A

Sento dapprima minute gocce,
quasi distillate scendere da candide pareti,
primi vagiti di nuova vita,
poi via via ne odo altre e altre ancora
in un piccolo concerto di armoniosa beatitudine,
qui in mezzo al nulla, circondato dal tutto.
Ora orchestra di leggeri zampilli,
muovi i primi incerti passi e
crei un pertugio e tra pietre possenti
e silenzi millenari
fai sapere di esistere.
Sorgente nuova, inizi così,
la tua corsa senza soste verso l’ambito mare.
Galoppi, scendi, scorri sinuosa tra le valli
dispensando vita senza risparmiarti;
come giovane donna va,
incontro ai suoi tormenti,
donandosi all’amato.
Accogli generosa altre,
desiderose di arrivare là,
dove placidamente sdraiarti,
e a nulla più pensare.
Ora diventi impetuosa,
salti e fragorosa copri i suoni del bosco.
Poi subito stai, in dolci anse,
fermando tempo e ansie altrui.
Colpevole ti illudi
di aver raggiunto la meta,
…che mai raggiungerai;
come uomo certo di aver trovato la strada,
baldanzoso smarrisce la vera via.
E quando infine giungi esausta,
all’agognato mare, unica brami,
confonderti in mezzo a mille altre acque,
ferme e stanche,
utili solo a farsi insozzare da umane stoltezze.
E ti giri, verso le perdute pendici,
dove gioventù ti fece innamorare,
e lacrime di schiumose onde
rimangono come lumi
di eterna memoria.


Spighe … ammainate

Preda braccata, servo ignaro,
minuta espiazione
a disumano scambio di impostori mercanti,
ricattati, per vanamente ricattare.
Loro, spregevoli trafficanti di anime,
loro, non sanno …
Ritte spighe ambrate ondeggiano sul tuo capo,
elmo e vessillo dorato fanno di te soldato fanciullo,
ma nulla vuoi distruggere e nessuno combattere.
Guerra di sogni tu brami,
per tuffare le tue pupille
nel mare di desideri e sospiri di giovane vita.
Bandiera senz’asta ora sei,
e quel vento crudele che ti ammainò,
trascinando le esili spighe tra polvere e sangue,
non seppe capire la pazzia che lo colse.
Ora non più potrai guardare nel pozzo,
scorgendo laggiù il tuo esercito trionfante
di iridi azzurre e sorrisi d’avorio.
Ora non più vedrai laggiù riflesse,
le tue spighe dorate,
volteggiare nel cielo terso di Beslan.


Fu vita.

Nodose dita, solite trascinare aratri,
unghie come d’antracite a far corollario
di mani callose e gialle.
Spalle ricurve sembrano unirsi,
fotografia di lustri
dove schiena lambiva l’odiata terra,
e ginocchio genuflesso
accarezzava l’amato germoglio.

In silenzio.
Dal chiarore di un’alba ancora da venire,
fino all’ultimo raggio a salutare l’orizzonte.

In silenzio.
Solo allora tornavi.
Solo allora posavi le tue ossa su duro legno,
a racimolare scarne briciole,
prima di cadere supino
fino al nuovo chiarore,
che bussando al tuo giaciglio,
spegneva soave sogno,
unico frammento di autentica felicità.