Il tutto è forse un sogno?

Il silente turbinio

dell’eterno divenire

ogni realtà travolge

e trascina nel mondo dei ricordi.

Stagioni della vita

trasformate in memorie

sempre più sbiadite,

affetti e conoscenze

spinti verso mete

ai mortali sconosciute,

grandiosi eventi

e fatti insignificanti

inghiottiti dall’oceano oscuro

dell’irraggiungibile passato.

Ciò che siamo stati,

ciò che siamo e che saremo

finirà sulla strada dei sogni,

forse destinati a ripetersi

per l’eternità.

E allora un dubbio m’assale:

se la realtà è solo

un’umana illusione,

siamo tutti

delle larve inconsistenti,

dei brevi sogni

verso l’abisso del mistero fuggenti?


 

Sola nel vento

Sola cammino nel vento

da remote contrade qui giunto

portando sulle sue ali diafane

del mondo il respiro.

In un disperato lamento

l’eco ha raccolto

d’una potenza maligna

che l’umana stirpe

sta imprigionando,

i segni d’una stoltezza sanguinaria

che annienta in massa gli innocenti

in nome di un dio di vendetta mortale.

Questa sera vorrei essere il vento

per volare al di là

delle terre e dei mari,

vicino alle stelle,

e supplicare l’Eterno

di disperdere la malvagità

che in una rete di terrore

sta stringendo il mondo indifeso.

Ma il turbinio dell’aria s’acquieta,

in un lungo sibilo lontano si spegne…

forse per l’umanità senza pace

rimane un tenue filo di speme…


 

Foglie morte

Un tramestio d’inaridite foglie
s’ode lungo il viale
che nella bruma autunnale
è avvolto.
Verdi e vigorose
un tempo le foglie
l’ira delle tempeste
avevano sfidato e vinto,
alla dolce brezza mattutina
s’erano pigramente cullate,
al gorgheggiar degli uccelli
avevano unito il loro stormir.
Ora nei loro caldi colori
di trattener s’illudono
il vigore dell’estate lontana,
ma il soffio vitale le abbandona
e con un secco fruscio
dalla pianta amica
si staccano meste
come dalla vita i giorni nostri
che ad uno ad uno
vanno ad adagiarsi
sul viale senza fine
dell’irraggiungibile passato.


 

L’artista di strada

Sopra un ligneo piedistallo
l’artista di strada
sulle gambe s’afflosciava
per rialzarsi con estrema lentezza.
Teneva tra le mani diafane
un violino argenteo
come la sua lunga tunica,
scoperto rimaneva solo
il cereo volto
atteggiato a profonda tristezza.
/Sulla bacchetta del violino
appollaiati/
due minuscoli pappagalli

a tutti i movimenti s’adeguavano
con sorprendente destrezza
senza curarsi della gente
che stregata appariva
dalle soavi melodie
provenienti dal ligneo piedistallo.
A malincuore m’allontanai
da quella musica incantatrice
/che suonava come un irresistibile
richiamo/
verso misteriosi mondi perduti.


 

Immenso mare

Misterioso e immenso mare,
l’audacia tu possiedi
di resistere all’usura del tempo!
Dagli albori del mondo i tuoi flutti
ora schiumosi ora pacati
contro la riva si frangono
con moto che tregua non ha.
Dalla cosmica volta
continua la malinconica luna
a reggere il tuo ampio respiro,
seguita il vento ad accarezzare
le onde senza pace
o a scatenare furiose tempeste.
Il desiderio d’arcane realtà
/m’infonde la tua azzurrità
sconfinata/,
il piacere del vivere senza catene
avverto nel grido dei fieri gabbiani.
Nel perenne sciabordio delle acque
mi par d’udire
la rassicurante voce della Verità.


 

PICCOLO UOMO

Piccolo uomo, che credi
di poter impunemente
manipolare la vita e la morte,
che vanti strumenti prodigiosi
per dominare i naturali elementi,
nulla hai potuto
per mutare l’umano destino
quando i terrificanti sussulti
dell’oceano stravolto
hanno ridotto terre di paradiso
in limacciosi acquitrini
rigurgitanti di rottami
e di creature straziate.
Con la tua estrema fragilità
e con la tua scienza senz’anima
nudo sei rimasto, piccolo uomo,
sotto la furia travolgente
del nostro inquieto pianeta
che negli spazi siderei
errabondo va
come un oscuro grumo di polvere.


 

MALINCONICO AUTUNNO

Malinconico autunno
di un’esistenza
divorata in un baleno
dal silente turbinio
dell’eterno divenire.
Appannate memorie,
miraggi fuggiti
dalle finestre della vita
ed evaporati come neve
al tepore del sole,
cose del mondo
per sempre sfiorite,
affetti e conoscenze
senza rimedio affondati
nell’oceano oscuro
del tempo passato.
Vita nutrita
di fili di speranza
ormai aggrovigliati
e stanchi,
simili alle erbe secche del prato
che l’una sull’altra si piegano,
s’intrecciano o si spezzano
sotto le folate del vento autunnale.


 

CORAGGIOSA MADRE MIA

Mai un lamento
dal labbro tuo uscì,
coraggiosa madre mia,
mentre della sofferenza mortale
percorrevi l’impervio sentiero.
Con una tenerezza a me sconosciuta
scrutavano i tuoi grandi occhi neri
il mio cuore affranto
dove trovarono tutto l’amore
che nutrivo per te,
quell’amore che della realtà
è vera e unica essenza.
Non angoscia o disperazione
ma un ultimo, struggente addio
si manifestò nelle tue esauste pupille
prima che sulla magra landa terrena
si spegnessero per sempre.
Allora una parte della lacerata anima mia
vacillò e con te s’involò
verso l’inestinguibile Fonte del tutto.


 

PICCOLO UOMO

Piccolo uomo, che credi
di poter impunemente
manipolare la vita e la morte,
che vanti strumenti prodigiosi
per dominare i naturali elementi,
nulla hai potuto
per mutare l’umano destino
quando i terrificanti sussulti
dell’oceano stravolto
hanno ridotto terre di paradiso
in limacciosi acquitrini
rigurgitanti di rottami
e di creature straziate.
Con la tua estrema fragilità
e con la tua scienza senz’anima
nudo sei rimasto, piccolo uomo,
sotto la furia travolgente
del nostro inquieto pianeta
che negli spazi siderei
errabondo va
come un oscuro grumo di polvere.


MALINCONICO AUTUNNO

Malinconico autunno
di un’esistenza
divorata in un baleno
dal silente turbinio
dell’eterno divenire.
Appannate memorie,
miraggi fuggiti
dalle finestre della vita
ed evaporati come neve
al tepore del sole,
cose del mondo
per sempre sfiorite,
affetti e conoscenze
senza rimedio affondati
nell’oceano oscuro
del tempo passato.
Vita nutrita
di fili di speranza
ormai aggrovigliati
e stanchi,
simili alle erbe secche del prato
che l’una sull’altra si piegano,
s’intrecciano o si spezzano
sotto le folate del vento autunnale.


CORAGGIOSA MADRE MIA

Mai un lamento
dal labbro tuo uscì,
coraggiosa madre mia,
mentre della sofferenza mortale
percorrevi l’impervio sentiero.
Con una tenerezza a me sconosciuta
scrutavano i tuoi grandi occhi neri
il mio cuore affranto
dove trovarono tutto l’amore
che nutrivo per te,
quell’amore che della realtà
è vera e unica essenza.
Non angoscia o disperazione
ma un ultimo, struggente addio
si manifestò nelle tue esauste pupille
prima che sulla magra landa terrena
si spegnessero per sempre.
Allora una parte della lacerata anima mia
vacillò e con te s’involò
verso l’inestinguibile Fonte del tutto.