Tu ridi

Tu ridi.
La piega
delle tue labbra
curva
l’equazione del Tempo.

Forse…
non c’è forse,

il suono scandito
del diapason di Giove
s’insinua
nella cruna
degli anelli di Saturno
un filo
un rigo
note sontuose.

Tu ridi.
L’iride
dei tuoi occhi
raccoglie l’invito
del vento.

Forse…
non c’è forse,

canzoni
di foglie mattutine,
crepitio di rami
cortecce sonore.
Orchestra
di campane
di cristallo
e usignoli.

Tu ridi.
Le tue mani
scrittura ardente
tatuata
su di me.

Forse…
non c’è mai forse,

il corpo mio
si fa pelle
di seta
e sete
del corpo
tuo.
Danza d’estasi
è la voce
tua
scolpita nella mia.


Amore mio

Amore mio
io non so
di lirica
e metrica
geometrica.
Io so
del vento di brughiera
che profuma le tue labbra
di erica selvaggia.

Selvaggia io sono,
il mio corpo
nato in un pensiero
di fuoco,
le mie mani
calde della sabbia del Sahara
i miei occhi
accesi nei tramonti di lava
la mia anima segreta, nuda nella tua.

La tua
declama sonetti shakespiriani
e cantiche dantesche.
Raccontami, ora,
la poesia notturna
di boschi assonnati
versi mai scritti
di gufi e civette
in volo nella boreale aurora.

Aurora stregata
incanto di maga straniera
che ruba furtiva
il sospiro nei tuoi sogni.
Tra il ventaglio regale
delle ali del falco,
traspare la tua pelle bruna
screziata di antica ambra
e frammenti di luce; è giorno, amore mio.


Trentadue versi

Trentadue versi,
simposio di rime
dodecafoniche
vocali sincopate
di jazz notturno
tasti in bianco e nero
al chiaro di luna
piena di acque materne.

Trentadue versi,
parola e verbo
costruttori di genesi
immortale.
Abbaglia la luce
occhi neonati
battezzati
dalle Muse di Omero.

Trentadue versi,
graffiti di buddha
sutra di Siddharta
leggiadre aerografie
su pagine di muri metropolitani.
Sotterranee voci
pendolari tra natura e asfalto,
il mondo è illusione.

Trentadue versi,
alba boreale sui pensieri dei poeti,
in attesa dell’ultima riga.
È il finale,
difficile blackout
o ispirazione sfolgorante.
Il simposio è finito.
Domani sarà un’altra rima.


Settembre

Solfeggio
di foglie danzanti.
Voce di maestrale,
emissario di acqua marina
risacca
scandita da note
di un altro tempo
vicino
eppure lontano.
Vento
odoroso di pioggia
di terra muscosa
in giorni
tiepidi e quieti.

Si perde il pensiero
tra arabeschi
di rami
vestiti di tramonti
infuocati,
e volo di uccelli
timonieri
verso mondi lontani
stelle attese.
La notte abbaglia
di silenzi lunari,
vendemmia di lucciole
sogni sbocciati
nel crepitio dell’aurora.


Figli

Fiori di loto
nati impazienti
nel fango di humus,
steli incerti
dormienti
cullati
nel tiepido stagno
di acque di donne
lunari.

Genealogia stellare
rami di nebulose
figli nostri,
forse per un po’.
La Terra li attende
curiosa
affascinata
dal loro profumo.
Chi sono?

Danzatori,
folli dervisci
ruote di fuoco
sul ciglio
dell’abisso.
Aggrappati
all’urlo della tigre,
cantano alla paura
sconosciuta.

Seduti
sul tetto del mondo
ridono nel buio
di una notte
senza luna.
Mano nella mano
raccontano storie
di selvaggia purezza,
ricordi di altri sguardi.


Canto

Richiamo

sul ramo sonoro.

Chiara voce

di usignolo

innamorato della vita.

Musica in cielo,

azzurro

di note celesti.

In terra

si innalza

il canto degli umani.


Perle

Nebbia d’estate.

I miei occhi svelano

il sole sbocciato

tra gocce di rugiada

mattutina.

Il giorno

si veste di perle.


Luna

A passo di danza

colorata luna

le tue note ascolto,

altalena di luci lontane.

Gli occhi miei

sognano
mani

che accendono stelle

in attesa dell’aurora.