Poesie
Primo di novembre
Oggi si nasconde
nell’odore mistico delle chiese
nelle sgranature dei muri
dentro le gole cupe dei tombini
nei buchi profondi dei pluviali
la nebbia
o nel silenzio dei maggesi nudi
o nelle vene ritorte delle vigne
protese sopra l’ombra dei fossi
chissà
o nel volo rado delle cornacchie
confuse di questo sole
tra le parole taciute sottintese
dentro i pensieri segreti.
Senza allegria
cola dal cielo la luce obliqua mesta
sopra i bei crisantemi
sopra questa festa di Tutti i Santi.
E sopra le illusioni
le attese l’indifferenza le passioni.
E sopra questo grumo dolente di nostalgia.
La siepe di gelsomino
Trascina l’ombra
giù per le scalette di San Godenzo
come una coda sfilacciata
la piega dei calzoni netta
stirata da poco
si capisce
il passo aritmico stretto al muro.
Dietro
sfiorisce sopra il colletto
la testa grigia rada
pettinata ben bene
e irresoluta
rassegnata
sotto l’incongruenza del giubbetto sportivo
si chiude la schiena.
Come zampine di ragno
i miei cinque sensi
palpano attorno l’aria
palpano al ralenti
il contorno di questo attimo senza nome
liscio come un mesto adagio
bianco come il sapore effimero
di questa siepe di gelsomino.
Vivaldi
Sono scesa con le zattere
giù per l’Eufrate
può darsi
o ho navigato
forse
nell’altipiano della Cappadocia
o forse
chissà
ho contato le stelle
sopra le rotte di Magellano.
Visionaria Sibilla
chissà
sopra le foglie nel vento
ho decifrato l’arcano oppure
asceta santo
ho digiunato sopra la stele
o nel deserto.
Invano
quando la mattina il vetro si fa chiaro
cerco la risposa
tra i brandelli dei sogni perduti
di là dalla porta del sonno crepuscolare.
So solo che mi sento addosso
la pelle di un’orfanella della Pietà
che sospira
innamorata del prete rosso.
Il silenzio
Il silenzio tu
non lo senti.
non è bianco rosso o blu
non ha sapore
non ha temperatura né odore.
Il silenzio non è.
E’ assenza.
Eppure senza
silenzio
cos’è
il palpito dell’anima che si ritrova
la notte di luna nuova
quando vuoi ascoltare
il sospiro
delle galassie più remote
il richiamo dolente
delle vite lassù vissute e spente
in ere lontane lontane lontane da capogiro
carpire le sillabe del segreto
nell’inquieto respiro
del mare.
Cos’è la dolcezza della noia
il sapore della gioia
che lento nel silenzio si scioglie
l’impeto effimero della felicità
che non sa
durare
e la sua magia subito perde
e subito diventa nostalgia
l’azzurro della speranza
la fragranza di un ricordo
il sussurro sillabato di una poesia.
Il silenzio non è assenza.
E’ il luogo in cui il pensiero ricama
la trama
delle sue verità.
E’ la prospettiva indefinita
il muto sfondo
su cui piange ride canta
soffre e gioisce la nostra vita..
E’ la pausa nel suono che torna e si rinnova.
E’ un prima e un dopo.
E’ allegoria.
E’ il nulla da cui sboccia lenta
o perentoria si impone
la sinfonia.
L’immensa dimensione vuota
in cui si perde e annega
l’ultima nota.
La voce delle piccole cose
La voce delle piccole cose,
minuscola cosa
troppo silenziosa
per far vibrare l’aria.
Il fruscio
della linfa che preme
la minuscola gemma,
della minuscola foglia che freme
sul ramo del pesco,
del frutto che pende
e attende la mano
a maggio
del corpuscolo sospeso nel raggio
di sole
del fresco
odore di menta
nel giardino
della volatile molecola che esala
dalla buccia d’arancia dentro il piatto
della vibrissa del gatto
che punta l’uccellino
della parola
presuntuosa
piena di sensi universali
silenziosa
smarrita nella gola.
Della piccola gocciola esultante
nell’effervescenza della sorgente
o nell’inquieta corrente
che plasma la nuvola
o che riposa
nella calma
–la piccola goccia minuscola cosa–
di un mare di bonaccia.
La minuscola voce del grano di rena sulla duna
che il vento modella
della minuscola remota stella
nascosta nel chiarore della luna
del minuscolo globuscolo di schiuma
che gioisce e si frantuma
nell’onda di marea.
La mia piccola minuscola voce
smarrita nel fondo
del frastuono feroce.
La voce del nostro minuscolo
piccolo mondo umano
distratto disperso
che non sa ascoltare il suono infinito
vicino e lontano
dell’universo.
ὅν οἱ θεοὶ φιλοῦσιν ἀποθνῄσκει νέος*
In questo caldo fine maggio
sulla spalletta del cavalcavia
i fiori freschi attorno alla tua ridente fotografia
appassiscono in fretta.
Nell’inverno il giovane colore degli amici
ha acceso il grigio del marciapiede.
Oggi in questo caldo fine maggio
nel denso profumo di tiglio
l’eco del loro dolore c’è ancora
nel rosso vermiglio dei fiori finti
già un po’ stinti
ma tenaci.
Un niente in più o in meno sarebbe bastato.
Un attimo in più o in meno nei saluti fugaci
nel ritmo dei passi affrettati
un attimo in più o in meno sulla soglia
e il caso che imbroglia la trama
scompiglia le carte
ti avrebbe strappato alla lama di Atropo.
Loro
nei vagabondaggi della vita
diventeranno adulti saggi o incoscienti
comprensivi coi figli o severi
prigionieri di ansie o spensierati
fedifraghi o fedeli
prepotenti e pronti a sguainare artigli e denti
o pazienti e tranquilli,
leali e onesti o scellerati
di status prestigiosi o modesti
dovranno vedersela
coi fantasmi del sonno e dei risvegli
coi dettagli della quotidianità
in bilico tra di enne a
ed epigenetica..
Calvi o stempiati
indosseranno con filosofia o sofferenza
anni mal portati
una prestanza da palestra con seducente fierezza
con patetica spigliatezza
una pancia prominente..
Tra le rughe del vivere
qualcuno fortunato
salverà un po’ della luce d’oggi..
Un attimo in più o in meno allo specchio
e vecchio anche tu
secondo la nostra aritmetica degli anni
saresti diventato.
E in questo caldo fine maggio
nel mio quotidiano veloce passaggio
su questa strada di fondovalle
nella aiuola
di mesti fiori finti
guardo la tua giovane ridente fotografia
che è già fuggita via alle mie spalle.
E non mi consola
l’aforisma di Menandro
né il pensiero dell’immane cataclisma
che inghiottirà con la galassia
i nostri calcoli.
* Chi gli dei amano muore giovane – Menandro