DaRaccolta: “Con gli orecchini messi male”
di Paola Commissati Bellotti

 

Per la fretta di arrivare
dove tu mi attendevi
vita
sono uscita
con gli orecchini messi male.


Soffia, amore,
soffia
ché le tue candeline
sono tante,
ma con quelle gote buffe
diventi più dolce che la torta,
e riprendi nel gesto
le antiche sembianze.


Sono fiume orgoglioso

Sono fiume
orgoglioso
passo tocco paesi
li lascio
sono fiume
ampio traversato
da ponti
che baciano le sponde
le mie acque
più verdi
del cielo
lo sfiorano da quaggiù
sono fiume orgoglioso
e d’improvviso
non esisto più,
il mare.
Non è facile vivere
per nessuno che voglia essere.


Non vorrei mai che tu avvenissi,
ma sei dentro il tempo che
brucia la Terra
e gli addii al sole sono
sempre più struggenti

Non vorrei mai che tu avvenissi, vita,
ma il tempo i fiori la sfera
hanno un unico cielo.


Parlare, con la morte sulla spalla, o seduta sul comodino. Parlare con i capelli scarruffati dalla malattia, e come piacciono a madonna Morte. Si strofinano le parole contro le labbra, ormai le labbra sono della morte. Si è di qua. Ma già con il sentore di staccarsi da questo stato di cose, e andare… E non si sa dove. Si va, si va,… si va in braccio alla morte. E’ tutto lei che pensa. Noi ci si dona fiduciosamente. I passaporti, i bolli, fa tutto lei. E poi c’è la questione dei balocchi e delle caramelle. Della lotteria. Con un po’ di fortuna, si va in paradiso. Quasi si pregusta uno stato laico paradisiaco. Dove ci si riconosce. Dove qualcuno dirà: ma tu hai molto sofferto. Una parola buona, insomma, che faccia quasi quasi insorgere il sorriso. E il gran sospetto lì sul letto di aver un po’ esagerato in questo mondo quando si era giovani, e conseguentemente di non volere mai che si aprisse per te lo inferno… Già, l’inferno, speriamo non esista. No, l’inferno non esiste. Ma il paradiso, sì… Si è troppo sofferto, per non aver giaciglio sotto un platano.


Il poeta è uno in camicia
che scrive di uscire
Che scrive col sole
e parla della luna
Che scrive con la luna
e parla del sole
Fa sole e parla della pioggia
ma non sempre dell’uragano
Crede di dire di un panno di luce.


Camminare lungo il mare della vita
la veste svolazzante al vento
chiedendo ad ogni mistero
come quando sarò fulgida
come l’onda
che s’arriccia senza sapere
di dover crollare.


 

Rinascere ogni mattina
ad ogni respiro
aspettare che gli alberi gialli diventino nudi
e pieni di gemme
avere ovunque amore.


 

Stanotte la luna è così piena
che stenta a levarsi dai tetti
Sto al freddo ad aspettarla apparire
nell’immenso suo disco d’oro e melagrana,
ne vedo appena la schiena poema,
ed ecco scivola nel porfido cielo
con un salto
è un osanna per me la luna che nasce
pare che io non abbia altro da fare
che stare a guardare quello che non posso toccare
e che per giunta accade senza il mio contributo
ammaliata che sia
il manifestarsi dell’orologio della torre…, dei suoi ingranaggi
quando suona l’ora, e la fase, atteso
che non sia nuvolo…


 

***

Gli unici pini, in fondo al viale,
sotto la pioggia stanno
con le loro foglie ad ago, fermi, fermi,
quasi ad occhi socchiusi.
Gli altri alberi godono nudi in segreto
di questo stillicidio d’argento.
Il giardino non ha rose ancora,
ma il calicanto umilissimamente
profuma l’aria dispersa dal vento

e già cade di suoi fiori.
Qui, al muricciolo, la mimosa si sta sbracciando
per svegliarsi più in fretta
ed in fretta così alla pioggia si lava il volto.

Cammino ancora per trovare la palma da dattero lucente
ed una musa che so io, nell’angolo più remoto
del giardino, giardino che io vivo
ma non è mio, è di una Casa di Riposo
dove aspetta un giorno la primavera mia madre

che non fa ritorno.

 


***

Dolcissimamente
volgo a te lo sguardo
che il cielo sussurrante pinge
ti guardo, e ti guardo, ma di più ti vedo
con gli occhi del cuore
ci stai dentro tutto, amore,
esce solo uno scampolo
di cravatta azzurra.

 


 ***

Sono talmente magmatica
calda dentro nel cuore
che tutto ciò che sento
si sfà e atomizza
e io lo perdo ché al mio grave sfugge
resto lago che ria aurore di borea
sinuose balenare nella notte
Avido riprenderle
queste mie essenze viola violetto violacciocca
questa mia effimera erba verde
questo mio di spirito affanno turchinaceo
ma se ne va il lampo
avvolgendo veli io resto
esplanando morendo l’istante
conoscenza m’enfla meningi e viscere
ed altro erutta mai stanco il mio cuore di vivere
ed altro il respiroso pensiero produce
in mio interiore crogiolo di vita.

Sappiate che questo
è un grido d’amore
per quello che siamo.


***

Ti attendo alla stazione
Per questa stazione non passano
treni
da anni e anni
Perché ti attendo alla stazione?
Già all’alba maturo il mio sogno:
un vagone che arrivi
tra la nebbia che sfuma
e mi porti il tuo volto
La sera torno
con le rotaie nel cuore.


 ***

Gelosia d’amore,

stringi da farmi nastri

gialli limone

attorno al respiro:

le costole mi dolgono, fasciate,

mi duole il petto nel plesso, mi mostri

strie acide che disfano l’aria.

Mi spremi da farmi male.

Gelosia d’amore,

conturbante pensiero fisso,

vattene, sciogliti,

dimmi che era mia follia.

Cada il vento, la foglia,

l’autunno mi splenda, i rii

ai margini del bosco:

sorga tranquillità.