IRA

 

Latente impeto che da frustrazion scaturisce,

Ira primordiale la cui nervosa bile la ragion digerisce,

Giacché le viscere odo d’odio contrarsi,

Inverecondo ti scongiuro d’arrestarti;

 

Di ribellion l’istinto entro me si manifesta,

L’ascesa d’esso al di me controllo giunge lesta,

Le mani a danno del mondo mi costringe a brandire,

Grida bestiali dalla bocca mia suole far fuoriuscire;

 

L’avanzata di colei ch’è dell’intelletto tiranno procede,

L’esondazione dello Stige dalle mie vene la precede,

Il suolo che calpesta dalle isteriche vampe è arso,

Il mio spirito vi arranca piangendo, scalzo;

 

I nervi son vermi che la pelle divorano:

Sotto l’incandescente manto pullulano,

Infine da fronte e tempie emergono,

E ‘l viso sfigurare sogliono;

 

L’attesa è logorio per l’iracondo,

Nel suo petto riecheggia un rombo,

Quello del cuore ch’è dalla rabbia pervaso,

Il cui pulsar scandisce lo scorrer del tempo vano…


TUTTO

 

Nell’anfratto delle recondite possibilità la conobbi,

Subito l’aurea aura che l’adorna riconobbi,

Onde mirar il viso suo il mio collo si torse:

S’incrociarono poi si repulsero gli occhi: Altrove il mio sguardo volse;

 

La di lei reminescenza il pensier m’invase,

Di Venere l’ancestral ascendente mi pervase:

Era l’amor idilliaco a colei rivolto,

Lieto pantano in cui annaspavo scorgendo il suo volto;

 

O esile e sinuosa, sensuale e sontuosa Musa della bellezza,

La vision tua la sinestesia dei sensi innesca:

Melodici e aulenti rai di luce variopinta irraggi,

D’esser creatura terrena l’osservator comune inganni;

 

La lotta per l’equilibrio entro la dual natura tua imperversa,

Ch’è introversa eppur estroversa,

Ossimorica analogia introspettiva:

Puerile pur risoluta, creativa pur intuitiva, schiva pur aggressiva;

 

O Poesia incarnata che psichiche istanze alla mente mia sottrasse,

Soggiogando l’Io e il di me restante,

Nel mio misero mondo l’assenza tua è un lutto,

Che nel mar di relativi concetti sei l’Assoluto: Tutto


MONOLITE

 

Al pari d’un tetragono monolite invincibil m’ergo:

Dall’oscur acque del travaglio ritto e ratto emergo

E ‘l madido d’amar lagrime viso tergo,

Che s’infransero su me di tempesta marosi,

A ogn’impatto men mesti e sì impetuosi;

 

Rimembro ‘l nubifragio che rival fummi d’angoscia pervaso,

L’erosion sua permise ch’i’ fossi di fluido terror invaso:

L’estinzion di tale fu per gl’intimi tormenti panacea,

Il medesmo ‘l qual osar proibìmi, ch’immortal parea,

Dal timor del suo protrarsi estinto,

Dal disio d’un inedito vigor vinto;

 

Or qui al pari d’un monolite l’orizzonte torreggio:

Frai lieti pensier collo spirto volteggio,

Socchiudo gli occhi e colla greve mol mia giaccio:

Il superfluo alla vision precludo, compiacente in cor mio esulto, e taccio.