Ora m’invadi, esercito di luce,
che intravedevo schierato nella piana,
fra messi e ulivi.
Or che sei entrata, amica mia penombra,
ti sento profumare di bucato, d’acqua
e di cenere.
Rosso etrusco dipinge le tue mani;
ti fa vergogna il sole.


Fra alte felci e cupole di rami
tu sei la nuda cella dove pregò Francesco.


Dentro di me il sereno di lenzuola fresche d’estate,
della luce lunare che filtra dal pergolato e,
dinanzi a questa tavola vuota imbandita di candido lino,
tintinna il bicchiere e la mente rincorre
fuggenti persone lontane.