Non è morta la Poesia (2021)

Sento suoni di trombe lontane,
vedo cadere le foglie di rame brunito
sopra le quali si posano gocce d’argento.
E nel sogno, nitriti di cavalli
dai denti puntuti e zoccoli di falci taglienti.
Così la vita si dipana in un cammino
Indefinito, dove solo una lampada di olio antico,
si consuma, e con
fioca luce, dona un senso
alla notte e al dolore del corpo che cambia.
Ombre ambigue e voraci circondano
i giorni e non donano amore, ma odio.
La Poesia, si la Poesia ne soffre abbandonata
nell’impotenza e nel delirio dei desideri.
Solo una lanterna, una vecchia lanterna
lascia filtrare una fiamma, una farfalla di luce,
una speranza.

 


 

Il risveglio (1999)

Pigra è l’alba al risveglio.
Sul torpore del sonno e sui sogni agitati,
si frange il bandone
che cigola inquieto.
Aspetto in trepida attesa i suoni usuali
e allento i pensieri.
Già motorini e auto sbrummano e sgommano.
Dal giardino di fronte,
custode solitario,
abbaia il cane abbandonato.
Poi arriva il momento più atteso.
Voci squillanti di bimbi,
e lo scalpiccio di piccoli passi
sui gradini.
Mi alzo lentamente
E d esco dalla buia camera,
senza rumore.
Mi bagno di luce alla finestra.
Inizia una giornata
dove tutto può ancora accadere.
In quel momento
anch’io
indosso il grembiule di scuola.

 


 

Il consumo dei giorni (2001)

Sogni e speranze corrosi
dai topi famelici dei giorni,
che scorrono ora
lenti e avidi di vita,
e poi veloci e sazi di ricordi,
felici e amari,
lontani,
gioiosi e dolorosi.
Giorni
che sempre s’infrangono
come onde di mare,
sferzato dai venti,
su derive affollate
d’illusioni smarrite,
di amori saziati d’amore,
di avide arroganze o di calda umanità,
di ore trasparenti
come calici cristallini
trapassati
da luce spendente.


 

Nel “Mundo perdido” di Tikal

Sono in Guatemala, nel Petén, alla scoperta di Tikal, millenaria città della civiltà Maya. Nella grande piazza, al centro della città, si ergono due grandi piramidi, quella delle maschere e quella del giaguaro, ornate da una elaborata cresta. Salgo ì ripidi scalini e mi fermo dove i sacerdoti, paludati con ricchi e piumati costumi, parlavano al popolo. Intorno ci sono resti del mercato e delle varie costruzioni importanti.
La guida mi conduce a quella che dice essere la più alta delle piramidi, scoperta sotto la fitta vegetazione negli anni trenta, ed oggi nuovamente aggredita dalle voraci piante tropicali. E’ alta più di settanta metri e, per raggiungere la vetta, occorre attaccarsi alle radici e ai rami, e nei punti più agevoli, usare le scale in legno e piccoli sentieri lastricati. Salgo leggero e felice, mi sento alla scoperta di un nuovo mondo affascinante. L’ultimo tratto si raggiunge con una più recente scala in ferro e infine il cielo, la foresta e nient’altro che i gridi delle scimmie urlatrici e il verso di tucani e pappagalli. Guardo come pietrificato, non sono il solo; una giovane giapponese, seduta fissa con occhi sbarrati l’orizzonte. Solo cielo e verde della foresta, dalla quale svettano, qua e là le creste di altre piramidi inghiottite dalla natura. Sono come adagiato in una nuvola, riempio i polmoni di aria, mi trovo a pensare che vorrei rimanere qua dove il tempo non conta.