Vivo altrove, per esempio
in quadrilateri verdi, lontano
dalla misurazione meteorologica.
Vivo altrove, negli scavamenti
infantili, quando la tela della vita,
come già offerta già fatta
o mi rinchiudeva o si spezzava. Altrove
vivo, di vita quotidiana duplicata,
doppia, spezzata, che ancora
si ripete doppia nella sua metà
l’altra, quella più bassa e più alta.
E’ qui l’altrove in cui vivo, il quadrilatero
del non detto, dove stanno i gatti duplicati.


 

L’andare a cercare i pesci, dentro i torrenti
è una categoria inutile. Essi
scorrono con l’acqua, le foglie dei salici,
e gli sputi dei ragazzi.
L’acqua è divisa, provvisoriamente, dai sassi sporgenti,
poi torna ad essere divisibile.
E’ il divisibile che la costituisce unità.
Così, provvisoriamente, il pensiero del pensatore.
Il tempo, categoria violenta, può essere collaterale,
non sostanziale, almeno fino alla morte
che è la fine di un tempo.
Chi vive perlopiù solitario, la solitudine se la porta ovunque,
anche agli appuntamenti.


 

Ho provato con i pesci. Essi
non sanno nel loro esserci
la loro forma
della loro curva lunga
che ha un termine
non sanno il prolungamento.
Non sanno la vena azzurra.
Della loro curva lungo il momento
dell’essere visti, il pescatore,
il predatore, il carnefice.
Il vuoto che lasciano che l’acqua riempie
subito
come l’aria riempie i vuoti.
Il vuoto diventato ricordo
subito
nella costanza dell’esserci.
La trasformo in pesci, di media lunghezza
di lieve curvatura, con un termine accidentale
sovrabbondante. Da non considerare.