Kenón

Il cháos ama i burroni poiché sfrutta la notte e domina il
buio
Non teme né l’oscurità né le tenebre
Non ama Gaia sebbene padre di dodici figli che abitano
l’Olimpo
Invidia gli uomini benché mortali, anche se ossessionati
dall’immortalità
Cháos tu che hai generato il Fato, dimmi quale sarà il mio
destino?
Egli così parla: nello spazio vuoto tra terra e cielo
L’uomo resta stupito dall’enunciato del cháos
Il cháos così parla: io sono perfetto e immortale,
Io sono il numero indivisibile, tu quello divisibile
Io sono l’Erebo senza fondo e la Notte anch’essi figli miei
Prendendo sembianze d’upupa,
L’upupa dà all’uomo la soluzione:
Ti darà due monete d’oro per il traghettatore del fiume
Stige

 


 

Troia

L’alba riempì di lacrime l’infinito
Col ferro e col fuoco crollò Troia
Città che brillò come un labirinto senza fine
Tutto rovinò la morte

Tutto rovinò la morte
Come quando Achille dal piè veloce freddò Ettore
Occultandone il cadavere
Che Priamo riscattò baciandogli le mani

Così caddero i giardini gioiosi
Caddero come l’infinitezza di questa leggenda
Quando Achille fiutò la morte
Troia fu per lui la sua seconda patria, straniera

 


 

NYX

La sera è stanca di perdurare
E si abbandona alla smodata voracità della notte
Inciampo in una cacofonia di vocali
Interrotte da una smisurata indolenza di regole
Vi lascio ai grotteschi riti
Di un gioco orientato al massacro
In un tempo immoto e muto
Mi abbandono in questo clima dai contorni deludenti
Dove la violata luna illumina questo cielo nero

I vecchi raccontano che gli uomini, un tempo
Facessero un’antica ballata attorno a un falò
Alla fine, si narra, che sciamassero stanchi fino a casa