Una non poesia

Non essere poetici:

Questo è il gioco del nostro tempo.

Amare, remare, su terreni rocciosi e pentirsi.

Non essere poetici:

È tutto ciò che riusciamo a fotografare con il braccio teso e torto.

Vorrei conoscere qual è la cosa più preziosa di ogni essere umano

per trovarne l’archè

accudendone lo spirito.

Mentre altro non siamo

che un ostacolo in bilico

tra la pressione del cielo infinito

e questo mare livido

che sbatte contro le rocce.


2015

Gli spazi abbandonati dentro noi

Sono pericolosi garage bui

dove fare a brandelli la speranza.

Ammassiamo rifiuti,

pesanti come corpi nudi

aggrappati a balconi di edifici in frana.

E mentre il terrore germina dal vuoto

costui, si trasforma nell’anticamera delle buone intenzioni…

La paura!

Il suo volto.


 Illusioni

Il mondo prilla di illusioni.

E quanto più intrisa di sicurezza è la nostra vita,

quanto più sicura

l’illusione cela la sua effigie.

L’equilibrio dell’anima

dietro i miei occhi.

Spina dorsale che vacilla come un ago sul puntale,

insieme ad ella, le mie profonde verità.


 

Madre Vesuvio

Una donna nuda, nuda Madre, ai piedi del suo uomo,

il suo uomo nudo, Vesuvio, che dall’alto del suo eroso capo

guardava il di lei ventre,

leso da oscura passione

e fugace vita, che invita, tra vichi,

il suono.

Una mano sulla bocca, tesa a sopperire respiri celesti

schiudendo gli occhi crepuscolari

la mano di Vesuvio

che chiude il respiro di Madre

chiedendole di crescere per Lui

Soffrendo,

Per Lui.

Una sofferenza, che solo Lei

la sua donna

colorata d’erba, sbocciata su creta rossa,

può celare in un gemito

di gaia e sussultoria

poesia.

“Io ti nutro di me,

per aiutarti a morire di vita.”


Parole autostoppiste

Ho provato a frequentare il mondo.

Continuamente in cammino,

pur sbagliando solitudini, inciampo in parole autostoppiste.

Sono parole inibite, quelle che hai sulla punta della lingua.

Chiedono di venir fuori con un passaggio “bocca a bocca”

Ma gli anni settanta sono morti!

Questo è il tempo delle lunghe attese sui cigli delle autostrade.

Questo è il tempo delle distanze, delle sofisticate solitudini.

Tali minuzie, sono cosi dettagliate da perdercisi,

Ed io mi ci perdo, si.

Perché sono allo stremo delle forze,

così, lascio le parole sul tavolo…

e che si perdano pure, come mazzi di chiavi.


Cornici

Era brina sulle antenne dei palazzi,

era sera, era un grazie.

Legammo il cuore al parapetto di un edificio,

La sua lingua sudava come inchiostro sciolto su carta,

La presi tra le mani e ne feci un aeroplano.

Mentre allacciavo un passo dietro l’altro dissi

<<scegli una gabbia da cui scappare>>.

I suoi gomiti erano consunti, mentre trascinavano

Il peso del corpo senza gambe.

Eravamo ritratto di un’idea stratta,

una cornice senza dipinto,

<<presto o tardi ci perderemo>> pensai.

Di quanto fummo conservo la brina, colore gentile e ispido come il freddo

E la carta, fedele amica e arma segreta.


Vorrei fosse subito notte

Qui, raccolgo semi persi nell’aria da un fiore-soffione.

Metto nelle ossa, titanio, che impianta e barrica il mio profondo.

Raccolgo tutti i sorrisi del passato,

mi ricordo che il tempo da vivere è il presente.

Nessun decennio trascorso, deve darsi scusanti

per dimenticare le “piccole cose”.

Piccole cose, parlano di desideri inespressi

chiedono fiori selvaggi senza ricorrenze.

Piccole cose equidistanti tra due uomini,

che legano e ammortizzano bisogni, necessità, vita.

Se dimenticate, si trasformano in melanconie:

Orrore!

Vorrei fosse subito notte,

Che le luci perdessero vita,

La memoria, i suoi ricordi in bianco e nero.

Parlare al mio nome per lenirne la forza centrifuga degli affanni.

Vorrei la notte per desiderare il sonno,

a forza del buio che copre la camera oscura degli occhi.

Tenere una sigaretta tra le dita per scandire il tempo che passa tra le mani.

Vorrei che il muscolo primario del mio corpo potesse riposare

E poi vorrei sorridergli,

ancora.