Campanella

Nel disordine
Cadeva stanco
Tra quelle strade,
Un tempo,
Cadeva sangue
Verde d’ulivo
E uno sterile
Becchino trasparente.
Un fiore cinese,
Un fanciullo,
Una pallida luna
Schiuse gli occhi.
Si afferrò
Allo sguardo paziente,
Il fiore crebbe
Nella sabbia fiammeggiante
Del tiepido ruscello,
Annegarono piangendo
I tuoi capelli,
L’oppio cadde
Dagli alberi
Di carrubi.
Non dico follie.
Piove come l’abisso,
Lo spazio celeste
Penetra nelle pareti
Di pino
Di Svezia,
Nuota sulle ossa,
Sui calli
Dei ricordi infantili
Del tuo Io.
Oggi tu vivi,
Abbandonata,
Per la vita,
Sognando,
Forse,
I miei coralli.
No, non sono morto.
Solo un bacio
Mi ucciderebbe,
Mentre l’università
Della vita
Mi ha finora laureato
A frammento giornaliero.


HO CONQUISTATO L’ETERNITA’

Ho perforato l’eternità.
Io più non canto.
Io più non vivo.
Io più non esisto.
Cucito a una voce
Invisibile,
A un oceano ardente,
Il tempo
E’ esploso
Nell’anima divoratrice
Della mia solitudine
Molecolare.
Io canto!
Io vivo!
Io esisto!
Lei esiste!
Dallo spazio riempito
Di fiori gialli
Sono scese
Selva e ciglia,
Pupille
e strade,
Sono scese
Dietro la mia schiena
Solleticandomi
Le costole desolate.
Io l’amo!
Posso dirlo
Alla mia penna.
Ci comprendiamo.
Ho conquistato l’eternità.
Da tempo
Non confesso favole
Di paura,
Desertiche notti
Di fumo
E di vergogna.
Solo quando
Riunisco i dolori
E la tua immagine
Dietro la porta
Della solitudine
E del tempo,
Chiacchierando
Di miserie divampanti,
Di nevi e di terra,
Non conosco
Che silenzio e vino.
Eppure,
Non un sogno.
Anche se amo
Il tuo volto
Non sorrido per esso.
Anche se amo
Le tue mani
Non ho nessuna
Carezza negli occhi.
Ogni tanto gli chiudo
Sui tuoi passi,
Portandoli verso il destino;
Come corrono le voci
che non sono parole,
I sorrisi
Che non sono fiori,
Idiomi senza idiomi.
Se potessi
Toccare
Il seme
Della tua donna,
Avvicinare
Le tue radici
E la tua anima!
Non mi amerai.
Forse
Mi odierai.
Oppure guiderai
La mia mano
Sul tuo cuore.
Eppure,
Non un sogno.
Piangerò,
E la notte…
Quando
La donna e l’uomo
Si amano
Tra labbra e labbra
V’è strada
Di farina e sangue,
E il vento,
Urlante e tempestoso
Di gioia,
Porta il trifoglio
E l’edera
A baciare
L’olivo e il pane,
Corre disordinato
Nelle vesti
E nei balconi marini,
Nei fiori,
Nelle pietre,
Nell’acqua.
Forse troverò
Radici e uva
E forse,
Forse…niente.
Forse terra
E alberi
E tempo,
Oppure il fuoco
Di un mattino
Arricchito
Di sale e di legno.
E allora riderai,
Finché nei tuoi occhi
Il sonno e il tempo
Non passerà.


Linas

Nacque antico.
Come una cellula
Protozoica
Schizzò dal fondo
Di un dirupo oceanico,
Aprì ametiste e quarzo
Nell’occhio del creato.
Dopo il primo vagito
Niente ha più turbato
L’oscura sapienza.
Non gli scudi
Astrali,
Né le meteore
Di grano, o i passi
Scalzi dei pastori.
Non lo trovarono mai.
All’eclissi del sabato
Un bacio d’oro
Esplose
Nell’oceano verde.
Foreste di pietra
Accarezzarono
Con ali di farfalla
Lecci e gelsomini
Oleandri e mirti,
Cipressi,
Fiori d’arancio,
Maiali selvatici,
Capre,
Minatori,
Teste di medusa,
Portando nelle viscere
Dell’ulivo
Il sapore
Del bacio ardente,
Argento,
Rame,
Un petalo di gelsomino.
Innalzarono
Un velo d’ambra
E tutto si confuse,
Svanì
Nelle caverne abissali
Di Bidda Scema.
Gli aromi
Tagliarono le vene
Azzurre dei rapaci.
Senza scarpe
Alzai lo sguardo innocente.
Quanto coraggio
Paziente
Nei fianchi sfavillanti,
Nelle nubi di creta.
Piansi,
Piansi come
Piangono i ciliegi,
Rosa asciutto,
Come palpitano i sugheri
E chi mi ascoltò
Quel giorno tacque.
Naufragai
Nelle onde di leccio
E mi arenai
In un’isola di cisto.
L’orgoglio elementare
Fu divorato
Dalle parole d’acqua
Che rotolavano
Dal Rio Leni e inghiottiti
A Muru Mannu.
Squame di minerale
Avvolsero i sospiri
E da allora
Ogni esistenza
Scorre
Nell’invisibile vena
Dell’atomo del sangue.
Nulla fu come prima.
Il sole esplose
I suoi nuclei
D’idrogeno puro
Nelle ferite
Salate,
Il vento
Mediterraneo
Piegò il pero spinoso,
Il seno delle fate
Fu smarrito
Dall’agnello
E scese belando
Fino alla mia stuoia.
Niente suonò.
Non il petto
Di mia madre,
Né l’alito perenne
Del fico,
Né la segreta
Sorgente d’acqua.
Partirono, si,
Partirono
Carri,
Buoi,
Asini,
Zappatori,
Maestre,
Cartoline,
Mandriani,
Anatre,
Pavoni,
Barche
Di anime
Riesumate.
La luna apparve lenta,
Giocando nel solco
Della costellazione pura,
Senza stelle
Né pianeti.
Restò lì,
Senza alito,
Parole,
Sangue,
Brividi.
Forse tentò la fuga,
Non so.
Forse fu il lento
Crescere dell’albero,
O il luccichio
Notturno delle falene.
Forse, il bacio
Appassionato
Di una stella.
Forse fuggì
Tra il giorno e la notte,
Quando le rondini
Tornano al nido
E il piombo
Cede
Ai colpi
Del minatore.
Crepuscolo
Dopo
Crepuscolo
Tutti i frutti
Di tutte le stagioni
Maturarono insanguinando
Le ossa
Di giada,
Macchiando
L’anima di seta.
Non mi trovai più.
Morirono le nubi,
Le radici del vento,
Dimenticai ciò che cercavo.
Guardai esseri
Dagli occhi vitrei,
Parlai con chi
Non m’ascoltava,
Sedetti esausto
Appena partito.
Fu la stagione del fango:
Quando millenni d’acqua
Sciolgono
La cruda
Roccia d’argilla
E il piede
Scivola
Violentemente
Nel formicaio.
Sognai.
Parlai.
Mi svegliai lassù,
Nell’ovile,
Dove esistono
Solo i suoni
Dei sassi
Rotolati dalle madri.
Così seppi
Che anch’io
Dovevo andare,
Sciogliere
Il suono
Del canto,
Portare
La mano
A carezzare
Ossute orme
Di operai.
Nel piede
D’una scrivania
Ho estratto l’essenza
Del legno,
Con l’anima millenaria
Ho scritto
A tutta la vita
Di tutti gli esseri
Di tutti i tempi
Di tutto il creato.
Poiché adesso so
Che la vita
E’ rinchiusa
In una vena
Minerale,
Sono tornato nell’ovile,
Dove osano
Ancora le aquile,
Ai piedi
Della mia nube infantile.
Posso essere ancora
Nel tuo letto
Ruvido,
Dove un abbraccio
Cattura il mare
Di Masua,
Far l’amore
Con la stella
Che ha accompagnato
I miei palpiti.