato che ci faceva ridere fino alle lacrime: quanto amava farci ridere!
Gianni si vantava inoltre di saper addormentare neonati istantaneamente. L’ho visto all’opera e posso confermare… intonava una nenia lentissima e al limite della sua estensione vocale nel registro basso. Ho provato ad imitarlo applicando la sua tecnica con le mie figlie, ma senza successo. Spero sia solo colpa della mia voce femminile dai registri più’ acuti.
Comunque, capitava anche che, con i pochi risparmi, in occasione di un compleanno, ci invitassero in pizzeria.
Ancora oggi, quando mangio una pizza, mi ricordo di quei momenti e mi sento una “regina”.
Sempre, della mia infanzia, non posso dimenticare le estati in montagna con mia nonna: due mesi di assoluta libertà’ dopo un inverno chiusi in appartamento.
A ripensarci adesso, Gemma era davvero coraggiosa a curarsi da sola dei suoi piccoli nipoti, in un altrettanto piccolo borgo sperduto della Bergamasca senza possedere neanche un’automobile.
La nostra villetta con giardino permetteva a me e mio fratello di trascorrere intere giornate all’aria aperta.
Quante corse nei prati, giochi a palla, gare in bicicletta, partite a baseball con i figli dei vicini, dipinti ad acquarello gustandoci la vista delle montagne, lanci di sassi nel fiume, piccole passeggiate anche a “lume di lucciole”, pomeriggi a gustare il profumo che emanava l’albero di tiglio, sudate e risate. E anche urlate di nonna che facevamo disperare perché non ci vedeva mai tornare; ma quei momenti divertivano anche lei.
Il mercoledì’ sera e per tutto il fine settimana venivano a trovarci mamma e papa’… li aspettavamo con ansia…
Nonna per far trascorrere più velocemente il tempo si inventava giochi con piccoli sassi rubati al terreno…erano i suoi passatempi di bambina che io adoravo e consideravo preziosissimi.
Ogni tanto qualche vicino passava a salutarci e Gemma sfoderava la sua solita parlantina e ospitalità’.
In quel caso interrompevo ogni lettura e gioco per starla ad ascoltare…era uno spasso ed io ero orgogliosa di lei!
La sera non guardavamo la televisione e non ci mancava…andavamo a letto tutti nella stessa stanza e giocavamo a “vedo vedo un colore…………”; intere ore cosi’… che pazienza che aveva nonna! che non ci ha mai mostrato un segno di stanchezza.
Non posso dimenticare, inoltre, che nonna continuava a lavorare anche d’estate! …con il tempo e la costanza era diventata sarta per un negozio in centro Milano molto prestigioso. Alcuni suoi capi finirono su riviste di abbigliamento per bambini…confeziono’ abiti – per citarne alcuni – per: la figlia della cantante Madonna, i figli di Bud Spencer, di Laura Biagiotti, Sveva Sagramola (da bambina)…
Un grande talento miscelato ad una grande passione portano davvero a compiere tanta strada; lei ce lo ha sempre insegnato attraverso l’esempio.
Tutta questa cura io e Lele cercavamo di ricompensarla preparando il caffè’ dopo pranzo che facevamo a gara a portarle in giardino; lo portavamo a lei che ci aspettava seduta su un muretto mentre si gustava un po’ di sole.
Gli anni sono trascorsi velocemente e siamo diventati grandi.
Andavamo a trovare i nonni la domenica…prima a pranzo, poi, quando invecchiarono, solo il pomeriggio.
Nel frattempo Gianni si e’ ammalato…aveva molteplici problemi di salute che l’avevano reso fragile.
Aveva anche superato un tumore alla prostata.
Gemma soffriva invece di un tremore senile che andava peggiorando e non le permetteva di cucire bene come una volta…
Questo stato di salute frustrante, insieme al suo passato che, spesso tornava a fare capolino, l’aveva indotta in depressione.
Sono stati anni davvero duri.
Mio nonno, nonostante tutto, cercava sempre di non perdere la speranza ed il suo lato comico…
Delle volte mi telefonava per raccontarmi quanto fosse gustoso il riso in bianco che si era preparato…
Riusciva davvero ad apprezzare le piccole cose! e spronava mia nonna che chiamava “Gemma mia!!” a risollevarsi; lo faceva quotidianamente anche quando lei minacciava il suicidio.
Era terribile vederla ridotta cosi’ e commovente la cura di Gianni verso di lei.
In quegli anni io cantavo molto…mi esibivo in teatri e Chiese come mezzosoprano lirico solista.
I miei nonni erano orgogliosi di me…
Adoravo il modo in cui Gianni si prendeva cura del mio sogno…
Non potendosi muovere da casa, spesso registravo le mie esibizioni per poterle condividere con loro; gli occhi brillavano. Le guardavano e riguardavano e ne parlavano.
Non dimenticherò mai quando nonno si fece dimettere dall’ospedale per venire a sentirmi cantare dal vivo; si sedette in prima fila ed uso’ tutte le forze per applaudirmi.
Io cantavo un po’ per lui. Smisi quasi del tutto quando venne a mancare in quanto non ritrovavo in nessuno la stessa gioia pura. Mi manco’ la spinta e lo scopo per andare avanti. La mia voce la teneva in vita solo Gianni.
Quanto si stupiva nonno, di tutto!
Avendo vissuto sempre in povertà…l’avvento della tecnologia con i suoi passi da gigante lo incantava moltissimo. Ripeteva ossessivamente quanto fosse miracoloso poter “girare il mondo” osservando un documentario dal divano di casa. Lui mi ha insegnato a godere delle piccole cose e a non dare nulla per scontato.
Nonno mori’ in seguito ad una frattura al femore che si procuro’ durante il matrimonio di mia cugina – sua nipote – Ballo’ a suo modo tutto il pomeriggio, al momento di andarsene inciampo’ in un piccolo gradino. Che destino!
Andavo a trovarlo ogni giorno in ospedale, era un bel tempo insieme…; tutti gli infermieri e i dottori gli volevano bene. In mancanza d’altro, mi regalava il suo budino al cioccolato quotidiano che si faceva tenere da parte per me…lo adoravo.
Il giorno della sua morte sembrava stesse bene, aveva anche pensato di organizzare un pranzo al ristorante per il giorno successivo – aveva fatto amicizia con un degente – e si pregustava un via libera di qualche ora in sua compagnia… Lo lasciammo un attimo da solo per un pranzo frugale… … ritrovai solo la sua pelle gelata e ci sommersero fiumi di lacrime.
Nonna rimase fra noi ancora per qualche altro anno per essere accudita. Si trasferì in un mini appartamento accanto al nostro, a Monza e, nell’ultimo periodo di vita, definitivamente a casa nostra.
Per riempire il vuoto lasciato da Gianni, riprese il ricamo, la depressione la abbandono’ gradualmente – fu un grande regalo vederla tornare “quella di una volta” – e comincio’ a riconoscere che nonno la amasse.
Improvvisamente tutte le storie avevano cambiato rotta…diede valore, per la prima volta, alla decisione di nonno di trasferire tutta la famiglia al nord Italia per donare a tutti un futuro migliore…scomparve il rancore…tutto assunse, all’improvviso un’altra forma e dimensione. Improvvisamente anche i miei occhi riuscirono ad individuare tutto il dolore, la fatica che avevano provato entrambi… e lessi la mancanza di comunicazione non come una assenza di affetto.
I miei nonni erano entrambi umani, il loro peso, si equiparo’, per la prima volta, sui piatti della bilancia. Erano persone normali ma, allo stesso tempo, straordinarie….e si volevano bene…in un modo diverso, ma sicuramente se ne volevano. Li stimavo, entrambi.
La notte prima che Gemma morisse a causa di un tumore intestinale, sognai mio nonno.
Gianni “venne a trovarmi” per rassicurarmi: “penso io a nonna, non ti preoccupare!”, mi disse…poi mi prese tra le sue braccia e volammo insieme sopra i tetti della città’. Non lo dimenticherò’ mai.
Io lo sognai…mentre nonna gli parlava, dal letto della sua camera, come mai fece prima, con una tenerezza e una dolcezza da innamorata.
Sono trascorsi 13 anni da quando non sono più’ con me e non riesco ancora a riguardare gli innumerevoli filmati che girai con la mia piccola telecamera per ricordare gli attimi vissuti insieme…come non riesco a riascoltare le audiocassetta contenenti la voce di nonna che intervistavo, da piccola.
Al loro interno sono racchiusi i volti, le loro voci che continuano, nonostante tutto, a farmi compagnia…
Sono con me ogni volta che penso a come dovrebbero essere dei nonni, ogni volta che mi viene l’istinto a lamentarmi, ogni volta che ricordo “un detto di famiglia”, ogni volta che racconto di loro alle mie bimbe, ogni volta che penso al significato della parola “generosità’ “, ogni volta che mi siedo su un prato o penso ad uno dei più’ belli abbracci della mia vita.
Nonna che mi salutava con il suo: “gioia mia! Ti ho cresciuto io!”.
Nonno che apriva le sue braccia fino quasi a strapparle, che allargava le sue labbra all’estremo e con tutta la forza in corpo e l’entusiasmo…urlava il mio nome.
Le parole che mancano
Sono qui, immobile e mi mancano le parole.
Capita anche a voi, vero?
E’ tutto nella norma…tranquilli.
Ci si trova davanti a qualcuno, si provano sensazioni che avrebbero bisogno di frasi lunghissime per essere spiegate ed allora ci si limita a stare in silenzio.
Meglio il silenzio di una eventuale poca chiarezza, vero?
Sbagliato.
Cioè’…non e’ sbagliato in se’ che manchino le parole…e’ sbagliato che il dizionario non sia sufficientemente completo e soddisfacente.
Guardiamo quindi tutto da un’altra prospettiva.
Ultimamente mi sto appassionando di definizioni…
Ho scoperto che esiste un universo di parole che derivano da diverse parti del mondo e che definiscono pienamente quello che, delle volte, provo.
E’ incredibile trovarsi a leggerle…improvvisamente ti sembra che le tue emozioni non siano sbagliate e che ci sia qualcuno, dall’altra parte del mondo, a cui basta singola parola per definirle…e magari lo fa quotidianamente…
Questa persona pero’ non si trova qui. Non in Italia.
Qualche esempio?
Weltschmerz (parola tedesca): dolore cosmico. Parliamo di quel senso di tristezza universale che abbraccia l’intera esistenza e quella del mondo. A volte cupo, a volte catartico, è uno stato d’animo che si fonda sulla consapevolezza di non poter soddisfare, con gli strumenti limitati della realtá fisica, i bisogno della mente. Leopardi ed Heinrich Heine ne sapevano sicuramente qualcosa.
Fremdschämen (parola sempre tedesca): questo termine indica una conquista morale tipica della società civilizzata e descrive quel particolare senso di imbarazzo che si prova quando ci si vergogna, a volte mortalmente, per qualcun altro.
Schadenfreude: questo termine descrive quella forma di piacere più o meno sottile che a volte proviamo di fronte alle sfortune altrui, senza saperci spiegare bene perché. Alcuni lo ammettono, altri lo negano, i tedeschi hanno preso atto dell’esistenza del fenomeno e, pragmaticamente, hanno coniato un verbo.
Incredibile: questo termine ci rende improvvisamente umani!!!
L’appel du vide
Stiamo aspettando il treno e improvvisamente un pensiero ci passa per la testa: e se ci buttassimo sulle rotaie? I francesi hanno coniato un termine per questo fenomeno: “l’appel du vide”, ovvero il richiamo del nulla, una sorta di forza inspiegabile che vorrebbe trascinarci in basso, farci cadere. È un’emozione che ci ricorda che non sempre vale la pena seguire il nostro istinto.
Malu
È la sensazione che si prova quando, al cospetto di una determinata persona, ci sentiamo improvvisamente inferiori. Può capitare, ad esempio, in ascensore con il nostro capo: anche se ci reputiamo persone gentili e in grado di sostenere qualsiasi conversazione, ci blocchiamo, i pensieri si annullano, la testa diventa vuota e ci sentiamo frustrati. Potrebbe anche essere un segnale di un’eccessiva gentilezza o timidezza.
Pronoia
È il contrario della paranoia. È la sensazione che tutto, nell’universo, giochi a nostro favore, la sensazione di essere protetti da entità esterne a noi. Il termine greco può essere tradotto in italiano con la parola “provvidenza”, intesa dagli stoici come il fato divino e razionale che governa il mondo, prevedendo e salvaguardando lo svolgersi degli eventi.
Koi no Yokan (parola giapponese)
“premonizione d’amore. La sensazione che una tra due persone può avere al loro primo incontro che essi finiranno inevitabilmente per innamorarsi.” Da non confondere con il termine che indica l’amore a prima vista, hitomebore. Si può provare koi no yokan anche senza nutrire un sentimento per l’altro al momento dell’incontro. Si tratta di un presentimento più vago e profondo, che troverà conferma soltanto col tempo.
Ma si potrebbe andare avanti all’infinito… Quanta bellezza!
Noi “siamo” il nostro vocabolario… più è ridotto più facciamo fatica a comprendere e comprenderci.
Mi piace pensare che qualcosa abbia ancora bisogno di essere definito…e che forse, tanti degli errori dell’uomo, siano proprio dettati da questo.
I miei pensieri, per ora, si sono concentrati su un punto in particolare, un punto che sta molto a cuore.
Sappiamo tutti quanto sia complesso portare avanti un rapporto amoroso e quanti dei matrimoni siano fallimentari…
Quindi, parlando dell’amore…ho pensato che se posseggo un vocabolario ristretto rischio di etichettare un sentimento in modo sbagliato e questo può portare ad un effetto domino.
Sarebbe bello che il sentimento d’amore godesse di un multiverso di parole, insiemi e sottoinsiemi…
Ci pensate? Così facendo un rapporto a due sarebbe costellato di definizioni che andrebbero a toccare ogni passo del rapporto… Questo, oltre ad aiutarci a capire “dove ci si trova”, ci porterebbe a goderci la bellezza della scalata.
Tante definizioni e categorie ci indurrebbero a porci più domande.
La parola “ti amo” avrebbe decisamente più valore…sarebbe un ultimo passo da dedicare ad una persona sola e non uno dei primi per fare capire all’altro “che ci tieni”…
Dire o sentirsi dire “ti amo”, a quel punto, sarebbe un’esperienza ancora più eccitante… esponenzialmente più eccitante.
Sarebbe meraviglioso poter usufruire di una parola per ogni passo.
Non solo: mi piaci, provo qualcosa per te o attrazione per te, ti amo.
Quanta pochezza da attribuire ad un sentimento così potente.
Tra l’altro, ascoltate che dice un’importante dizionario riguardo l’amore:
Sentimento di viva affezione verso una persona, che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di ricercarne la compagnia.
Come puo’ uno non confondersi?
Ed ora tutti alla Sacra Rota a chiedere l’annullamento.
Sarebbe diverso se esistesse:
Una parola per dire: mi piace trascorrere del tempo con te, voglio conoscerti meglio.
Una parola per dire: mi fai battere il cuore, voglio conoscerti meglio
Una parola per dire: mi piace stare con te e mi fai battere il cuore, voglio conoscerti meglio
Una parola per dire: mi piace stare con te, mi fai battere il cuore e provo attrazione per te, voglio conoscerti meglio
Una parola per dire: voglio stare con te più a lungo possibile…adoro starti accanto e quello che stiamo
costruendo insieme. Mi fai battere il cuore e mi attrai.
Una parola per dire: Provo un sentimento molto forte per te che, in questo preciso momento mi farebbe propendere per passare la vita con te…ma ho bisogno di capire quale direzione prenderà.
E poi … c’è il:
Ti amo: sei la mia passione che non cambia con il passare del tempo…si trasforma ma si rende sempre più salda e per questo meravigliosa. Sei la persona che mi fa stare bene e con cui voglio passare il resto della vita, la persona che rende il mio presente e la vista del mondo più bella…colui che ha potenziato il mio sguardo, mi stimola e rende migliore. Sei la spinta…
Il sentimento incondizionato.
Ma soprattutto sei colui che voglio rendere felice…che farei di tutto pur di rendere felice. Colui che amplifica il concetto di generosità e lo rende naturale e così bello.
Dopo “5 anni” di scalata, un bel “TI AMO”. Wow!…lacrime agli occhi senza bisogno di un anello di fidanzamento. Ci si troverebbe direttamente sulla vetta, a godersi la vista meravigliosa: un’altare che tocca il cielo.
Ma si potrebbero aggiungere altre definizioni e sfumature…
Poi c’è la poesia, fortunatamente, la musica… …che sono capaci di esprime quello che le parole non
dicono…ed è forse grazie a questa carenza di linguaggio che si cerca una sfera artistica dove fare convogliare tutto.
Dall’altra parte sono pero’ convinta che qualche termine in più non porterebbe la “morte” di musica, arti pittoriche e scrittura.
Chi è sensibile cercherebbe sempre un modo proprio e personale per raccontare cosa gli accade.
Una dedica personale ricca di metafore. Sarebbe solo tutto piu’ ordinato.
Fortunatamente conosco anche coppie meravigliose che si sono amate fino all’ultimo giorno come sarebbe giusto fosse.
Sono quei legami che fanno sognare e fanno pensare a quanto sarebbe bello scrivere tutto, riscrivere tutto.
O forse e’ tutto molto più’ semplice di quello che si pensa: le parole esistono eccome! Quelle coppie posseggono il vocabolario che agli altri manca e che vorremmo tutti poter spiare, almeno una volta.