UN SUONO
Emma si era alzata presto quella mattina, il suo sonno era stato tormentato da un presagio singolare. Affacciatasi alla finestra respirò l’aria festiva: le strade deserte, le saracinesche dei negozi abbassate e le campane che annunciavano la prima messa mattutina.
Era così abituata a tutto questo che poteva quasi immaginarlo ad occhi chiusi. Da anni riviveva le stesse situazioni, con i soliti ritmi.
Rivolse poi lo sguardo alla terrazza che si affacciava sull’altro lato della casa per soffermarsi, come di consueto, ad ammirare quella natura ricolma di colori che abitava il giardino.
Un leggero venticello aleggiava fra le fronde annunciando il buongiorno e in lontananza solo il canto degli uccellini che sembravano impegnati nella prima di un concerto.
Si sedette ad ascoltare il silenzio che l’attorniava e una dolce sensazione di pace le riempì l’animo, chiuse gli occhi facendosi cullare da quell’atmosfera.
«Emma, Emma …. »
D’improvviso un suono e da lontano il suo nome.
Chi la stava chiamando, si domandò ancora con gli occhi chiusi. Non voleva scacciare quella meravigliosa sensazione e così non si mosse, immersa in una tranquillità insolita.
«Emma, Emma …. »
Era proprio il suo nome che riecheggiava fra le fronde.
Intorno a lei non c’era nessuno.
L’aria, che poco prima leggera accarezzava il suo viso, si era trasformata in un forte vento gelido premonitore di mistero.
In quella stagione, alle porte della primavera, erano consueti i repentini cambi di temperatura, ma in quel momento le sembrò comunque singolare.
Emma si sentiva stranamente tranquilla, ma, malgrado la sonnolenza che ripiombava sui suoi occhi, era curiosa di scoprire cosa stesse accadendo intorno a lei.
Forse era frutto della sua immaginazione, la conseguenza di una notte quasi insonne. Tutto sembrava caduto in un sonno profondo, nessun rumore, nessun movimento, anche gli uccellini improvvisamente tacevano.
Il tempo stesso si era fermato.
«Emma non temere, non ti voglio spaventare».
Capì che quel suono, che ancora riecheggiava, proveniva da dietro la piccola porta in fondo al giardino.
Scese velocemente le scale e attraversò il cortile correndo, con l’orecchio attento alla voce, sottile ma decisa, che pronunciava il suo nome.
«Emma ascolta, non avere paura, voglio solo fermarmi a parlare un po’ con te».
Avvolta in un mantello color dell’oro, l’ombra avanzava leggera, attorniata da una luce avvolgente.
In quell’atmosfera sognante Emma restò attonita a pensare cosa le stesse succedendo. Era proprio lei la protagonista di questa strana esperienza.
Continuò ad avanzare come sospinta da un a forza misteriosa. Quando si avvicinò alla voce ebbe un sussulto.
Il suo volto l’aveva spesso ammirato in tutte quelle foto che la mamma le mostrava. Era tanto bella in quei ritratti, con occhi sorridenti difficili da dimenticare, di una profondità quasi sconvolgente e misteriosa.
Gli occhi della sua trisnonna l’avevano sempre osservata dai vecchi ritratti consumati dal tempo, ma la sua figura rimaneva immutata, protetta da qualsiasi corruzione. Non ci aveva mai veramente pensato, ma ora quel particolare le tornava alla mente.
‘Che strano,’ pensava fra sé ‘è lei e la ricordo così, come nei quadri, nelle foto, mai invecchiata.’
Emma le aveva parlato spesso, indirizzandole lunghe lettere raccolte nei suoi diari, poteva sembrare irrazionale, ma era normale per lei che vagava sempre in mondi fantastici, costruiti dalla sua mente.
Si sentì in quel momento trasportata in un’altra dimensione. Continuava a fissare gli occhi della nonna.
«Siediti qui accanto a me,” riprese la donna “inebriati del profumo di questi fiori».
La voce sottile l’avvolgeva in quella dimensione da favola.
«Voglio parlarti di questi fiori che ci attorniano, sono stati anche i miei fiori, li curavo con tenerezza».
La voce elegante e calda sembrava non avere confini ed essere continuamente seguita da un eco infinito. Eco che risuonava fra le fronde di quegli alberi che ora le apparivano diversi, quasi estranei, perché non li aveva mai osservati, malgrado fossero cresciuti con lei.
Non riconosceva lo stesso giardino, il suo giardino che spesso l’aveva invitata a fermarsi, con la sua tranquillità e bellezza. Invito mai accettato da Emma, infatti lo intravedeva solo nell’attraversarlo, trascinata dalla quotidianità.
«Avvicinati, guarda il colore di questa natura, inebriati del suo profumo, immergiti in questi boccioli». Continuò la trisnonna. «Hanno un grande potere, la capacità di farti assaporare la vita e di trasportarti in un’altra dimensione. Ti insegnano a guardare con occhi nuovi per cogliere l’immenso che ti circonda».
La sua mente continuava a vagare, come ipnotizzata. Rivedeva la sua vita, il suo trascorso e ripensava a tutte le volte che in vent’anni era passata davanti a quei fiori. Persino quando curava il giardino ripulendolo e annaffiandolo, il suo pensiero, lontano dalla bellezza di quella natura, già correva avanti per programmare nei dettagli l’ora successiva, per stare al passo con una vita caotica e soffocante.
Non si era mai avvicinata abbastanza a quelle meraviglie da scoprirne il mistero.
Una nuova sensazione l’avvolgeva, rivelandole emozioni di cui ignorava l’esistenza.
Finalmente davanti ai suoi occhi si era aperta una porta magica.
La sua vita prendeva un’altra forma, era stata trasformata da quella voce come la creta nelle abili mani dell’artista.
Racchiuse nel suo cuore le parole ascoltate e le rese immortali.
Immersa nell’intenso profumo delle rose alzò gli occhi per cercare, nella nebbiosità dorata che l’attorniava, quel volto famigliare, ma subito li richiuse.
Si era dissolto e lo poteva solo ritrovare dentro di lei.
UNA GIORNATA DI LUGLIO
In quella strada deserta si sentiva solo lo scricchiolio dei suoi passi.
Dopo una lunga passeggiata si fermò davanti alla vecchia casa della nonna.
Dalle aiuole appena annaffiate incominciava a salire un acuto odore di terra fresca che rompeva la siccità dell’atmosfera.
Il sole di quella giornata di luglio aveva infuocato tutto intorno ed ora attardava anche ad andarsene, quasi dispiaciuto di cedere il posto alla frescura della sera.
Sofia gettò uno sguardo alle sue spalle, pensò a tutte le estati trascorse lì, al profumo spumeggiante dei tigli che spesso, da bambina, si era soffermata ad assaporare.
Quanto tempo era passato. Dov’era adesso quella bambina? Cosa sarebbe diventata domani?
Fra le fronde del giardino scorse sua nonna muoversi lentamente verso il grande dondolo che amava tanto, erano pesanti i suoi passi e affannoso il respiro.
Si avvicinò alla cancellata per osservarla più da vicino, non aveva mai notato quanto profonde fossero quelle rughe che le solcavano il viso, perché il suo sorriso sempre fresco addolciva lo sguardo stanco e sofferente.
Le pieghe della gonna morbide ricaddero sui cuscini color pesca e svolazzarono lentamente, seguendo il movimento del dondolo.
Sofia entrò e si sedette accanto a lei, pensierosa. I loro sguardi si incontrarono, sorridendosi. La nonna l’accarezzò.
Restarono per alcuni istanti sedute, l’una accanto all’altra, cullandosi in silenzio.
«Cosa hai piccola mia, sei triste stasera?»
Continuò a fissare il volto della nonna, attonita, quasi stupita dalla domanda e subito la sua mente fu rapita da una sua singolare riflessione.
‘Dov’era la bambina che c’era in lei? Dov’era quella donna che come lei aveva visto il fiore della giovinezza? Non poteva essersene andata così rapidamente, dove poteva essersi nascosta?’
«Nonna, quanti anni hai?»
Conosceva già la risposta, ma non il significato della sua domanda. Spesso le capitava di soffermarsi a meditare sugli interrogativi troppe difficili che si poneva.
«Non lo sai cara? Forse è un’altra la risposta che vuoi sentire, una risposta che ti è molto difficile trovare da sola. Sei saggia a porti questi interrogativi alla tua età, hai dentro un forte desiderio di cogliere il significato profondo delle situazioni, della vita. Questo è il miglior modo per imparare a vivere. Si …. imparare. Sai …. sembra facile, ma la maggior parte delle persone sopravvive, ed è davvero diverso, non è come vivere veramente».
Il respiro della nonna diventava pian piano sempre più affannoso. Sofia provò all’improvviso una sensazione di mancanza d’aria, forse la stessa della persona amata con cui stava parlando.
«Ho visto passare molti anni che hanno lasciato segni indelebili su di me, sono trascorsi troppo velocemente e troppo spesso non ho saputo osservarli e coglierne l’attimo. Alcune volte invece ho tentato di afferrarli, per poter vivere degli istanti in eterno. L’impossibile non appartiene a questo mondo, ma possiamo cercarlo».
Sofia pensava a come poter cercare qualcosa di inesistente, dato che la nonna aveva appena sottolineato che non appartenesse alla realtà.
«Nel profondo del mio animo sono ancora giovane, pronta ad affrontare un’altra vita, ancor più preparata di prima, con un bagaglio di esperienza che mi ha insegnato, forse troppo tardi, a sondare il mistero dell’esistenza».
Attonita Sofia ascoltava in silenzio, i suoi occhi si perdevano nello sguardo della nonna, quasi desiderosi di trovare una soluzione impossibile.
«Si invecchia, si imbocca una strada senza ritorno, succederà anche a te, perché è impossibile lottare con il tempo, ma se non si invecchia sbadatamente credo si possa ringiovanire dentro».
Sofia ascoltò queste ultime parole, poi rivolse lo sguardo al di là della cancellata ricoperta di gelsomino, in fondo al giardino sul parco che si estendeva a perdita d’occhio, si sentì più rilassata e ebbe la sensazione che quell’infinito avrebbe potuto far parte di lei se solo l’avesse voluto.
Un infinito dove la giovinezza non sarebbe mai tramontata, un infinito che non conosceva il significato della parola invecchiare, un infinito che conservava giovani dentro, che avrebbe insegnato a vivere e così colmato una vita.
IL FILO
Un legame sottile, ma forte
nato da una scossa
la scossa di due sguardi improvvisi.
Non si erano mai cercati
non conoscevano l’esistenza di quella scossa.
Su un filo sottile, ma forte
tutto veniva scritto in quell’istante
per non essere mai più cancellato.
Emozioni infinite
emozioni d’incanto.
NOTE
Musica che racconta storie,
le sue note sono un classico per me
Hanno accompagnato tanti istanti della mia vita,
hanno lasciato il segno su momenti importanti
e oggi sono ancora lì a cullare i miei silenzi.
Ormai sono diventati frequenti e numerosi i miei silenzi,
in quel mare dove tutto tace cerco qualcosa.
Il profumo del primo tiepido sole di marzo
mi riempie la mente di sapori antichi e nuovi.
D’improvviso continua la ricerca dell’indefinito.