Eric si svegliò di buon’ ora e, subito, si affacciò alla finestra.
– Finalmente il sole! – Esclamò soddisfatto, guardando la donna sdraiata sull’altra metà del letto, che ancora dormiva.
– Sveglia, dormigliona! C’è il sole ed è domenica! Alzati e preparati in fretta: andiamo a Camden Town!¬ –
Quindi, le si avvicinò; delicatamente le scostò i capelli e, con dolcezza, la baciò sulla fronte:
– Sarà bello, vedrai –
Sussurrò, accarezzandole il capo.
La donna aprì gli occhi e osservò attentamente il ragazzo con l’espressione di chi ha bisogno di riordinare le idee. Dopo un attimo, però, lo sguardo le s’illuminò; salutò Eric ed il giorno con un sorriso e, sollevata la schiena restò, in silenzio, seduta sul letto.
Eric s’infilò con molta attenzione i suoi vecchi jeans sbrindellati e la maglietta lasciata cadere vicino al letto la sera prima.
– Ma siamo ancora a Londra?-
Chiese la donna, sempre seduta sul letto.
– Si, siamo ancora a Londra, e dobbiamo farci un’ ora di metropolitana. Vestiti in fretta: se non arriviamo presto, perdiamo i posti migliori -.
¬La donna allora si alzò e uscì dalla stanza, canticchiando allegramente. Eric restò ad ascoltare: non conosceva la canzone, ma l’aria gli ricordava una vecchia ballata irlandese che gli piaceva molto, così prese il suo violino e provò ad accompagnare quella bella voce. Suonava ad orecchio, ed era bravo.
La musica lo trasportava e lui trasportava chi lo ascoltava.
La donna smise di cantare e rientrò nella stanza ballando.
– Che bella musica, non puoi ascoltarla e stare ferma…ah, sei bravissimo!-
E, di colpo, si accasciò sul letto fingendosi esausta.
– Dobbiamo andare!-
Disse il ragazzo, smettendo di suonare.
La donna si alzò, si accomodò l’abito di cotone chiaro che aveva indossato e restò in attesa, dondolandosi come una bambina.
– Sei molto elegante –
Osservò Eric, prendendo la custodia in cui aveva riposto il violino e avvicinandosi all’uscio.
– Con la pioggia che c’è stata, il frigorifero si è proprio svuotato; ma oggi ci rifacciamo!-
Continuò poi, quasi parlando tra sé.
Quindi, dopo un’ultima controllata al suo incredibile ciuffo di capelli multicolore, aprì la porta, prese la donna per mano ed uscì.
Arrivato a Camden Town, Eric trovò subito un buon posto vicino ai canali.
Alcune bancarelle erano ancora chiuse, ma c’era già gente: il ragazzo tolse rapidamente il violino dalla custodia ed iniziò a suonare.
La donna, seduta sul marciapiede, restò per un po’ in silenzio ad ascoltare e osservare poi, finalmente catturata dalla musica, si alzò ed iniziò a ballare passando tra la gente e coinvolgendola nei suoi passi di danza.
Lui suonava con maestria e gioia, lei si muoveva con grazia e, a tutti, regalava un sorriso. Così, tra i tanti divertiti curiosi, non pochi lasciarono cadere qualche spicciolo nella custodia del violino.
Si fermarono solo dopo diverse ore, lasciandosi teatralmente cadere sul marciapiede.
Erano entrambi sfiniti, ma la donna sembrava più bella di prima.
– Oh Eric, che bello…Come mi sono divertita! Sono brava? Vado bene? Non mi riporti in quel brutto ospedale, vero?¬
– Non ti lascerò mai più sola, mamma. Anch’io sono…¬
La donna lo bloccò mettendogli con dolcezza una mano sulla bocca.
– Oggi è la prima volta che mi chiami mamma…-
Sussurrò accarezzandogli il viso.
Eric sorrise, raccolse il denaro che aveva ricevuto e cominciò a contarlo con molta attenzione.
– Venticinque sterline! Oggi ci abbuffiamo!-
Esclamò soddisfatto.
La giornata era stata davvero proficua.
Il ragazzo e la donna si alzarono e, prendendo la strada lungo il canale, si allontanarono canticchiando una canzone che ricordava una vecchia ballata irlandese.


Lei, sorrideva

Seduto pressappoco
sull’orlo della sera,
guardavi il mondo
con indifferenza;
negli occhi avevi l’ombra
dei sogni d’una vita,
sul viso
disegnata la fatica
e quei momenti,
riempiti dall’attesa
di un altro giorno
che si ripeteva…

Nella penombra
scendevano le ore
sopra la polvere
del tavolo in cucina;
e le tue notti
sapevano di muffa
che ricopriva
il tanfo dei lenzuoli,
come l’odore
del cibo riscaldato
che rivestiva ormai
tutti i pensieri…

Ma qualche volta, so,
sentivi quella musica,
quel valzer mozzafiato
di tanto tempo fa.
Così ti alzavi
un poco barcollante,
mentre la stanza
di blu si colorava,
e con lo sguardo attento
lei cercavi,
quella di un valzer
di tanto tempo fa…

Lei sorrideva
E a te s’avvicinava
scostando quel silenzio
che la circondava…
Poi con dolcezza
la mano sua baciavi,
l’orchestra riprendeva
il ballo cominciava
e tu,
con lei che ti sfiorava
e tutto attorno che brillava,
volavi sopra il letto
e ai piedi tuoi il mondo,
che girava…

Ma quella notte, so,
il ballo non finì
un colpo forte al cuore
e la musica cessò…
Così la morte arriva,
quasi sempre da nemica,
ma quella notte no,
non fu così,
perché con quella donna
ancora lì vicino
e l’animo disperso
nel suo viso,
sciogliesti la tua vita
in un sorriso.


L’ultima estate di Klingsor.

Il colore è vita,
è superficie,
e delle cose è
la pelle sua più fine…
Ed è con il colore
che vi racconterò l’estate,
l’ultima mia,
non so se la più bella,
ma certo, tra le tante,
proprio quella
che vide al suo crepuscolo
lasciar l’anima mia
dipinta su una tela
assieme al volto,
ai cento volti miei,
e ai volti della storia
del pianeta
che come un lampo
davanti a me passaron
come succede
nell’attimo finale
della vita….
Estate magica fu
quell’estate mia,
intensa e profumata
come il vino,
rosso robbia la sera
e cinabro al mattino.
Il viola del cobalto
avea la notte,
che accompagnava
con la paura
il riso
per quelle dieci vite
che davvero
nemmeno una
consumar volevo.
Ma il giorno…
il giorno del verde Veronese
i campi colorava,
e di quello cobalto
i monti dipingeva,
lasciando all’acqua
il color dello smeraldo,
ed al sole e all’amor
il giallo e rosso cadmio
del passeggiar lambendo
sulla strada
il grano che s’inchina
alla delicatezza del papavero…

Per un’estate
e per la vita intera
i miei quattro colori
mi bastavano.
Ma per la morte no,
non so il colore
e mai l’ho voluto
ricercare…
Perché la morte
è la fine del colore,
ed io la sfido
restando sempre in piedi:
la penna ed il pennello
in una mano,
ed in quell’altra
un calice di vino
e l’indomata voglia
di stare ancora in piedi,
ancora,
ancora e sempre,
ancora un’altra volta
brindando con la gioia
e con la rabbia
al mio mattino….