Poesie e Racconti
TANGO
Una giornata calda e basta; un libro sottomano ed il gusto di leggerlo nel cuore.
Sentirsi leggeri era il mio pensiero quel giorno così decisi di andare un po’ al parco a gustare quelle pagine.
Niente fu più lo stesso da quando decisi di porre fine al sogno e di imboccare finalmente la strada della sua realizzazione.
Decisi infatti di iscrivermi ad un corso di tango argentino, adoravo sentirmi leggera così da un momento all’altro tra le braccia della passione.
Fu facile abituarmici, impossibile tornare indietro. Camminai a lungo prima di trovare l’ingresso della scuola, <<Gli alberi intorno, te ne faranno presagire la vicinanza>>, cosi mi disse un vecchio signore a cui chiesi informazioni.
Tutto profumava di primavera, suoni, colori, fiori, la perfezione per un poeta in cerca di ispirazione.
Aspettai che arrivasse l’ ora poi mi avviai al tanto anelato corso di tango.
Musica signori, un, due, tre e passione tanta.
Varcai la soglia di un ampia stanza e mi trovai di fronte ad una segretaria che con entusiasmo mi illustrò ciò che il corso prevedeva oltre ad alcuni cavilli burocratici.
Il mio corpo per troppo tempo era rimasto inchiodato e pesante, era ora di volare e sentivo che l’unico mezzo l’avevo ora tra le mani. Firmai un paio di carte, compilai qualche scartoffia e musica maestro.
Sbirciai un attimo nella stanza delle lezioni, mi apparse da subito bellissima, parquet e tante finestre, tanta luce. Mi guardai intorno scrutai i miei compagni d’ avventura, volti tanti, diversi ma con un unico desiderio, il mio, volare leggeri tra le braccia dell’irrazionale. Fu difficile tornare indietro.
<<Paga in contanti o con bancomat?>>, la segretaria con la sua voce stridula mi distolse da mille pensieri,<<figuriamoci, un conto in banca? Magari! No, in contanti>>, risposi.
La segretaria dopo le formalità mi disse che da subito avrei potuto assistere alla lezione.
Ignara dell’ uragano dietro l’angolo mi avviai verso la stanza delle lezioni.
D’un tratto sentì chiamare il mio nome, <<Viola>>, con una mollezza tale da assaporarne il suono, <<V i o l a prego s’accomodi, lei è nuova? Benvenuta>>, ebbi il tempo d’assaporare ancora il suono del mio nome quando nel sollevare lo sguardo imboccai irrimediabilmente la strada dell’estasi senza ritorno o almeno non un ritorno senza ammaccature.
<<Salve, scusate il disturbo>>,farfugliai, <<ma no scherzi, accomodati, stavamo facendo le presentazioni>>, rispose colui che individuai come l’insegnante, ebbi il tempo di riabbassare lo sguardo e pensare che non ne sarei uscita viva a meno che il mio interlocutore si fosse rivelato in seguito stupido o noioso.
<<Età indefinita, grandi occhi neri e fascino tanto>>, pensai.
La prima lezione durò poco, giusto il tempo di guardare in faccia anche i miei compagni d’avventura, ma per il resto si rimandò al giorno dopo.
Rientrando a casa l’aria si fece più fresca, quell’estate il sole aveva picchiato forte e sulla mia testa ancora frastornata quel po’ di brezza mise ordine a ciò che le pupille avevano trasmesso al mio cervello.
Mi fu così facile cadere che, ancora oggi, mi chiedo il come ed il perché di quel tonfo a faccia in giù senza neppure il tempo di mettere le mani a riparo del mio cuore fragile.
Musica maestro, un ,due, tre, Tango.
Poiché non mi fu assegnato un compagno “tanguero” reclutai un giovane ragazzo dall’aspetto pulito e carino per poi ondeggiare con lui sulle note brevi, secche ed incalzanti del mio amato tango. Fu facile abituarmi a quelle melodie fino a che il mio desiderio divenne realtà, quando quel giorno il mio maestro mi disse: <<Scusa tu?>>, <<dimmi?>>, risposi, <<senti, vorrei che nei prossimi giorni ballassi con me, ho notato che hai appreso velocemente i primi passi>>, credo che in quell’attimo il cuore si fosse come bloccato, <<và bene>>, risposi ancora, poi ripetei << si và bene>>, dopodiché il caos.
Un esteta con la passione negli occhi ma schivo nel cuore così si rivelò il mio nuovo “tanguero”. Mi prendeva tra le braccia con la forza di un fiume in piena facendomi volteggiare un ora con l’irrazionale senza cognizione o causa per poi risvegliarmi alla fine della lezione con l’amarezza della separazione.
Il tango richiedeva sguardi intensi ma fugaci e fu facile abbandonarmi ai suoi occhi neri.
Da qualche parte lessi:“Il tango, un pensiero triste che si può ballare”.
Avrei voluto disegnare quello sguardo , quell’istante occhi negli occhi; <<Avete mai provato a sentire il rumore che certi sguardi fanno dentro al cuore? e’ un rumore sordo che la notte senti risuonare dentro, piano piano poi più forte poi il caos che ti fa sobbalzare poi sparisce e lascia solo profumo di malinconica nostalgia>>.
Alla fine di ogni “milonga” soffrivo di solitudine, solitudine dovuta all’abbandono del mio maestro.
Quanta confusione per quei giorni passati che oggi suonano forti nella mia testa, giorni, ore, istanti tra le braccia del nulla a sognare la passione, passione di un’ora a sognare il nulla che mi teneva stretta. Oggi ancora oso con i ricordi, ma poi temo e lascio andare. Lascio correre, lascio che la malinconia di quell’ora svanisca presto dalla mia testa e dalle mie notti insonni dove non faccio che ricorrere immagini oniriche che infiammano la mia pelle ed il mio cuore, ed intanto scrivo, scrivo forte per esorcizzare i ricordi.
Non fu facile ma tentai più volte di sfuggire al mio cuore che ad armi impari lottava con la ragione ed oggi temo più di ieri per la mia vita futura senza quell’ora di lui; un’ora tra le braccia del nulla, cercando di dimenticare abbracci e sorrisi strappati e resi, quante emozioni, troppe, troppo anche per il mio cuore di frivola cantastorie.
In un pomeriggio qualunque rincontrai quel vecchio signore che tempo addietro mi indicò la strada che mi guardò e con un sorriso disse: <<L’ha trovata poi?, dico la strada?>> ricambiai il sorriso e risposi: <<Forse…..>> .
Una giornata calda e basta, un libro sottomano, ma questa volta il mio con dentro una nuova storia da raccontare, una storia d’amore, perché lessi da qualche parte che:“Il tango è sempre una storia d’amore”.
Ziu Antoni Cadeddu di Villagrande
(ma che di Villagrande non era)
Il vecchio decise, doveva trovare una patria che supportasse la sua fierezza e sardità.
Quella sua fiera “sardità” non poteva che derivargli da qualche paese barbaricino o ogliastrino, poi la cosa gli sfuggì di mano e la sua storia cominciò a scriversi da sola.
<<Il mio nome è Antoni, Antoni Cadeddu di Villagrande, eh, mica poco! >>, pensò.
Non era mai parente di nessuno né abitava mai in nessuna via di quelle nominate dalle persone che incontrava, ma a chi importava? lui era ziu Antoni, Antoni Cadeddu di Villagrande .
<<Se reato sia stato commesso, Illustrissimo Giudice, trattasi di truffa, ma chi truffò ziu Antoni se non la sua vera terra natia? non giudicate senza prima aver guardato nel suo cuore perché in fondo fu solo bugia, bugia senza dolo; l’unica colpa, se mai colpa vi troviate, fu di rinnegare il suo Campidano ed i suoi papaveri perché in fondo lui somigliava più a quei papaveri, così solari e fieri che si piegano al vento senza mai caderne vinti, che alle vette immobili e severe del Gennargentu>>.
Ziu Antoni Cadeddu ieri se n’é andato, se n’è andato senza un soldo in tasca ma con cinque tesori che hanno i nomi dei suoi figli, ognuno con un destino diverso nato e scritto dal suo amore con Mariù…Mariù dell’anima sua.
Ziu Antoni, che poi ziu Antoni non era, da lassù oggi li guarda e sorride, sorride del suo inestimabile capolavoro circondato dagli alberi di casa sua ed incorniciato dai papaveri, papaveri del suo Campidano, oggi, rossi d’orgoglio.
Sipario
Ironica sorte per un malcapitato attore,
sbagliare costume di scena e nonostante tutto
andare avanti fino al calo del sipario,
mentre il pubblico ignaro applaude.