Disperata ignoranza

Un botto
E poi un altro
E un altro ancora.
Un morto.
E poi un altro.
E un altro ancora.
Un fiore.
E poi un altro.
E un altro ancora.
Delle facce esasperate
E poi delle altre
E delle altre ancora.
Una sola.
Una soltanto guerra.


Sogni nascosti

A quale poeta mancano le parole
che gli dicono del cuore?
A quale pittore mancano le immagini
che lo rendono tale?
A quale musicista mancano le note
che leggiadre smuovono i meandri
Polverosi del super io?
A quale uomo manca l’ossigeno
Che riempie i suoi polmoni di vita?
Al più scialbo ed effimero,
Al più piccolo tra gli uomini manca la materia dei suoi sogni.
Corri viandante di emozioni e ritrova te
O lasciati affievolire giacere e morire.


 

Non so come mi sono ritrovata in quel bosco, era buio e non so da quanto tempo mi trovavo lì.
Vagavo, cercando di capire dove fossi, volevo scappare, raggiungere la luce. Più volte ho sbattuto contro gli alberi, ricordo che il dolore era più forte dentro me, piuttosto che sulla parte del corpo dove mi ero ferita. Mi ricordo che avevo i piedi nudi e ogni sensazione era come amplificata, urlavo e mi dimenavo, ogni cellula del mio corpo era intrisa di terrore.
Poi l’adrenalina si impossessò della mia persona, ero come anestetizzata, mi ero calmata, una voce sibilante dentro me mi suggeriva di scappare. Non era il posto giusto, dovevo fuggire lontano; parlava lentamente, come se si stesse lamentando. Non sapevo se fosse la mia anima ma avevo deciso di ascoltarla. Correvo…
Mi graffiavano i rami più bassi che non riuscivo a vedere, e urlavo di nuovo…
Buttavo fuori la mia rabbia senza smettere nella mia corsa, non so per quanto tempo andai avanti e quanta strada avevo fatto ma più acceleravo più il bosco s’infittiva, più il buio s’incupiva…
Poi mi trovai stesa in un letto fatto di rami secchi, muschio e foglie, è stato interminabile il tempo che ho passato osservando il cielo, immobilizzata guardavo con profonda ammirazione ogni stella che lanciava quel minuscolo bagliore verso me. Per la prima volta contemplavo con immensa curiosità ciò che mi circondava.
Mi ero rassegnata al fatto che non c’era modo di fuggire, consapevole che la strada che avevo percorso non mi aveva portato da nessuna parte, aveva solo ingigantito le mie paure, mi aveva resa fragile, indebolita e assorbito le energie.
Decisi di esplorare quel bosco, il perché di ogni albero e la specialità che lo diversificava dagli altri. La mia inquietudine era andata scemando, lasciando il posto alla voglia di comprendere e capire perché io ero lì sola in mezzo alla foresta, e perché il buio era così eterno!
Scoprì che l’ambiente era suddiviso in parti, in una era da poco passato l’autunno provato dalla nudità degli alberi, scarni e con i rami delicati, le venature delle foglie giacenti per terra ben evidenti, profumavano di vissuto e si sbriciolavano facilmente. L’altra parte doveva essere in crescita, rigogliosa e vitale, il muschio aveva un odore forte, pungente e gradevole, ma ciò che mi rimase impresso era il cielo, scorsi la luna piena e un infinità di stelle, mi guardai attorno e mi chiesi se fosse sempre stato tutto così chiaro, limpido. Sono sempre stata in un ambiente magico, sotto un cielo nitido e meraviglioso, ma sopraffatta dalle paure, cercavo di scappare, cercavo soprattutto un prototipo di felicità che non soddisfava le mie aspettative.
Ho affrontato il mio dolore, prendendo la mia anima tra le mani e analizzando tutto ciò che la appesantiva, ho visto quanto di bello avesse da donarmi la sofferenza, e quanto questa rendesse ricca la mia vita. Ho capito che fuggire è impossibile, e preclude ad un mondo cupo. Combattendo con l’inquietudine e col male di vivere ero finita a diventare loro complice e il bersaglio ero io stessa. La mia solitudine era composta da un mosaico di emozioni che io avevo deciso di chiamare serenità, ma non era altro che terrore, paura di vivere.
Io sono Emma, questa è la mia storia di depressione, durata fino alla nascita di mia figlia Ginevra.
Il bosco era l’incubo che sognavo ogni notte e passavo le giornate a letto con la luce spenta e le finestre serrate. È stato lungo e difficile uscirne dato che l’ho passato mentre ero in attesa di Ginevra. È lei oggi che mi ricorda quanto la vita mi doni ogni giorno, mi ha insegnato ad apprezzare il buio e il silenzio, lei mi obbliga a non scappare davanti alle mie responsabilità, e a cercare la bellezza ovunque essa sia. Ovunque andrò so che ora c’è lei, scappare non mi serve più a nulla, basta guardare il verde smeraldo degli occhi di mia figlia per placare ogni tempesta, per farmi sentire a casa ovunque io sia! Basta questo per celebrare questa vita che pullula di meraviglie! Mia figlia è la prima!