Pronto a nascere

Massimo amava non fare mistero dei tratti più puerili del suo carattere, perciò non destò meraviglia alcuna quando dichiarò ai suoi colleghi che non vedeva l’ora di rientrare a casa per gustare il grosso sigaro Avana che gli avevano regalato. Sebbene fosse un uomo molto maturo e di grande esperienza, riusciva ancora a entusiasmarsi per le piccole cose, aveva la capacità di andare ben oltre il loro valore materiale per trovarvi i sentimenti che rappresentavano. Era un adoratore del silenzio, l’unica cosa che riuscisse veramente a stimolare in lui il piacere di pensare; per cominciare a fantasticare e riflettere, tutti i pretesti erano buoni: una musichetta ripetuta nella mente, l’inconsueto cognome di qualcuno appena conosciuto, un oggetto dalla forma bizzarra. Era convinto di una sorta di circolarità del pensiero: riteneva che, da ovunque si partisse, si sarebbe potuto arrivare ai pensieri più profondi, interessanti per trascorrere qualche ora con se stesso, cioè col suo compagno preferito. La sua metodicità e il suo perfezionismo nel crearsi l’atmosfera giusta per rilassarsi arrivavano al punto da essere considerati dalla moglie segni di qualcosa di simile a un’ossessione. Lui non si curava molto di quei giudizi: quando gli capitava di restare solo in casa per qualche ora si sentiva libero di farsi schiavizzare dalle proprie manie.

Il pomeriggio era molto caldo, tuttavia Massimo preferì non accendere il ventilatore per non permettere al  suo rumore di interferire con l’oasi di tranquillità che stava per crearsi. Sapeva che soltanto nel silenzio totale poteva udire distintamente quella che amava chiamare “la voce dei miei pensieri”. La poltrona sulla quale preferiva sedersi era uno degli oggetti che amava di più: la sentiva come  una sorta di enorme mano capace di avvolgerlo così bene da non fargli sentire quelle piccole  pressioni sul corpo che, in qualunque altra sedia, sarebbero stati inevitabili e che avrebbero disturbato il suo rilassamento. La spalliera poi era un capolavoro: la sua altezza era tale da permettergli di reclinare all’indietro la testa sino al punto da poterla abbandonare senza affaticare il collo.

Sin dalla prima tirata, si rese conto che quel sigaro aveva ben meritato una così accurata preparazione e, del tutto ignaro di ciò che gli sarebbe accaduto di lì a qualche minuto, stava cominciando ad allentare le briglie con le quali aveva guidato durante la giornata i suoi pensieri. Ora non lavorava, non parlava con nessuno, non doveva fare progetti, non doveva scegliere la parola giusta, non doveva dare fondo alle cianfrusaglie delle buone maniere; era insomma il momento buono per lasciare che la sua mente vagasse dove le pareva più interessante e, soprattutto, più piacevole. In poco tempo era riandato  alla sua infanzia e stava rivedendosi a cavallo di una malridotta motocicletta in una delle tante gite domenicali, della durata di poche ore, durante le quali il padre discuteva con lui di tutto.

All’improvviso, il chiarore accecante della luce esterna diminuì, come durante un’eclisse solare, e nel contempo apparve sulla bianca parete di fronte a lui una luce azzurra con la parte centrale molto vivida, dalla quale avevano origine dei raggi luminosi fluttuanti. Massimo non ebbe paura: era sempre stato convinto che la realtà di tutti i giorni fosse soltanto una minuscola parte di quanto poteva accadere in natura; ebbe invece la netta sensazione che non si trattava di un fenomeno ottico, bensì di qualcosa al quale parlare.

«Che cosa accade?! Chi sei?» chiese indirizzando il suo sguardo verso l’inconsueta luce.

«Non avere paura, sono soltanto un’anima in attesa di incarnarsi.» rispose una melodiosa vocina proveniente dalla macchia luminosa.

«Soltanto un’anima! Io non ho mai parlato con anime, di nessun tipo!», replicò Massimo, alquanto infastidito dal tono leggermente impertinente della voce misteriosa.

«No? E quando parli con la gente con chi credi di parlare, se non con le loro anime?» continuò la vocina imperterrita, come se fosse stata la cosa più normale di questo mondo un dialogo tra un pover’uomo in pantofole che stava per godersi un Avana e uno spirito.

«Quello che dici tu sarà vero, ma ti faccio notare che la voce della gente con la quale ho parlato in tutta la mia vita è sempre uscita da una corpo e non da una, come potrei dire?, da una lampada azzurra!»

«A te interessa ciò che ti viene detto o con quale strumento ti viene detto?» replicò la voce.

«Ascoltami! Io non ho mai creduto all’aldilà o a cose simili, quindi devi essere più comprensiva verso le mie perplessità.»

«Sii pur certo che le capisco benissimo e ti assicuro che anch’io ho qualche timore nell’avere contatti col mio aldilà che poi per te sarebbe un aldiquà

«Quanto dici mi tranquillizza. Ma dimmi: che cosa posso fare per te?»

Una simile domanda poteva denotare una gran faccia tosta; in realtà Massimo presagiva che l’essere con il quale stava discutendo non aveva nulla di malefico e che, semmai, gli dava l’impressione che avesse bisogno di lui. Era sempre stato un uomo molto disponibile e considerava del tutto normale dare ciò che poteva a chiunque gliene facesse richiesta e l’eccezionalità della situazione non bastava a modificare il suo atteggiamento abituale di persona generosa.

«Vorrei che tu mi convincessi a fare una cosa molto importante.» rispose la voce mentre aumentò visibilmente la sua intensità luminosa.

Ora Massimo aveva voglia di ridere, avendo osservato come anche una luce fosse capace di esprimere, modificando la sua intensità, qualcosa di simile a una emozione.

«Convincerti a fare cosa?» chiese incuriosito.

«A prendere un corpo, a nascere.» rispose la voce col tono di chi dica una cosa del tutto banale.

«Scusami, ma non capisco.» rispose lui con tutta sincerità.

«Hai ragione. Dovrei spiegarti come stanno le cose.»

«Lo credo bene!» esclamò Massimo.

«Quando un uomo e una donna si accoppiano, possono generare un figlio.»

«Questo lo so!» interruppe l’uomo.

«Non interrompermi, ti prego.» disse la voce con tono quasi supplichevole.

«Scusami! Continua.»

La voce riprese a parlare: «La donna ha il compito di creare il corpo del bambino e l’uomo, il padre, ha il compito di convincere l’anima del futuro figlio a entrare in quel corpo, altrimenti il concepimento non può avvenire. Poiché dall’ultima volta che hai fatto l’amore con tua moglie è trascorsa più di una giornata, abbiamo poche ore di tempo per deciderci.»

Sino a quel momento, Massimo era riuscito abbastanza brillantemente a superare la singolarità della situazione, ma le ultime affermazioni della voce l’avevano lasciato di stucco. Gli venne in aiuto il sigaro che nel frattempo si era spento: con la scusa di doverlo riaccendere, cercò di guadagnare qualche istante per cercare di mettere insieme i pezzi di una frase sensata, che potesse riportare il colloquio a un livello minimo di ragionevolezza. Malgrado i suoi sforzi, Massimo riuscì soltanto a dire: «Non ho mai sentito prima d’ora nulla di simile!»

«Eppure ti assicuro che avviene sempre in questo modo. Io, infatti, potrei essere il tuo primo figlio se tu lo volessi, se cioè mi convincessi a nascere. Se non vuoi che io nasca, basta solo che tu me lo dica e io sparisco sino alla prossima occasione. Sappi però che né tu né io conserveremo memoria di questo colloquio, qualunque sia la decisione che prenderemo.»

A Massimo apparve chiaro che, se non voleva ammattire, doveva continuare a dialogare sforzandosi di considerare del tutto normale la situazione, come quando gli capitava di parlare con un suo vicino di casa completamente fuori di testa.

«Vuoi dire che la nascita di un bambino è sempre preceduta da un colloquio di questo tipo?»

«Esatto!» esclamò la voce.

«Non capisco, ad esempio, come possa un pazzo sostenere un colloquio del genere. Eppure anche i malati di mente hanno figli!» osservò, non senza qualche ragione, Massimo.

«Pazzo! Pazzo! Nessuno è mai né sempre né totalmente pazzo. In un caso come quello, si sceglie il momento più opportuno, un momento di lucidità. Comunque adesso pensiamo a noi. Ti ricordo che, se vuoi, devi convincermi a nascere e non abbiamo molto tempo.»

Per quanto Massimo potesse essere volenteroso e disponibile, non poteva abituarsi facilmente alla stranezza della richiesta. Era abbastanza avanti negli anni per avere assistito o partecipato attivamente a tante discussioni durante le quali qualcuno cercava di convincere qualcun altro a fare una certa cosa, a prendere una data decisione o ad astenersi dall’intraprendere un’azione. Mai aveva sentito qualcuno convincere un altro a nascere. D’altro canto la stranezza della situazione non ne riduceva la serietà e, per quanto cominciasse ad avvertire nella sua mente qualcosa di simile alle vertigini, non intendeva fare nulla che potesse mettere fine al dialogo.

«Chiedendomi di convincerti a farti nascere mi dai una grande responsabilità.» azzardò Massimo.

«Io non ti dò un bel nulla. È la legge.» precisò la voce.

«La legge?» ripeté l’uomo.

«Hai mai sentito parlare di libero arbitrio? Credi che Lui avrebbe lasciato decidere al caso la cosa più importante del creato, la nascita di una nuova vita umana?»

«Toglimi una curiosità: la prima volta chi ha deciso?» chiese Massimo.

«Lui, ovviamente. Tutte le prime volte di ogni nuova creatura le ha decise Lui. Mentre però per gli altri esseri lascia che siano le leggi naturali a stabilire il seguito dello sviluppo delle specie, per gli uomini ha stabilito che siano essi stessi a decidere caso per caso. Questo è compito dei padri, come ti ho già detto.»

«Devi ammettere che per me è difficile e imbarazzante fare quanto mi chiedi.» dichiarò Massimo, sempre più perplesso.

«Capisco. Però non posso farci nulla: devi soltanto convincermi a nascere. In fondo per un uomo adulto non dovrebbe essere difficile. Io non so nulla della vita terrena, ma tu dovresti avere dei buoni argomenti se, beninteso, ti piace la vita.»

Erano innumerevoli le volte in cui Massimo aveva sentito le persone, lui compreso, chiedersi se la vita fosse piacevole, ma stavolta era diverso. Non si trattava di uomini e donne che, tra una posata e l’altra o tra un’occhiata a una vetrina e l’altra o tra una passata di mano fra i capelli e l’altra, discettavano sul senso della vita e sul suo grado di gradevolezza per poi concludere con un “Ma sì! La vita va vissuta!”. Adesso si trattava di qualcuno il cui destino dipendeva interamente da lui, da Massimo; si trattava di una specie di eutanasia all’incontrario.

«Posso dirti che spesso la vita è bella.» disse banalmente il possibile padre.

«Perché hai detto “spesso”. A volte non lo è?» domandò la voce.

«È a periodi. A volte è bella, a volte no.»

«Quando è bella?» chiese la voce mentre aumentava la luminosità della luce azzurra.

«Dipende dalle persone; da quello che vogliono. Per qualcuno è bella se può possedere determinate cose, per qualcun altro se può comandare altri uomini e se può deciderne il destino; per altri ancora se riescono a fare soffrire le persone che odiano.»

«Vuoi dire che esiste gente che vive solo per fare soffrire gli altri?» chiese con tono scandalizzato la voce.

«Altro che…! Ho saputo di gente che ha speso una vita intera a progettare vendette.»

«Io vorrei piuttosto sapere se la vita è bella per te visto che, se decidiamo che io debba nascere, tu sarai mio padre e quindi mi educherai secondo le tue idee.»

«Non farti illusioni», cominciò a precisare Massimo, «non è mai una persona soltanto a educare un bambino. Anzi direi che più che le persone sono le paure a educare. Per quanto belli e convincenti possano essere i discorsi che uno sente, basta una paura e tutte le convinzioni svaniscono come il fumo di questo sigaro. Certamente anche gli uomini influenzano un bambino e, generalmente, un padre è più importante di un vicino di casa sebbene càpiti che figure, come dire?, di passaggio segnino la vita di qualcuno più del padre.»

«Allora a che cosa serve un padre?» domandò la voce.

«Non saprei risponderti con cognizione di causa. Sinora non ho mai avuto figli.»

«Avrai però avuto un padre.» insistette la voce.

«Non è lo stesso: quando sei figlio sai bene cosa vorresti da tuo padre e non a che cosa serva esattamente. Quand’ero un bambino sognavo di diventare come mio padre, poi ho fatto di tutto per diventare il suo opposto e ora mi ritrovo, com’è giusto, a non essere né l’uno né l’altro. Adesso vorrei farti io una domanda: nasceresti maschio o femmina?»

«Questa scelta è lasciata al caso in modo che vi sia nel mondo un equilibrio numerico tra i due sessi, altrimenti la specie umana sparirebbe. Avresti preferenze?»

«Io preferirei un maschio.»

«Perché?»

«Non so esattamente, però credo che mi sentirei più pronto a capire i suoi problemi.» rispose Massimo.

«Davvero i problemi di un uomo sono diversi da quelli di una donna?»

«Sembra di sì, a giudicare dal diverso tipo di lamentele che sento nei due casi.»

«Dici? Eppure lassù abbiamo l’impressione che una delle cose più difficili per gli uomini e per le donne sia il capire di chi e di che cosa abbiano veramente bisogno: sembra che spesso le loro lamentele non abbiano nulla a che fare con i loro veri problemi. Scusami se insisto: il tempo scorre e dovresti deciderti.» disse la voce.

«Il fatto è che io non posso sapere come sarebbe la tua vita se tu nascessi. Potrebbe essere infelice  e io avrei un forte rimorso per averti convinto a nascere. Potrebbe essere molto felice e non mi perdonerei di averti fatto perdere una buona occasione.»

«Ti ho già detto che tu non ricorderai nulla di questo colloquio, perciò non sarai mai cosciente di quanto sia stata determinante la tua opinione.»

«Ma questo non conta nulla!», esclamò Massimo a voce un po’ sostenuta. «Non si vive soltanto di rimorsi o di gratificazioni. Non possiamo considerare il presente poco importante sol perché può diventare un passato che non ricorderemo più! Sento comunque la responsabilità che mi è stata data.»

«È bello ciò che dici e se fossi sicuro di diventare come te sarei già ben convinto di dovere nascere.»

Massimo dovette ammettere nella sua mente che quello ricevuto era un bel complimento, sebbene sapesse che, in quel caso, non l’avrebbe mai potuto ricordare ed era un peccato giacché i complimenti sono fatti per essere ricordati. Tuttavia ritenne di dovere comunque ringraziare: «Sei gentile e mi commuove la tua stima, ma non posso assicurarti nulla riguardo alla eventuale somiglianza tra di noi. Te l’ho già detto: non sarei io soltanto a educarti, pertanto non potrei garantirti che tu mi somiglieresti. Credo però che, a lume di logica, un modo per decidere se tu debba nascere o no ci sarebbe.»

«Magnifico! Qual è?» chiese la voce al massimo dell’eccitazione e quindi dell’illuminazione.

«Dimmi com’è la tua vita attuale e, confrontandola con quella che presumibilmente avresti sulla terra, potremmo decidere che cosa fare.»

Nel dire quelle parole, Massimo ebbe un leggero moto di orgoglio per la sua furbizia nel trovare finalmente un criterio quasi oggettivo. La speranza di avere trovato una via d’uscita durò pochi istanti, il tempo di sentirsi dire dalla voce: «Questo non posso farlo.»

«Perché non puoi?» domando Massimo visibilmente deluso.

«Non posso a causa delle parole che non esistono: nel tuo linguaggio non esistono le parole che corrispondono alle cose e alle situazioni della mia vita attuale. Sai bene che è l’osservazione di ciò che ti circonda e la necessità di comunicare con i tuoi simili, che in quanto tali vedono le stesse cose che vedi tu, a creare il linguaggio. Noi due non siamo né simili né, tantomeno, facciamo le stesse esperienze, quindi non posso usare parole che per te non esistono. Mi dispiace ma quel confronto non si può fare.»

«Ma come!? Quando sei apparsa hai detto che si parla sempre con le anime delle persone e adesso mi dici che non abbiamo un linguaggio comune? Anch’io, a questo punto, credo di avere un’anima e quindi dovrei poterti capire.»

«Il fatto è che tu non hai soltanto un’anima, ma anche dell’altro.» replicò la voce.

«Si capisce, ho anche un corpo.» concluse Massimo col tono di chi si senta infastidito dall’ascoltare banalità.

«No, non mi riferivo al corpo ma a quello che nel tuo linguaggio si potrebbe chiamare “spirito umano”.»

«Che diavoleria è questo “spirito umano”?» chiese Massimo che cominciava a spazientirsi.

«Dici bene quando usi il termine “diavoleria”, hai quasi indovinato. Le anime, quelle come me, ancora non incarnate,  non possono fare il male. Se ci rifletti bene ti rendi conto che invece, per vivere sulla terra, è necessario che gli uomini possano fare sia il bene sia il male; altrimenti tutto si fermerebbe perché tutti vivrebbero adorando Dio e aspettando la morte per essere accanto a Lui per l’eternità.»

«E allora?» incalzò Massimo.

«Quando un bambino nasce ha ancora l’anima originaria ma, crescendo, la sua anima viene sostituita da quello che ho chiamato “spirito umano”, che lo pone in condizione di potere fare anche il male se e quando vuole. Confronta lo sguardo di un neonato con quello di un uomo adulto, anche il più buono che conosci, e capirai subito la differenza.»

«È così per tutti?» chiese l’uomo.

«Come per tutte le cose umane è sempre una questione di quantità. In qualcuno la trasformazione ha pochissimo effetto.»

«I santi!» esclamò Massimo.

«Esatto!» replicò la voce illuminandosi per l’arguzia dimostrata dal suo padre potenziale.

«Ecco cosa voleva dire con “beati i poveri di spirito…”, parlava di “quello” spirito!»

«Anche questo è esatto. Adesso però dovresti rispondere alla domanda di poco fa, se cioè per te la vita è bella o, quantomeno, quando per te è bella.»

La domanda non era particolarmente difficile perché era una di quelle usate molto spesso per decorare con un tocco di serietà innumerevoli incontri tra amici e colleghi. Massimo rispose prontamente: «È bella quando si ama qualcuno che ti ama; credo che sia la situazione più felice che si possa realizzare e anche la più rara.».

«La parola amore la conosco anch’io, anzi, a ben pensarci, nella mia esistenza attuale c’è soltanto amore; se però tu sostieni che quella sia una condizione difficile da raggiungere, forse è meglio che io non nasca.» replicò mestamente la voce riducendo molto la sua luminosità.

«Aspetta! Perché dici questo?» domandò Massimo.

«Nella mia esistenza attuale c’è soltanto amore; se nasco potrò continuare a vivere d’amore ma rischio di vivere anche di altre cose meno belle; potrei perciò rischiare di perdere qualcosa ma certamente non potrei guadagnare nulla che già non abbia.»

«A questo punto non capisco perché mi hai cercato.» disse Massimo.

«Me l’hanno ordinato.» specificò la voce.

«Chi te l’ha ordinato?»

«Non lo immagini? Il punto è che se restiamo anime non incarnate, siamo considerate soltanto angeli mentre, se ci incarniamo, quando poi ritorneremo dopo la morte del corpo, saremo delle anime vissute e a seconda della fedeltà che abbiamo conservato all’idea di Dio saremo più o meno vicino a Lui per l’eternità.» spiegò la voce.

«Vuoi dire che un’anima per potersi avvicinare a Dio deve vivere una vita, come dire?, terrena e magari peccare e avere passioni umane?» chiese Massimo.

«Proprio così: quale merito avremmo altrimenti nello scegliere la vicinanza a Dio se non avessimo corso il rischio di allontanarci da Lui?»

«Quindi è per questo che vorresti nascere! Però non capisco quale bisogno tu abbia di essere convinta a nascere, visto che ti conviene.» osservò Massimo.

«Il fatto è che, nascendo, corro il rischio di ritrovarmi più lontana da Dio di quanto non lo sia adesso.» precisò la voce con una leggera venatura di inquietudine.

«Capisco. Tuttavia non me la sento di sconsigliarti di nascere.» disse fermamente Massimo.

«Perché?» domandò la voce, trepidante e speranzosa.

«Non so come dirtelo… Credo di avere bisogno di te.» concluse Massimo visibilmente emozionato.

«Ma questo, per un’anima, è l’argomento più convincente che esista!» esclamò la voce illuminando la stanza come un piccolo sole azzurro. Poi continuò: «Mi hai proprio convinto, papà. Ti saluto. Ci vediamo tra poco più di nove mesi.»

«Arrivederci figliolo… o figliola. Non tardare!»

«Stai tranquillo. Parli già come un padre. Arrivederci.» concluse la voce mentre si spegneva lentamente.

Mentre la luce svaniva, Massimo socchiuse gli occhi. Quando li riaprì non ricordava più nulla, tuttavia notò che il suo grosso Avana era già consumato a metà.

“Come passa presto il tempo quando si è sereni e rilassati.”, pensò, “Non rinuncerei a questa pace per tutto l’oro del mondo. Forse sarei disposto a rinunciarvi per un figlio. Perché no? Prima o poi io e Fabrizia dovremmo deciderci.”

Cominciò a pensare che era stufo di trascorrere giornate monotone come quella appena conclusa.


La battaglia finale

Un palazzo, uno dei tanti di una città, solito serbatoio di gioie e dolori, di speranze e illusioni, di progetti e bilanci. La notizia dell’agonia del giovane Luca si era rapidamente diffusa in tutto il caseggiato. Da alcune ore quel caso pietoso era divenuto oggetto di discussione in tutte le famiglie del vicinato. Chi aveva vissuto esperienze simili le riviveva nel proprio cuore e immaginava quali conseguenze avrebbe avuto, nello spirito dei suoi familiari, la morte del ragazzo. Chi non aveva mai conosciuto nulla di simile sentiva l’ansia di non avere argomenti per escludere totalmente che un simile evento non sarebbe mai potuto accadergli. Tutti erano interessati, in misura più o meno grande, all’arrivo della morte. Tutti sapevano che sarebbe arrivata invisibile e devastante come una bufera.

La morte arrivò. Salì lentamente le scale trascinando le vecchie e stanche gambe, sostenendosi sul passamano e riposandosi alla fine di ciascuna rampa per riprendere fiato. Per quanto la sua natura fosse soprannaturale, non era un essere fuori del tempo, anzi il suo lavoro era molto legato allo scorrere dei giorni di ogni singolo uomo e doveva barcamenarsi tra catastrofi, guerre, incidenti mortali e quant’altro richiedesse rapidamente la sua ineluttabile presenza. Tra un’emergenza e l’altra doveva compiere le missioni meno urgenti, le morti per vecchiaia e per malattia. Era un essere fondamentalmente buono e sovente si era assunta la responsabilità di ritardare un poco il suo intervento per consentire a un figlio di rivedere la madre per l’ultima volta, a qualcuno di risolvere un problema di coscienza o di completare qualcosa di particolarmente importante. Tuttavia la sua discrezionalità era molto limitata: prima o poi arrivava il momento in cui doveva entrare, toccare la mano sinistra del moribondo e completare la sua missione. Quando si trattava di bambini o ragazzi ritardava il più possibile, ma anche in quei casi non aveva possibilità di scelta.

La missione che quel giorno stava compiendo le era particolarmente odiosa: si avvicinò alla porta d’ingresso della casa del ragazzo molto lentamente. Arrivata dinanzi alla porta si fermò, sperando di ricevere un contrordine che altre volte era arrivato con sua grande soddisfazione. Mentre indugiava, vide arrivare un’altra figura stranamente simile a lei, nell’aspetto e nell’abbigliamento: aveva una lunga veste nera che la ricopriva sino alle caviglie, il viso ceruleo e le mani lunghe e affusolate; però non aveva al collo la collana dalla quale pendeva una piccola clessidra che indicava l’appartenenza alla categoria degli enti soprannaturali non indipendenti dal tempo. La morte si stupì di vedere arrivare quell’essere, non le era mai accaduto di essere avvicinata da qualcuno durante una missione. Peraltro la morte viveva una vita molto riservata, era un essere molto emarginato e le altre creature simili a lei, generalmente, la evitavano, un po’ come accadeva per i boia tra gli uomini.

«Dove vai così mesta?» le chiese la nuova venuta.

«E a te che cosa interessa?» rispose bruscamente la morte.

«Oh bella! Non pensavo che tu fossi così sgarbata. Appartieni all’aristocrazia delle cose naturale e quindi ci si aspetterebbe da te più classe e più buone materie.»

«È difficile conservare la classe e le buone maniere in certi momenti. Scusami! Sono nervosa.» si giustificò la morte.

«Perché mai?»

«Che cosa ne sapete voi!? Io ubbidisco sempre agli ordini ricevuti, ma mi sia concesso di essere triste in certi casi: devo andare a prelevare un ragazzo che, malgrado le sofferenze, crede che potrà riprendere a condurre una vita normale. Poverino! Quand’era bambino gliel’avevano detto che esisto anch’io. Addirittura una volta il suo insegnante di religione ha fatto tutta una lezione su di me. Ha detto un sacco di corbellerie, come sempre avviene quando si parla di qualcosa che non si conosce veramente, però ha avuto il merito di presentarmi molto meno brutta di quanto mi credano certuni. Ma il ragazzo ha già dimenticato tutto e crede che io sia ancora lontana. E invece…»

«Non per giustificare quell’insegnante, ma devi ammettere che sei l’unica cosa che non serve a niente conoscere nel senso che, non ti offendere, quando ti si vede è ormai troppo tardi per tornare indietro. Ma dimmi piuttosto: non puoi fare qualcosa per annullare la tua missione?» domandò la nuova venuta.

«E chi sono io!? Io non conto nulla. Non devo pensare, io. Mi dicono di andare là e io vado». Dopo avere pronunciato rapidamente quelle parole, la morte riprese a parlare con calma: «A vederti sembri molto più giovane di me e certamente è per questo che mi fai questa domanda. Imparerai che ci sono lavori in cui è coinvolto tutto il tuo essere. Sono i lavori che non puoi rifiutarti di fare, non tanto perché qualcuno ti obblighi, ma perché dovresti rinnegare te stesso, la tua esistenza. Il mio è di questo tipo. Quando penso che è tutta colpa mia…!»

«Cioè?»

«Non lo sai?», chiese meravigliata la morte, che continuò, «Io prima ero un angelo qualunque. Poi non ne potei più di fare sempre le stesse cose: cantare, pregare, adorare… Bisogna avere il carattere adatto per fare parte di un coro. Bisogna essere abbastanza umili da accettare l’idea che puoi essere sostituito in qualunque momento, devi amare gli altri al punto da non avere paura che non ti sia riconosciuto esplicitamente quello che fai. Hanno un bel dire a raccontare la storia dei bicchieri colmi. È vero che un piccolo bicchiere colmo non differisce, in quanto a soddisfazione, da un grande bicchiere colmo. Il discorso però funziona solo se i bicchieri non si conoscono tra di loro. Insomma, non mi sentivo abbastanza importante e non avevo certamente né la grinta né la cattiveria di Lucifero, che ha fatto quello che sai bene, però non ne potevo più di fare quella vita. Quando poi Lucifero ha coinvolto gli uomini nella sua stupida e perdente battaglia contro Dio e anche loro hanno creduto di potersi ribellare, Lui chiese in giro se c’era qualche angelo volontario per delle missioni particolari. Allora io ero molto giovane e inesperto. L’idea di fare qualcosa di diverso mi allettava, ancor più che quando Gli chiesi di cosa si sarebbe trattato, mi rispose testualmente: “Quando te lo ordino, devi andare sulla Terra, prelevare gli uomini e le donne e portarmeli qui. Prenderai ordini soltanto da Me.” Cosa vuoi?, mi sentivo importante. Non hai idea di quanto sia esaltante prendere ordini direttamente da Dio, senza nessun intermediario che, per quanto sia in buona fede, ci mette sempre qualcosa di suo. Il problema degli intermediari è che interpretano il volere di Dio secondo le loro idee e non puoi neanche contraddirli perché non sai mai se sei tu ad avere ragione o loro. Ti dicono di essere più vicini di te a Dio e quindi di conoscerLo meglio di te. E tu cosa fai? Obbedisci per non rischiare di sbagliare.»

La morte non aveva mai parlato tanto, non ne aveva mai avuto l’occasione: gli altri la evitavano e con Dio non c’era molto da parlare. Dovette riposarsi alcuni istanti per l’affanno. Poi riprese: «All’inizio tutto funzionava a meraviglia. Andavo a prendere gli uomini quando erano già molto vecchi e stanchi della vita e quando mi vedevano mi ringraziavano addirittura. È vero che i loro cari a volte mi maledicevano, ma le persone interessate generalmente mi ringraziavano e questo era per me ciò che contava di più. Sai com’è: ubbidire a Dio e nel contempo fare felici gli uomini è sempre molto difficile, ma siccome la vita terrena, prima o poi, stanca, non avevo molti problemi. Poi le cose sono cambiate, gli uomini sono diventati sempre più cattivi. Sono aumentate le morti violente e il mio lavoro è diventato sempre più intenso e sempre più triste. Io amo il mio lavoro e lo rispetto, ma non mi va di intervenire per motivi futili. Una cosa è andare a prendere un vecchio che ha vissuto bene e portarlo dinanzi a Dio, altra cosa è prendere un bambino per l’incuria o la malvagità di qualcuno. Ciò di cui gli uomini non si rendono conto è che, dietro ogni morte prematura, anche quella che sembra naturale, c’è sempre la responsabilità di qualcuno anche se, talvolta, essa risale a molti decenni o secoli prima e perciò non viene percepita. In un caso simile io mi struggo per il dolore e la consapevolezza di non avere responsabilità alcuna non attenua il mio dispiacere. Certo, da noi è festa lo stesso, però sono io che vedo e sento la disperazione della gente.»

«Potevi cambiare lavoro. Non ti avrebbe negato una grazia.» osservò la nuova venuta.

«Figurarsi! Sai come la pensa. Le cose che fa Lui personalmente devono durare per sempre e non ama molto i cambiamenti. Sai bene con quanta fatica coloro che Gli stanno vicino riescono qualche volta a farGli cambiare idea. Gli uomini non se ne rendono conto, ma il vero miracolo avviene da noi, altro che sulla Terra! Comunque non ho avuto il coraggio di chiederGlielo. Continuare a fare il mio lavoro mi dà la sensazione di espiare il mio originario peccato di orgoglio che ho fatto offrendomi volontario. Ma tu, piuttosto, chi sei? Perché sei qui?»

Un altro angelo, meno ingenuo della morte, avrebbe potuto intuire la risposta riflettendo un poco sull’aspetto della nuova venuta e notando quel suo impercettibile sorriso che spesso hanno, angeli o uomini, coloro che sono stati chiamati a svolgere una missione particolarmente importante e fuori dal comune. La morte non era così perspicace, abituata com’era a fare il suo lavoro senza troppo discutere, a confidare nella giustizia suprema che in lei aveva la sua più evidente manifestazione. Dopo alcuni istanti di attesa, la nuova venuta rispose laconicamente: «Mi chiamo Viteterna e sono la tua morte.»

«Cosa?» chiese la morte completamente vinta dallo stupore.

«Hai capito bene, sono la tua morte.» ripeté Viteterna.

«Senti, te l’ho detto, sono triste e non ho voglia di scherzare!» esclamò la morte, infastidita da quella che credeva essere una burla fuori luogo e inopportuna.

«Guarda che non scherzo. Tutti ti rispettiamo per la tua serietà e correttezza; nessuno si permetterebbe di burlarsi di te.» insistette Viteterna.

«Ma sono io la morte! Non possono esistere diverse morti. Che senso avrebbe!?»

«Tu sei la morte degli uomini, io sono la tua. Mi dispiace che tu non capisca ma le cose stanno proprio così.» precisò Viteterna.

«Nessuno mi ha mai parlato di te.» replicò la morte, che adesso si rendeva conto della serietà della sua interlocutrice.

«È normale, non parli mai con nessuno e sei sempre indaffarata.»

«Ma che stupidaggini dici!? L’avrei saputo che esistevi quand’ero un angelo qualunque, non credi?» chiese la morte.

«Hai ragione, ma la decisione di farti morire è stata presa molto tempo dopo che tu hai cominciato la tua attività; però avresti dovuto capirlo che sarebbe arrivata pure la tua fine.» spiegò Viteterna.

«Da che cosa avrei dovuto capirlo?»

«Non sapevi che un giorno ci sarebbe stata la Resurrezione Universale?»

«Sì, ne ho sentito parlare. Ma che cosa c’entra con me?» domandò la morte.

«C’entra, eccome se c’entra! Ti ricordi che Dio volle scendere sulla Terra quella volta in cui tutti Glielo sconsigliavamo? In quell’occasione, Lui promise agli uomini che avrebbe sconfitto la morte anche per loro e che un giorno tutti sarebbero risorti e nessuno sarebbe più né nato né morto. Lo conosci: sai quanto ci tenga alla giustizia; credi che avrebbe permesso a Suo Figlio di sconfiggere la morte senza permetterlo, prima o poi, a tutti gli altri uomini? Anzi, per essere più precisi, lo ha permesso al Suo primo Figlio proprio per poterlo permettere agli altri Suoi figli. Ora è arrivato quel momento.»

Adesso tutto era chiaro. La morte era molto dispiaciuta; non che temesse di morire, quella era una paura che proprio lei non poteva avere, era invece in collera con se stessa per essere stata, durante tutti quei millenni, poco o per nulla partecipe dei disegni divini, delle discussioni fra gli altri angeli. Non poteva incolpare nessuno della sua latitanza, era troppo legata al suo lavoro e quel poco tempo libero che avrebbe potuto avere a disposizione lo aveva impiegato per indugiare nella speranza di avere revocata qualche missione, per un eccesso di pietà. Se lei fosse stata al corrente dei progetti divini, avrebbe potuto preparare adeguatamente il suo spirito alla sua fine. Soltanto adesso si rendeva conto di cosa potesse significare sentirsi dire all’improvviso “Tu devi morire”, cosa che aveva visto accadere agli uomini innumerevoli volte. Inoltre, ciò che più la inquietava era cercare di capire cosa potesse significare la “morte della morte”. La morte di un uomo era, tutto sommato, soltanto un cambiamento di vita, non era in discussione il suo futuro; cosa avrebbe, invece, implicato la sua morte? Anche per un angelo era difficile capire sino in fondo i misteri divini, per cui si decise a chiedere spiegazioni a Viteterna.

«Quale futuro mi aspetta?» chiese timidamente.

«Questo puoi deciderlo tu. Non per vantarmi, ma sono stato io personalmente a convincerLo a darti quest’opportunità.» disse con un moto di orgoglio Viteterna.

«Ti ringrazio infinitamente. Allora?» domandò con un poco d’ansia la morte.

«Puoi sparire per sempre o arruolarti come “convincitore”.» rispose Viteterna.

«Cosa fa un “convincitore”?»

«Ha il compito di convincere gli uomini sulla Terra a schierarsi con Cristo prima della battaglia finale.» spiegò Viteterna.

«Nessuno convince nessuno. È stato difficile anche per Lui quando era in carne e ossa e dovrei riuscirci io? Si vede che conosci poco gli uomini! Nessuno li conosce meglio della morte, la loro vera natura si manifesta soltanto durante gli ultimi istanti della loro vita, cioè davanti a me e ti posso assicurare che li conosco fin troppo bene. Non ci penso neppure. Preferisco sparire. E poi, sai cosa ti dico?, sono stanca e l’idea che quel ragazzo che stavo andando a prendere non morirà più mi riempie di gioia. Non mi dispiace concludere così la mia attività. Non mi dispiace! Fai quello che devi fare, non avere timore, nel tuo caso non è così difficile. Tu lo farai per la prima e l’ultima volta. Nessuno ti maledirà per questo.»

E la morte morì.


Un lupo troppo umano

L’agnello che il lupo aveva sbranato era ben paffuto e tenero. Il piccolo animale era stato educato a scegliere con cura i ciuffi d’erba da mangiare e il risultato di tanta oculatezza era stato l’ottimo sapore della sua carne; come spesso avviene,  la ricercatezza e la buona educazione che l’agnellino aveva ricevute si erano trasformate in un vantaggio per un lupo tanto selvaggio quanto buongustaio. La giornata era bellissima, tant’è che il lupo aveva potuto sorprendere l’agnellino mentre, da solo, si dissetava immergendo con grazia la sua piccola lingua nelle fresche acque del ruscello. Il piccolino aveva già bevuto a sazietà quando aveva sentito il richiamo della madre, ma aveva voluto indugiare ancora un po’ perché adorava sentire la carezza dell’acqua sulla lingua. Era stata proprio quell’imprudente ricerca di innocente godimento a fargli perdere la vita. Era stato infatti il richiamo della madre a fare intuire al lupo che nei paraggi potesse trovarsi un agnello solitario. Per fortuna, quella premurosa mamma non seppe mai che era stata la sua ansia a causare la morte del piccolo, altrimenti il suo dolore sarebbe stato doppio.

Insomma il lupo, un adulto e furbo cacciatore solitario, si era ritrovato, come suol dirsi, un pasto servito su un vassoio d’argento.  La caccia si era presentata così agevole che egli non se l’era sentita di saltare immediatamente addosso all’agnellino e, prima di azzannarlo sul collo, aveva dialogato con la vittima per cercare una buona scusa per ucciderlo.

Adesso il lupo, che aveva dovuto lavarsi accuratamente il muso per liberarlo da quei fastidiosi ciuffetti di lana candida, cercava un posto tranquillo per godersi una buona digestione.

Stava quasi per prendere sonno quando fu sorpreso da una voce che sembrava provenire dall’esatto punto in cui erano rimasti i resti dell’agnello.

«Bravo! Davvero bravo!» disse la voce.

Il lupo fu terrorizzato; sebbene fosse appesantito dall’abbondante pasto, si alzò di scatto e fece un rapido giro per cercare di capire chi avesse parlato. La sua paura aumentò quando si rese conto che non c’era nessun essere vivente nelle vicinanze. La voce si fece risentire: «Non ti affannare troppo a cercare, sono la tua coscienza.»

«La mia… cosa?» chiese l’animale alquanto disorientato e confuso per dovere parlare, per la prima volta nella sua vita, con qualcuno senza poterlo vedere.

«Hai capito bene. Sono la tua coscienza e ti assicuro che non sono per nulla fiera di te!»

Il lupo dovette ammettere nella sua mente che ben altre volte aveva sentito quella stessa frase rivolta a lui; le altre volte però si era trattato di lupi come lui, del padre che gli aveva rimproverato di non essere abbastanza aggressivo o della madre che lo aveva accusato di curarsi poco dei fratelli minori. Replicare ad altri animali, specialmente ai propri genitori, non era mai stato difficile; nessuno però gli aveva mai insegnato a parlare con quella strana creatura che, peraltro, sembrava non avere un corpo e non essere quindi commestibile, il che la rendeva ai suoi occhi molto sospetta e antipatica. Decise comunque di provare a dialogare con lei allo stesso modo di come avrebbe fatto con un altro animale; per cui disse: «Non mi dirai che ti sei arrabbiata perché ho mangiato quell’inutile agnellino!»

«Tanto inutile non direi, a giudicare dall’espressione beata che avevi poco fa!» replicò la coscienza sempre più contrariata.

«Dovevo pur avere il mio pasto quotidiano, non credi?», disse con fermezza il lupo ben deciso a non farsi intimidire; poi continuò: «Se ho ben capito, tu sei puro spirito e quindi non ti costa nulla essere buona anche con gli agnelli. Non hai certo problemi di fame, tu!».

La voce fu punta nel suo orgoglio; nulla avrebbe potuto offendere di più una coscienza che il rimproverarle di non avere comprensione per i problemi altrui. Sapeva tuttavia quanto fosse difficile per un animale rendersi conto di certe cose, perciò decise di soprassedere alla provocazione; domandò: «Rispondimi: quanti agnelli hai mangiato durante la tua vita?»

«Non saprei… Direi una ventina.» rispose il lupo.

«E quante volte io mi sono intromessa tra te e i tuoi pasti o, se preferisci, le tue digestioni?» incalzò la voce.

«Mai, a onor del vero. Questa è la prima volta.» rispose il lupo, sempre più confuso perché non riusciva a capire dove la sua coscienza volesse andare a parare con tutte quelle strane domande.

«Sforzati adesso di capire cosa mi abbia spinto, questa volta, a parlarti» comandò la voce, che adesso si era calmata  e aveva assunto il tono professorale tipico delle coscienze.

Per quanto il lupo fosse una delle più intelligenti bestie della terra, non riusciva a trovare una risposta. Ripassò nella mente gli episodi più importanti della sua vita, soprattutto quelli in cui sapeva di potere trovare elementi che avrebbero potuto giustificare gli interventi di una coscienza. Fu quasi felice di constatare che, in fondo, non aveva mai fatto nulla di scorretto a parte qualche tentativo di rubare ad altri lupi parte delle loro prede. Si arrese e proclamò la sua incapacità di trovare una risposta: «Mi dispiace, ma non riesco a trovare un buon motivo per giustificare il tuo intervento.»

«Questo me l’aspettavo. Mi sono sempre chiesto a cosa serva una coscienza per chi non sa leggere attentamente nel suo cuore. Ti aiuto io. C’è qualcosa che stavolta hai fatto prima di mangiare la tua preda?» domandò la voce.

«A ben pensarci l’unica differenza è che stavolta ho dialogato con l’agnello, mentre le altre volte ho assalito le prede senza parlare. Le ho afferrate, le ho azzannate alla gola, ho aspettato che morissero soffocate e poi le ho sbranate.» rispose il lupo, soddisfatto per la sensazione di avere azzeccato la risposta esatta e con la segreta speranza che, al più presto, quella maledetta ficcanaso l’avrebbe lasciato in pace invece di rovinargli la digestione.

«Finalmente! Ce n’è voluta ma ci sei arrivato. Anzi ci sei “quasi” arrivato.» disse la coscienza.

«Che cosa vuol dire “quasi”?» chiese il lupo, deluso per non avere centrato completamente il bersaglio.

«Oh, insomma! Nessuna coscienza protesta perché uno parla, ma per quello che dice.» precisò la voce.

«Fammi capire: tu non sei arrabbiata perché ho sbranato l’agnello, né perché gli abbia parlato, ma soltanto per quello che gli ho detto?» chiese l’animale con sincero stupore, chiedendosi nel contempo se tutte le coscienze erano così complicate o soltanto la sua aveva quella mania di filosofare.

«Esattamente. Saresti dovuto rimanere in silenzio come hai sempre fatto o, se sentivi l’assoluto bisogno di rivolgergli la parola, potevi trovare qualcosa di più adatto al momento. Potevi, ad esempio, dirgli “Mi dispiace agnellino, ma tutti dobbiamo campare.”, oppure “Se hai un’ultima volontà, dimmela perché sto per mangiarti.”, oppure ancora, potevi fargli un complimento per farlo morire contento, tipo “Mi dispiace per te, agnellino, ma sei così bello e paffuto che non posso resistere alla tentazione di mangiarti”. Potevi insomma, se volevi davvero essere gentile, dargli una giustificazione della sua morte, visto che, per una vittima predestinata come lo è un agnello, è sempre difficile trovare una giustificazione per la propria vita. E invece… no! Hai cominciato a blaterare, a cercarti delle scuse, peraltro una più stupida dell’altra. Quando mai ti ho rimproverato per avere mangiato altri animali!? Quello è un tuo sacrosanto diritto e infatti non sono mai intervenuta. Ma l’ipocrisia… no! Quella… proprio no!»

Il lupo rimase di stucco sia per ciò che aveva detto la voce sia per il tono appassionato col quale aveva parlato. L’animale era davvero in buona fede e il suo sbalordimento era sincero; non avrebbe mai potuto immaginare che una piccola deviazione dalla consuetudine avrebbe fatto scomodare una coscienza, la quale, a giudicare dal modo di parlare, aveva tutta l’aria di essere sinceramente addolorata dal suo comportamento.

«Mi sembra che te la stia prendendo troppo» disse il lupo, sempre più sbalordito per la sproporzione tra l’ira della coscienza e la sua presunta malefatta.

Non l’avesse mai detto! La voce divenne più intensa e più acuta; gridò: «Troppo?». Poi continuò con un po’ più di calma: «Devi sapere che le coscienze siamo tra le poche creature spirituali alle quali sia concesso di scegliere l’essere vivente al quale associarsi. Devi inoltre sapere che, nel nostro ambiente, l’importanza e il prestigio di una coscienza crescono con quelli dell’essere vivente al quale sono associate. Avrei potuto scegliere un uomo, come hanno fatto altre mie sorelle che adesso si pavoneggiano per i risultati raggiunti dai loro assistiti. Io, invece, ho preferito una vita più tranquilla, senza molte emozioni e poco faticosa, anche perché non appartengo a quella categoria di coscienze le quali ritengono che il peggiore degli uomini sia più importante del migliore tra gli animali. Perciò ho scelto un animale e, per giunta, selvaggio. Avrei potuto scegliere un animale domestico, un gatto o un cane. Il cane l’ho escluso subito. Sai come sono i cani! A volte non agiscono secondo la loro coscienza, sono facilmente corruttibili e stanno troppo a contatto con gli uomini, al punto tale che finiscono per copiarne il carattere. Ero tentata di scegliere un gatto; sono orgogliosi, poco manovrabili e non si sottomettono facilmente neanche al padrone. Alla fine ho preferito te, un lupo. Adesso capisci perché mi sono arrabbiata? Ma da dove ti è venuta l’idea di agire in quel modo, come un essere umano!? Mi spieghi quale sia stato per me il vantaggio di associarmi a un animale selvaggio se poi questo mi pone gli stesi problemi di un essere umano? Quale senso ha avuto rinunciare a una brillante carriera senza avere la tranquillità che speravo? Quante storie con quell’agnellino! Che cosa sei andato a dirgli! Che ti sporcava l’acqua! Poi, quella scusa del padre che ti aveva offeso…! Là mi sei sembrato davvero un essere umano. Non ti azzardare più. Così come le mie sorelle protestano con i loro assistiti quando si comportano come animali, allo stesso modo io non posso permetterti di comportarti come un uomo. Ciascuno al suo posto! La prossima volta, se hai fame mangia, senza tante discussioni; non tollererò mai più che tu convinca qualcuno del tuo diritto a ucciderlo. Questa è la peggiore delle ipocrisie. Intesi?»

«Intesi, intesi.», replicò a bassa voce il lupo che, portandosi dietro la vergogna di non essersi comportato come i suoi simili, si allontanò mogio mogio con la coda tra le gambe e mansueto come un agnellino.