SULLA RIVA DEL MARE

Sulla riva del mare
adagiati
variopinti relitti
di legni sconfitti
di barche e di reti
monchi legni bianchi
grigi di granchi.

Gambe e braccia
di alberi lontani
dai volti umani
velluto
di mare e sale
arresi all’onde
su casuali sponde
in approdi ambiti
vestiti
di perfetta luce.

Sassi
lisci e tondi
gabbiani vagabondi
dal vieni e va
dell’onde
stelle fatate
dalle gote arrossate

quasi lucenti,
da farne ornamenti.

Conchiglie
colorate
lacrime di fate
dalle mani franche
dalle ali bianche
sulla battigia
su e giù,
per la strada grigia

quasi lucenti,
da farne ornamenti.

Così, uomini,
levigati e bianchi
nei loro volti stanchi
dal sale e dalla vita
d’un’anima ferita
d’una stagione andata
perfetti nella luce
giunti all’approdo
alfine
sulle verdi panchine
sciolto l’antico nodo

abbandonati i pesi
in pace
finalmente arresi.

 

 

 

La barca

Una barca.
L’ho pensata.
L’ho copiata.
L’ho disegnata.

Prima una fantasia,
una specie di piccola follia
e poi carta e penna
dalla punta di panna.

E l’ho disegnata,
una misteriosa fata
come una bella donna,
l’amore sotto la gonna.

Una barca povera,
proletaria,
con la vela a mezz’aria,
non da ricchi,
ma come i vecchi caicchi,
da pescatori, da re di cuori,
rassicurante, massiccia,
con la vela un po’ riccia.

Con quelle fiancate
dalle pendici alate
spesse di legno e sale,
dalla forma sensuale
di vernice a strati,
come dolci peccati
ogni anno uno in più,

un po’ scrostata,
ambrata,
dove il legno batte contro il molo,
quando l’acqua gioca nel pagliolo,
ma piena, ricca,
odore di mare nella risacca.

Una piccola barca
a cui affideresti
la tua vita,
la tua strada assopita.
Sì, proprio una bella barca.

Poi una volta l’anno
le mani del calafato
riparano il danno
sul legno cariato,
scalpello e stoppa,
pece calda
a prua e a poppa.

Il mare l’accarezza,
la bacia
godendo la brezza.
Scivola via l’acqua,
spinta da lunghi remi incrociati
guidati dagli scalmi, ai lati,
vogando alla marinara,
e luce di lampara
(voga da pescatori,
amara è la fatica
in una posa antica).

Venti e maree,
sabbia negli occhi,
occhi socchiusi
piccole onde
piccoli scogli
nel grecolevante
corrucciato e silente.

La vela ammainata,
(vestito di fata)
tagliando l’onda
sopra l’acqua profonda,
lo sguardo all’orizzonte,
guadagnando il largo,
a passo lento
verso un sole spento,
verso l’ignoto.

Il sole cuoce la pelle
come vecchio cuoio,
il vento avvolge
e stravolge,
con la pancia
variopinta e fresca
di sale e alga marina,
sotto la vela latina
che scivola sull’onde.

Vernice colorata
sulla barca tradita
della nostra vita
un po’ spavalda
un po’ fallita.
Rimetterla in acqua,
ogni volta tornare
a veleggiare.

Uno scalpello,
affilato come un coltello,
una mazzuola
un po’ di stoppa,
pece calda a prua e a poppa
ed ecco
la nostra barca
può di nuovo salpare
verso acque più chiare.

Verso il punto di non ritorno
Verso l’alba d’un nuovo giorno
che s’indovina oltre l’orizzonte,
verso il nostro Caronte

nel profumo d‘alga marina,
smossa
dall’onda di rapina
da un’acqua smorfiosa
un po’ viziosa,
nella splendida luce del sole,
fra le nuvole di Magritte
scritte
nel cielo dorato
d’antico peccato.

Come un giorno di vita
come l’amore
come la morte

Quando un mattino
Uno di noi due
Non si sveglierà.

 

 

 

Pulsazioni

Appoggio sul polso
le dita,
dove pulsa una vena
un po’ stupita,
leggera
come una falena.

Ne ascolto i battiti,
ascolto il tempo, gli attimi,
conto i respiri,
ognuno
più vicino alla fine,
al massimo confine.

La vita.
La sento andar via,
mi scorre fra le dita
(musica di sonagli)
acqua di mare sugli scogli,
grani di un rosario
d’antico avorio.

A te,
amore mio
m’aggrapperò,
quando la vita
vorrà portarmi via,

perché è finita.