Valentina Motta

Poesie


Narciso – Una favola moderna

Narciso ormai aveva compiuto 40 anni, ma non aveva smesso di coltivare con estrema cura il culto della propria bellezza e del proprio corpo, dedicandosi assiduamente a quotidiane attività volte all’esercizio fisico. A questa se ne aggiungeva un’altra, parallela e complementare, consistente nella contemplazione e nell’immersione visiva dentro la propria immagine, osservata, guardata, ammirata, venerata ogni giorno. Perché, sì, Narciso si piaceva. Effettivamente provava gusto e compiacimento nel mirare e rimirare se stesso nello specchio: l’ovale perfetto del viso, rafforzato da una mascella volitiva, gli occhi scuri, densi e penetranti, il naso diritto, lungo e virile, i capelli ancora folti, che scendevano copiosi formando ciocche corpose; e poi il corpo energico e plastico, ben formato, in grado di suggerire a un primo sguardo prestanza e di rassicurare immediatamente con la sua presenza.

Un giorno, poco dopo il suo quarantesimo compleanno, Narciso tornò a casa dalla palestra – come di consueto – a serata inoltrata, carico di adrenalina e pieno di soddisfazione per lo sforzo compiuto, che – ne era sicuro – si sarebbe ripercosso visivamente e in modo positivo sul suo aspetto. Fu allora che incontrò di sfuggita se stesso nello specchio collocato in corridoio. Una rapida occhiata gli fu sufficiente per accorgersi che qualcosa non andava. Delle antipatiche zampe di gallina erano comparse intorno agli occhi e per la prima volta Narciso notò anche delle antiestetiche rughe del pensatore sulla fronte. Ma come era stato possibile?

Probabilmente la cattiva illuminazione – si rassicurò – o, forse, dormendo, qualche brutto pensiero gli aveva fatto corrucciare lo sguardo. Ma come era potuto accadere a lui? Lui, ancora una volta ne era sicuro, non era avvezzo agli incubi notturni né era mai angustiato a tal punto da alterare in senso peggiorativo i propri connotati. E poi stava sempre attento, quando gli veniva da ridere, a trattenersi, proprio per non lasciare traccia sulla sua pelle di una qualche emozione.

Non trovando una risposta, Narciso decise per il momento di evitare di affrontare la questione. Sarebbe andato a dormire e il giorno dopo avrebbe chiamato Chiara, una delle ragazze con cui si era visto più spesso negli ultimi tempi. Si sarebbero incontrati e questo avrebbe calmato i suoi dubbi.

《Mi dispiace, Narciso, questa sera devo aiutare mia mamma a fare ordine negli armadi. Gliel’ho promesso!》Di fronte a questa malaugurata risposta, Narciso – a bocca aperta- restò ammutolito, limitandosi a prenderne atto. Tanto, si disse dopo aver preso coscienza dell’accaduto, avrebbe chiamato qualcun’altra: certo non sarebbe stato un problema trovare una valida sostituta, pescando tra i suoi numerosi contatti. Tuttavia, il giovane non fu poi così contento di sapere che Sara, la sua ex ragazza, era stata morsa da un cane giusto il giorno prima, fatto che le aveva provocato una forte rabbia oltre che danni alla gamba. E con le successive prede non andò meglio: chi doveva andare in stazione a ricevere un parente lontano, chi sapeva in anticipo che avrebbe terminato molto tardi di lavorare, chi non voleva uscire vista la pioggia imminente – almeno stando alle previsioni meteo – chi, ancora, non poteva lasciare i “bambini” a casa perché i cagnolini erano piccoli e avrebbero sofferto la solitudine.

Mentre Narciso rimuginava tra sé e sé, passando in rassegna a una a una le improbabili situazioni che gli erano state prospettate, arrivò un messaggio di Gaia. E chi era? A Narciso quel nome subito non disse nulla. E nemmeno nei minuti successivi riuscì a farsi venire in mente chi fosse quella ragazza. Ma sì, era una sua compagna del liceo, che lo contattava per un’imminente cena di classe, una rimpatriata finalizzata a incontrarsi dopo tanti anni di silenzio. Gaia era sempre stata innamorata di Narciso ma, reputandosi insignificante, non aveva mai osato ambire a lui. E così fu anche la sera della reunion. Lei lo vedeva meraviglioso nonostante, effettivamente, il tempo avesse agito sul suo viso; ma questo non le impedì di accarezzare l’antico desiderio, rinnovando il sopito sentimento. Anzi, negli occhi della ragazza, che brillavano di magia, Narciso si specchiò, beandosi di piacere. Quella sarebbe stata la sua prossima vittima.

Così accadde. Narciso gioiva del sentimento di lei, abbeverandosi e alimentandosi del suo nettare. Durante le giornate passate insieme il fiore di narciso veniva annaffiato, inorgogliendosi, e così il giovane viveva di amore riflesso, quell’amore però senza cui, da allora in poi, non sarebbe più riuscito a stare.

 


 

Brano estratto da V. Motta, Narciso, narcisi, narcisismo. Mito, Arte, Letteratura (&MyBook, 2022)

Eppure è dallo sguardo e dalle attenzioni dell’altro che il narcisista ha il proprio nutrimento, perché senza di essi non potrebbe alimentare il proprio ego. C’è, dunque, bisogno del sentimento dell’Altro per l’”approvvigionamento energetico” di Narciso, con il rischio però che anche l’amante si perda nella visione dell’amato, contemplandone la bellezza nello specchio d’acqua.
Infatti, «Narciso desidera il desiderio – quello di Eco, quello degli altri – non il soggetto del desiderio, ossia quell’Altro desiderante a cui cor-rispondere» e questo fa sì che lo stadio successivo, quello dell’amore, venga annullato per il proprio soddisfacimento autosessuale, che altro non è se non «un’estensione di un aspetto narcisistico» (R. Rossi) . In questi casi, quindi, l’individuo si innamora di se stesso sia in senso romantico che intimo, preferendo prendere le distanze da tutto ciò che lo circonda e annullando qualsiasi tipo di rapporto con gli altri.

 

 

 

 

 

 

Scuola francese, Eco e Narciso guardano nella pozza d’acqua (XIX secolo). Collezione privata

E così nel dipinto di scuola francese, Narciso ed Eco guardano nella pozza d’acqua, i due giovani danno le spalle al Dio dell’Amore e, noncuranti di lui, si volgono entrambi verso la fonte per rimirare – presumibilmente – l’immagine di Narciso. Inginocchiati e piegati in avanti, i due sono incapaci di vedere l’amore, tanto sono presi dai loro ruoli, lui amante di se stesso e lei del narcisismo dell’uomo. Infatti, può accadere che il narciso coinvolga nelle sue scelte la compagna, trascinandola con sé nel suo gioco pericoloso, in cui poi lei resterà invischiata, totalmente dipendente dalla volontà del narcisista. Questa deriva patologica può assumere una connotazione fatale per colei che si trova a vivere accanto al soggetto interessato, in quanto la può portare ad annullare se stessa e la propria identità per l’altrui volere.
La presenza nel dipinto di un Cupido armato, distante dalla coppia, lascerebbe proprio supporre che per lui non via sia posto nella relazione e che forse neppure la donna sia poi in grado di amare veramente, presa com’è dal bisogno di soddisfare le esigenze dell’uomo.

Forse allora per il narciso non resta altra soluzione che danzare da solo, nel buio, a occhi chiusi, totalmente accecato da se stesso e incapace, pertanto, di vedere e comprendere l’amore. Del resto, il mito dimostra anche quelle che sono le «equivocazioni dell’eros, dove, a volte, l’amore per l’altro rischia di essere solo un malinteso, uno strumento dell’amore di sé» . A tale riguardo, può risultare esemplificativo il dipinto di Gyulia Benczúr (1844-1920), pittore ungherese, attivo anche a Monaco, dove insegnò all’Accademia di Belle Arti dal 1875. Il suo Narciso è un adolescente dalle fattezze caravaggesche, che ricorda quello presente nel celebre dipinto Amor vincit omnia del Merisi, cui rimanda sia per le modalità di rappresentazione – i tratti adolescenziali, i capelli scuri e il modellato – sia per i contrasti chiaroscurali che caratterizzano la scena. Dipinto originariamente presente a Roma nella collezione del marchese Vincenzo Giustiniani , il quadro di Berlino dà corpo al passo virgiliano «Amor vincit omnia et nos cedamus amori» (Virgilio, Egloghe X, 69) e rappresenta la vittoria di Amore sui piaceri terreni, simboleggiati dagli strumenti musicali, dall’armatura e dallo spartito, posti a terra, che egli signoreggia e quasi calpesta. Per questo non si può definire Amor vincit omnia un quadro di genere, essendo intriso di riferimenti simbolici, allusivi anche ai numerosi interessi del committente, “citato” nello spartito tramite l’inserimento della lettera maiuscola V .

 

 

 

 

 

 

 

 

G. Benczúr, Narciso (1881). Budapest, Galleria Nemzeti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Caravaggio, Amor vincit omnia (1602). Berlino, Gemäldegalerie

Se però, come recita il titolo, l’Amore vince su tutto nel dipinto di Caravaggio, in Benczúr è la tendenza all’auto-esaltazione a improntare il sentimento amoroso: privato di tutti i suoi attributi, Narciso chiude gli occhi, mentre balla da solo, totalmente preso da se stesso, accecato dal suo ego. Solo un muro demarca la cupa ambientazione, dividendo il protagonista dal resto del mondo, in modo tale da sancire definitivamente il suo isolamento e la sua solitudine grazie anche a una luce teatrale che sottolinea il ruolo di Narciso come protagonista assoluto non solo della scena pittorica, ma anche della sua vita.
Questa la condizione obbligata cui va incontro il personaggio: una solitudine estrema, accompagnata a cecità nelle relazioni interpersonali e nei rapporti con il resto del mondo.

 


 

Riflessi

Inconsistenti
effimeri
vani
attimi del nulla,
si inseguono
come Narciso
con l’acqua
mutevole.

Reali
ma fasulli,
ingannevoli
strumenti
di perdizione.
Nell’acqua
affogano
strozzati singulti.

Oh riflessi,
restituite a Narciso
il suo
vero volto.