Far fallace l’apparenza
Ci conosciamo?
Mi rispondi con folate di presenze,
rispetti i miei movimenti
e poi torni a cercarmi.
Chi sei?
Stiamo contemplando la nostra unione
in forme troppo fragili per somigliarsi.
Mi esplori,
ti osservo,
ma sentiamo di andare oltre le sembianze.
Mi riconosci?
Ci stiamo incontrando al termine della consapevolezza:
mai saremo eterni,
talvolta saremo distratti,
sempre saremo attratti
dall’inconfondibile molteplicità:
l’illusione di essere incompatibili.
Tu puoi volare,
io posso volerlo,
un istante può renderci,
di nuovo e finora,
violatori delle nostre incapacità di trasformarci.
Abbiamo mani di cornici,
ma i capolavori non hanno memoria
per esprimerci questo intimo contatto.
Ci trasmettiamo ciò che ci stiamo lasciando:
la metamorfosi è saggezza incompleta per questa realtà.
Testimone di percorsi incerti
Provo repulsione verso ciò che mi risucchia
presto o troppo tardi
il presente mi rosicchia:
chiave d’apertura sconosciuta alla mia sosta,
serro gli spiragli d’imprudenza alla tempesta.
Mente alacremente in moto,
arresa a proiezioni,
non importa se poi vere:
l’uomo dorme d’illusioni.
Conto i passi indietro nell’ebbrezza del progresso,
so che chi lusinga si trastulla nell’eccesso.
Perdo le scommesse non trovando prospettive,
nutro le certezze di chi assorbe aspettative.
Vuoto nuove tasche alla ricerca del difetto
nuovo o forse vecchio
per cui vivo senzatetto.
La parte che non cerchi
La parte che non cerchi assolve i tuoi giudizi,
rincara le tue dosi di bisogno degli sfizi.
La parte che non cerchi combatte contro tutti,
assorbe i suoi nemici nonostante sian distrutti.
La parte che non cerchi aspira all’indecenza,
ammira le tue ombre di bugiarda appartenenza.
La parte che non cerchi esplora nuovi mondi,
ignora le conquiste di pianeti più rotondi.
Pertanto che ti vale ambire a perfezione,
riunire la tua sorte in quel che credon le persone?
Che tu possa trovare
partenze all’arrivo,
rispetto all’oltraggio,
saggezza al bambino.
Che tu possa sentire
te stesso nell’altro,
amore nell’odio,
certezza nel salto.
Che tu possa mostrare
gli estremi alla legge,
gli istanti all’eterno,
i molteplici all’uno.
E allora quella parte
non serve non cercarla:
la vita poi ti insegna
che dovunque ti appartiene.
E poi arriva il mare
Pensi a come vuoi che ti desideri,
aspiri a realizzare ciò che hai.
Mi rendi incapace di raggiungerti:
ti allontani perché mi avvicini.
Osservi le nuvole e vaneggi
su quando ti mancherà la sicurezza,
quando invidierai la libertà.
Torni la bambina che mi rende uomo
mentre accarezzo la tua mano:
stringe forte ciò che rimane
delle mie ridicole parvenze.
Sabbia in un bicchiere
mezzo pieno d’ebbrezza:
il tempo di sostare dentro un sorso
e poi arriva il mare.
Non più noi, ma più che mai noi stessi
Ferma.
E’ un attimo
il nostro abbraccio.
Sfugge allo sguardo,
al contatto,
al destino.
E’ un capriccio del tempo,
un meandro
dell’inestricabile
intimità.
Assaporalo.
E’ inafferrabile,
ma non fa differenza:
è lì e ti si offre
oltre le raffiche
d’indifferenza.
Accoglilo.
Lascialo pervadere
tutta te stessa.
Accompagnalo
a visitarti.
Non trattenerlo:
rispetta la sua natura.
Illuminati,
risplendi come le onde
attese dagli scogli:
spose in un incontro,
amanti nel ritorno.
Siamo fiamme danzanti
su cristalli di cenere:
le pietre preziose
del nostro procedere.
L’eterno ritorno
Comincio a credere di chiamare controvento:
sento le mie parole
schizzarmi addosso,
gocce impazzite di rimpianti,
incapaci
di localizzare bersagli,
di vagare ammutolite nelle piazze,
di starsene zitte nella mia testa.
Ritornano indecise
da dove ricordano,
risentite
da dove originano,
dirette
da dove vengono.
La ritorsione
è la manovra
delle anime sincronizzate
su ritmi troppo rettilinei:
non si sanno adeguare
alle sinuosità,
s’inceppano
su frequenze insostenibili
e piombano a capofitto
dall’alto del picco.
E mentre la caduta le condanna a se stesse,
tendono i muscoli
per avvolgersi alla vita,
farci un bel nodo
e penzolare dalla fune,
sopra l’abisso:
attimi di prigionia
in balia
del proprio
troppo
orgoglio.