Vilma Fantino
Poesie
Io sarò con te
Io sarò con te nei momenti della gioia
e scompariranno davanti a noi i giorni più belli.
Io non ritiro il mio sole dal tuo cielo
quando la pioggia è passata, si fa più terso.
Lascia cadere la paura, tutte le inquietudini
affidami le tue preoccupazioni, riposati in me.
Tu unico, tu vivo, tu acqua ed aria del mio vivere,
tu mio pugno e pane, tu mio grano e grembo,
tu canto di organo e grido lento, fiore e cibo,
mio parametro, mia tiepida tana,
tu unico, tu vivo…
Parole
Ci sono parole che umiliano, ingannano, provocano
Parole che fanno una vita
Parole che la distruggono.
Parole che fanno crescere, aiutano, consolano
Parole che fanno nascere sogni e comporre poesie.
Ho sempre fatto fatica
a trovare qualcuno che mi parlasse,
e che sapesse ascoltare le mie parole,
lasciandosi coinvolgere dalla mia presenza.
Tante per me le parole di affetto
di lusinga, di convenienza forse
Nessuno capace di ascoltare, senza giudicare.
Parole che riempiono le orecchie
Parole che scivolano su banalità leggere
Parole che sussurrano frasi fatte
Parole che recitano prediche ridondanti
Parole passate e parole future
Ed io che ancora non trovo le parole
per riconoscermi negli altri,
perché è grande la fatica
di individuare e confrontare gli altri con me.
E non sono ancora riuscita
a trovare le parole giuste per dire veramente tutto.
Ma ci sono ancora parole che fanno i miracoli
Nostalgia
Ad Alessia
Le giornate si allungano e si distendono
e trascorrono tutte uguali a se stesse
la successiva simile alla precedente.
Il tempo vive alle soglie di una collina,
da sempre trattenuta tra i ricordi,
un segno del passato
tra sogni e trasgressioni.
Profonda delusione oggi,
davanti all’impraticabile
sentiero boschivo
che per anni ha alimentato
la mia fantasia di bimba…
luoghi un tempo verdeggianti capanne
di fantasiosi giochi infantili,
ora tristemente aridi e incolti,
ma ancora capaci
di evocare malinconiche suggestioni:
percorro con la fantasia
campi di grano dorato.
Solitudine
A Matilde e Gabriele
Un raggio di sole mattutino
filtra attraverso i filari
di pampini rosseggianti,
una luce luminosa
brilla sul filo
di boschive arcane sorgenti cristalline.
Ho attraversato immense praterie
dal mio letto di sofferenza.
E’ rumore tutto intorno
ma avverto la profonda solitudine
di un rumore assordante…
Guardando il cielo dai vetri
pacate e velate trasparenze
si alternano
a nuvole di panna ovattata,
delicate incertezze della sera;
uno sguardo di speranza
si posa sulla vallata
ed infine alberga nel mio cuore.
Pensieri sbiaditi
Le onde si infrangono
una dopo l’altra.
Chiudo gli occhi:
immagini di bimba
in piedi sugli scogli…
Sento vociare confuso
di giochi sulla spiaggia.
Emozioni e ricordi
di altre voci ed altro tempo
riaffiorano nella mente.
La nuvolaglia esprime
l’umore del cielo e del mare.
Non voglio pensare
a come eravamo…
ci attendeva una vita,
che ci sta lentamente insegnando
come sa trascorrere il tempo.
Maggy e il coronavirus
Maggy era una bellissima ragazza, che frequentava l’ultimo anno delle superiori; fino a pochi giorni prima la sua vita scorreva normale, persino un poco frivola e monotona. Poi, da un giorno all’altro per lei, come per molti altri giovani, tutto cambiò. Chiusero le scuole, le palestre, i parchetti, i bar, cancellarono persino le sue lezioni di danza. In questo periodo di convivenza forzata fu costretta a rinchiudersi in casa a stretto contatto h 24 con la famiglia: un’esperienza più unica che rara, che la rese più partecipe alle problematiche della famiglia ed imparò a vivere la condizione di figlia nel suo ritrovato ‘nido famigliare’. Dopo i primi giorni di euforia per le prolungate vacanze, ci fu un ribaltamento totale della situazione: Maggy, come molti altri, avrebbe voluto rientrare a scuola e si rese conto del valore della relazione quotidiana con i suoi insegnanti. Come tutti gli adolescenti aveva bisogno di spazi aperti e della scuola come luogo d’incontri e di interazione sociale. Allora si accorse di quanto la scuola le mancasse e capì che non bisogna mai dare nulla per scontato. Eh la scuola… le mancavano le litigate fra compagne, le prese in giro verso i prof, persino l’ansia per le verifiche e le interrogazioni, che erano parte essenziale della vita da studente, di cui molti ragazzi erano stata privati. Solo adesso capiva quanto la scuola potesse essere una forma di libertà, quella libertà di imparare cose nuove, di interagire con compagni e professori, di vivere momenti rituali, tipici della quinta superiore (la cena dei cento giorni, la gita scolastica, il ballo delle quinte, l’ansia della notte prima degli esami scritti). Iniziò dunque la danza della DAD, la didattica a distanza, e si accorse ben presto che durante le lezioni on line succedeva qualcosa di diverso, come se le materie e gli argomenti prendessero corpo; il sapere del maestro e le sue parole accendevano qualcosa in lei che ascoltava dall’altra parte dello schermo. In un periodo di coronavirus esse esercitavano un’azione di cura e di prevenzione. In un tempo, in cui la scuola era diventata una specie di azienda, c’erano ancora insegnanti capaci di coinvolgere ed affascinare col loro esempio e desiderio di sapere. E Maggy, abituata alle chat, ad Instagram, ai profili social, a comunicare a distanza in modo virtuale, sentiva fortemente la mancanza di questa vicinanza ed avrebbe voluto ridurre gli spazi e stare vicino a loro come prima…
ESSERE FIGLIA
Mesi fa sentii M. Recalcati trattare la tematica di essere FIGLI, io sinceramente non so fino a che punto ho afferrato i suoi concetti, ma proprio da qui vorrei partire per esporre alcune riflessioni. Nessuno è padrone delle proprie origini, tutto viene scelto da altri ancor prima della propria nascita, compreso il nome di Battesimo. Io, come figlia, non sono padrona delle mie origini, come tutti i figli (questa è la condizione umana), a partire da chi sono i miei genitori, in quanto non ho scelto io da chi e dove nascere, portando dentro di me parte di altri, da cui è difficile staccarsi. La prima cosa che lo psicanalista Freud chiedeva ai suoi pazienti era di parlare di se stessi attraverso le libere associazioni e quasi sempre i pazienti ritornavano alla loro infanzia con chiari e marcati riferimenti genitoriali, a volte addirittura sotto forma di traumi pregressi, vere e proprie imposizioni nelle loro scelte o anche solo condizionamenti che hanno impedito di staccarsi dalle loro origini. La condizione umana del figlio è resa attraverso l’immagine del messaggero schiavo tatuato sopra la propria nuca, come i figli portano sulla loro il patrimonio genetico dei genitori, come fossero autorizzati a scegliere per loro. Ho trascorso la mia adolescenza a tentare di non compiacere a mia madre, sono diventata esattamente ciò che lei non avrebbe mai voluto, non rimpiango le mie scelte, ma mi sono sempre sentita non voluta o perlomeno non amata per quello che sono ed ancora oggi che sono alle soglie dell’età vetusta, provo la stessa sensazione. Forse è questa la ragione per cui scrivo poesie che richiamano la mia infanzia, per me periodo idilliaco, in cui non avevo ancora la certezza della non accettazione. Come madre temo di aver iterato questo arcano modello genitoriale, ma come docente penso di aver apportato una ventata di innovazione. Nell’insegnamento il maestro non ha le risposte preconfezionate per tutto, anzi va alla ricerca di risposte, diventa desiderio di sapere, contagiando il suo allievo, cercando di incendiare in lui la passione, ad esempio per la lettura o per un’opera d’arte. Questo risultato non si ottiene imponendo vecchi schemi, ma lasciando l’allievo libero di scegliere, perché solo così potrà impegnarsi, non perché gli viene imposto, ma perché decide lui di farlo. Forse questo la scuola l’ha capito più di quanto l’abbiano capito i genitori. Un insegnante si prende cura dei propri allievi, come una madre, con un atteggiamento protettivo, consolatorio e stimolante lo aiuta nelle sue scelte, come una forma di libertà, quella libertà di imparare cose nuove, di interagire e di vivere con spensieratezza i momenti scolastici rituali. Abbiamo tutti molto da riflettere e da imparare!
Noi e gli altri
Margherita sapeva benissimo che molti erano i meccanismi d’influenza sociale, come giudizi, opinioni ed atteggiamenti che gli altri esercitano sui singoli individui. Esercitava la sua professione di cardiologa in modo encomiabile e competente, ma era continuamente giudicata e criticata per i suoi modi di fare e comprendeva ogni giorno di più che gli altri erano estremamente importanti, al punto da giudicare, pur da incompetenti, la sua professionalità. Nel luglio del 2018 venne pubblicato sul Corriere della sera un articolo che parlava dell’ultimo superstite di una tribù amazzonica sterminata a metà degli anni Novanta a causa dello sfruttamento agricolo. L’indigeno da allora aveva continuato a vivere completamente da solo in un angolo ancora intatto della foresta. A Margherita la lettura di quest’esperienza parve molto distante dalla moderna condizione sociale e l’isolamento del superstite quasi inaccettabile per lei costretta a vivere immersa nel ritmo frenetico della sua quotidiana professione medica. Tuttavia, la fece molto riflettere; a pensarci bene in questo individuo c’era anche un po’ della sua solitudine, di lei professionista sola. Ecco, appunto a pensarci bene, anche l’uomo moderno, con tutte le sue conquiste tecnologiche, sociali, scientifiche, spesso si può sentire SOLO anche in mezzo alla moltitudine della folla.