Il Colloquio

Quel venerdì mattina Giovanni entrò in macchina per recarsi ad Asti per lavoro, come quasi tutti i venerdì. Scese le scale di fretta, con la consueta camminata nervosa. Il cellulare già vibrava nella sua tasca alle otto e un quarto  di un ancora fredda mattinata di un aprile che non voleva saperne di lasciare il passo alla primavera.

Dovendo essere a presiedere un Consiglio di amministrazione per le dodici e mezza aveva tutto il tempo di partire con calma, attraversare il Piemonte e fare tappa in un paesino della provincia di Alessandria allo scopo di ordinare delle finestre per la casa nuova della figlia Elena che si sarebbe sposata l’estate successiva e stava procedendo alla ristrutturazione e all’arredamento  della sua nuova dimora.

In quel paese, Cremolino,  avrebbe avuto l’occasione di prendere un caffè con un potenziale cliente.

Giovanni infatti oltre ad essere presidente del consiglio di amministrazione di quattro società di cui due in Piemonte, una in Liguria, e una in Veneto, era anche consulente finanziario in proprio e proprio in relazione a quest’ultima attività avrebbe incontrato a Cremolino per le dieci questo potenziale cliente.

Era tutto cronometrato, in tre quarti d’ora da Sestri avrebbe raggiunto Cremolino, quindi per le nove, un oretta per parlare con il commerciante al quale comunicare di aver accettato il preventivo per le finestre e cercare comunque di strappare un ulteriore sconto quindi una mezzora per il caffè con il futuro cliente (non ammetteva nemmeno la possibilità che non sarebbe riuscito a convincerlo a comprare le obbligazioni che gli proponeva) ed infine un’ora e mezza per giungere con un buon anticipo ad Asti, prendere un aperitivo veloce che avrebbe sostituito il pranzo e presiedere finalmente a mezzogiorno il consiglio di amministrazione della Firex Spa.

Il cellulare già stava squillando, era un sms, con impazienza lo estrasse dal taschino della camicia preoccupato che fosse appunto il potenziale cliente di Cremolino.

Aprì il display e ….no, era Simonetta. L’ sms recitava: “ Ciao amore, stasera cena al solito ristorantino vero? Poi dormi da me? Ti aspetto con impazienza. Non mi deludere! Baci.”

Simonetta era una giovane designer di Asti, da lui conosciuta tramite i soci della Firex a una cena aziendale, una di quelle “cene barbose d’affari” come le definiva quando si scusava con la moglie per o il ritardo o addirittura la nottata passata fuori. Quella giovane e sensuale ragazza era diventata rapidamente una delle sue amanti.

Giovanni infatti lavorando spesso fuori Genova aveva occasione di incontrare e intrecciare relazioni con donne diverse e attraverso queste relazioni si “distraeva” dalla noia dell’ordinario menage matrimoniale.

Era sposato con Luisa che aveva conosciuto all’Università, era stato fidanzato fedele con lei per quattro anni e ora era sposato da ventidue anni e mezzo ricchi di “distrazioni”. Nel mentre aveva avuto i due figli, Cristiano e appunto Elena che si sarebbe sposata a luglio.

Luisa era professoressa universitaria di economia aziendale e insegnava a Genova, inoltre collaborava con uno studio di due suoi amici commercialisti.

Tentennò il capo, ripose il cellulare nel taschino riservandosi di rispondere più tardi. Amava farsi desiderare e non dare subito la sua completa disponibilità, inoltre era diverse sere che Luisa lamentava le sue continue assenze serali e quindi Giovanni non aveva ancora sciolto la riserva.

Aperto il portone fu abbagliato dai raggi del primo sole di aprile, si stropicciò gli occhi e vide la sua bmw grigio metallizzata scintillare sotto i raggi solari. Ebbe il consueto sorriso di soddisfazione.

Entrò in macchina, ripose la 24 ore sul sedile posteriore, si sedette al posto di guida, indossò gli occhiali da sole e mise in moto. Valutò la temperatura interna quindi decise di  togliersi  la giacca, si rialzò per poggiare la stessa ben piegata sempre sul sedile posteriore accanto alla 24 ore, si risedette e finalmente mise la prima e partì.

Pensava che forse sarebbe riuscito, utilizzando il suo ascendente e le sue radicate capacità di persuasione, a strappare altri 4.000 €  di sconto sulle finestre che si accingeva a comprare. Non lo preoccupava tanto il consiglio di amministrazione: la Firex Spa viveva un buon momento, non risentiva tanto della crisi economica e il fatturato era abbastanza consistente, e lui avrebbe dovuto semplicemente relazionare sul budget annuale.

I pensieri si accavallavano uno sull’altro, veloci come cavalli al galoppo su una spiaggia sull’oceano, non lasciavano traccia in quanto cancellati dalle ondate di un mare abbastanza agitato.

La sua mente passava dalle finestre della nuova casa di Elena all’università del figlio Cristiano il quale si era iscritto da poco ma non mostrava grande entusiasmo per gli studi e gli esami da dare, per poi pensare a Simonetta (e un sorriso incerto gli si disegnava sulle labbra) e quindi ritornare ai conti della Firex e così via.

A un certo punto decise di interrompere il flusso dei suoi pensieri accendendo la radio. Stava entrando in autostrada quando veniva segnalato dalla radio stessa un incidente avvenuto subito prima di Ovada. “Che sfortuna” pensò “va beh, tanto devo andare a Cremolino quindi invece di scendere a Ovada posso scendere a Masone e fare la statale”

Immediatamente cambiò stazione alla radio e una vivace musica anni settanta penetrò nell’abitacolo.

Per un attimo gli vennero in mente le sagre paesane alle quali si recava da giovane nelle serate estive dove l’unico pensiero era bere, divertirsi e possibilmente “rimorchiare”. Gli venne in mente Vanessa, la sua prima ragazza conosciuta a sedici anni proprio in occasione di una di queste feste.

Uscirono insieme sei mesi. Ricordò con tenerezza queste sue prime esperienze e pensò che in fondo bambini si rimanesse sempre.

Era una mattinata gelida e tersa dei primi di aprile, il traffico procedeva scorrevole, la sua guida procedeva tranquilla, nei tempi stabiliti. Sembrava che avesse programmato anche di dedicare una decina di minuti a questi ricordi: Vanessa, il primo bacio, la lite con Antonio, suo amico storico e innamorato della stessa ragazza che però aveva preferito lui, Cosimo ubriaco, il “boss” della compagnia che faceva sempre il bullo per poi concludere la serata riverso vicino al cassonetto della spazzatura. Erano ormai parecchi anni che non  vedeva più entrambe. Il cellulare interruppe quel momento di quiete, era la suoneria di una  chiamata, non un sms. Quasi con stizza lo estrasse, vide “Cristiano” sul display e rispose. Era il figlio che gli chiedeva se la sera sarebbe rientrato perché avrebbe voluto la macchina per andare ad una festa con gli amici. Aveva anche la vecchia Golf  ma preferiva la bmw, ovviamente per fare una migliore figura.

Cristiano era il figlio maschio che lui aveva sempre desiderato quindi gli perdonava spesso molto. Il giorno prima tuttavia non aveva dato un esame e questo lo aveva irritato  parecchio, ora gli chiedeva questo. Gli rispose che non poteva perché l’indomani in mattinata avrebbe avuto un ulteriore riunione di lavoro e l’ultimo appuntamento serale era ad Asti alle otto di sera (ovviamente con una riunione straordinaria e non con l’amante). L’aveva deciso in quel momento, in effetti era ancora indeciso se accettare l’invito di Simonetta o tornare a casa dalla moglie, che in effetti era un po’ di tempo che stava trascurando.

Però no, la bmw non gli andava di lasciarla al figlio dopo l’ennesima delusione universitaria.

Onde evitare di dirgli espressamente di no e discutere al telefono aveva trovato quella scusa.

Finita la telefonata era arrivato al casello di Masone. Uscì e si introdusse nella statale in direzione di Ovada, quindi una volta nel rettilineo inviò un sms di risposta a Simonetta: “ Certo amore, ci vediamo alle sette e mezza sotto casa tua” Ripose nuovamente il cellulare nel taschino e proseguì a guidare. Rallentò, era in leggero anticipo, cambiò stazione alla radio e ascoltò un radiogiornale.

Descriveva l’ennesimo attentato nel Medio Oriente, i suoi pensieri iniziarono ad accavallarsi nuovamente, dall’attentato alla situazione politica attuale, a Elena, alle finestre, a Simonetta, a Cristiano e infine a sua moglie Luisa con cui avrebbe nuovamente litigato, quindi di nuovo a Elena e così via.

Immerso nel frenetico andirivieni dei suoi pensieri non si era nemmeno reso conto di aver attraversato Campoligure  e di stare uscendo da quel paesino, prese una curva un po’ più in velocità del solito e il camioncino che viaggiava in senso opposto gli suonò. Lo mandò a quel paese e proseguì. Entrò in   Rossiglione,  nella strada da lui percorsa l’ultimo paese prima di arrivare in terra piemontese. Vi entrò a velocità abbastanza sostenuta, prese atto del cartello di velocità controllata che invitava a rallentare e svogliatamente decelerò.

Percorso il tratto urbano potette nuovamente accelerare e volò le curve che lo separavano da Gnocchetto, prima frazione del Piemonte. Giunto nel rettilineo vide un uomo in mezzo alla strada che camminava barcollando. “Sarà un barbone” pensò. Rallentò bruscamente e gli suonò ma sembrava che l’uomo non si spostasse dal centro della strada. Rallentò ulteriormente ma l’uomo  continuava a non spostarsi. Si fermò, aprì con stizza il finestrino per insultarlo ma questi gli sorrise. Puzzava completamente d’alcool, gli disse: “ Saprebbe mica dirmi dov’ è il campo dei ravacoi? Dovrebbe essere da queste parti ma non riesco a trovarlo. “

L’uomo gli mise le mani, allungate attraverso il finestrino aperto, sul cruscotto quindi Giovanni non poteva partire perché lo avrebbe travolto. Lo guardò con odio e gli rispose: “ Che vuole che ne sappia! E poi che cosa sono i ravacoi?” “ I ravacoi?! Come cosa sono i ravacoi?!!!! Lo sanno tutti! Sono quelle piante simili ai ravanelli…o no, forse ai cavoli” Era completamente ubriaco.

“Guardi” rispose con irritazione Giovanni  “Non ne ho idea e nemmeno lei a quanto pare. Sono piuttosto in ritardo, vuole essere così gentile da lasciarmi andare?” Ma l’uomo non l’ascoltava e proseguiva. “Eppure erano su da un sentiero da queste parti. Mi sembra su da quella quercia ma vedo solo alberi!” “ E provi a passare attraverso gli alberi!” Esclamò Giovanni piuttosto spazientito.

E cercò di spostare la mano del vagabondo dal cruscotto. Nel frattempo due macchine lo sorpassarono e l’ubriaco si accasciò completamente sulla portiera. A questo punto Giovanni dovette accettare l’idea di scendere dall’auto e chiamare il 118. Così si accingeva a fare chiedendosi se proprio tutte a lui dovevano capitare! Digitò nervosamente i tre tasti e chiamò l’ambulanza, spiegò la situazione e attese con pazienza. Nel frattempo il vagabondo farneticava di ravacoi, cavoli, cinghiali, animali, Dio, la terra, l’universo ed altro ancora. Era impossibile trovare un senso alle sue parole.

“Maledizione, arriverò in ritardo!” pensò furente.

Squillò il cellulare, era un socio della Firex che gli chiedeva conferma sui dati che la sera precedente gli aveva inviato via e mail. Seguì un breve colloquio di lavoro. Subito dopo giunse l’ambulanza e dovette dare le spiegazioni del caso su ciò che era accaduto. Soddisfatti della spiegazione i conducenti dell’ambulanza caricarono a bordo l’ubriaco e andarono via con la sirena che suonava. Giovanni risalì in macchina e con stizza mise in moto e accelerò.

“Perché scappi? Dove stai andando?” sentì una voce. “Dove vuoi che vada?! A Cremolino a comprare finestre  e poi ad Asti per lavoro, ma a te che interessa? Chi sei poi?” rispose macchinalmente Giovanni.

“Come chi sono?! Io sono l’uomo, quello che c’è sempre stato e sempre ci sarà. Sono quello che prima hai salvato chiamando l’ambulanza” “E allora che ci fai qua? Perché non sei sull’ambulanza?” “Sono sull’ambulanza, ma sono anche qua! Tu piuttosto, che corri forsennatamente e fuggi da me, chi sei?” “ Come chi sono?! Sono Giovanni Montorsi, manager della Firex Spa, della Montorsi & C. della GEF Spa e della Supernova Srl , consulente finanziario, marito di Luisa e padre di Cristiano ed Elena, membro onorario della massoneria piemontese, amante di Simonetta, Erika e Daniela, presidente della cooperativa della….”

“Basta! Basta! Quante cose sei? Ma allora chi devo ringraziare? Giovanni, il manager delle 20 società, il consulente, il marito, il genitore o l’amante?”

“Ma ringrazia un po’ chi vuoi! Basta che smetti di parlarmi, per favore, se no arrivo a Cremolino in ritardo!”

“Ma perché fuggi da me?” la voce insisteva “Perché hai paura a guardarmi negli occhi? Cosa rincorri? Chi insegui? Perché te ne scappi? Forse ti faccio paura?”

“Ma non dire sciocchezze! Cosa vuoi che mi faccia paura un ubriacone che delira in mezzo a una strada!” Gli rispondeva come fosse normale che quell’entità che avrebbe dovuto essere nell’ambulanza in realtà si facesse sentire ancora all’interno della sua macchina.

“Allora perché non ti fermi e mi guardi in faccia?” insistette la voce.

Spazientito Giovanni si fermò sulla corsia di emergenza, si slacciò la cintura di sicurezza e si girò come se dovesse trovarsi di fronte di nuovo il viso del vagabondo che prima aveva soccorso, pronto a riempirlo stavolta di insulti. Si girò e…..non c’era nessuno!

Sbigottito, fece due respiri e iniziò a dirsi ad alta voce:” Non è  successo nulla, devo essere un po’ esaurito! Non c’è nessuno in macchina! “

“Come non c’è nessuno in macchina?!” Proseguì la voce “Ci sono io! Come fai a non vedermi?! Ci sono da prima che tu nascessi. Ci sono da quando gli alberi sono sorti sulla terra, da quando l’acqua ha iniziato a scorrere, da quando il vento ha iniziato a soffiare, da quando le montagne hanno iniziato ad ergersi”

“Ma io non ti vedo!” disperato urlò Giovanni in piena sudorazione al colmo dell’ansia, agitato, con i battiti del cuore impazziti!

“Eh lo so, è da un po’ che non mi vedi! Che ti dimentichi di me! Che pensi che il vestito di Giovanni Montorsi e le sue molteplici maschere e ruoli mi abbiano cancellato! Ma mezz’ora fa non mi hai riconosciuto ma mi hai salvato!” “Ma come faccio a riconoscerti?! Non so nemmeno come ti chiami!” rispose sempre più agitato.

“Ma io non mi chiamo, io sono, sono l’uomo! Non ho bisogno di ruoli, di nomi, di etichette e di vestiti. Io ho solo bisogno della luce del sole, delle stelle, della natura, degli alberi e dei prati, dei campi, degli animali, dei ruscelli e dei fiumi, degli animali e del cielo. E poi ho bisogno d’amore…e tu prima me l’hai dato!”

“Ma che amore!!! Ho solo chiamato l’ambulanza!”

“Appunto, è stato un atto d’amore ed è per questo che mi sono fatto vedere e ti sto ringraziando!

Potevi sorpassarmi sulla tua sinistra, come hanno fatto le altre macchine dopo, o addirittura investirmi, invece ti sei fermato, mi hai ascoltato e soccorso. Forse non mi hai risposto ma mi hai trovato! Conto che mi ritroverai ancora!”

A quel punto squillò il cellulare. Giovanni meccanicamente rispose. Era il potenziale cliente che lo chiamava. Velocemente rimise i panni di Giovanni Montorsi e rispose. I suoi pensieri ricominciarono a concatenarsi secondo gli schemi consueti e dimenticò quella voce. In futuro si sarebbe ricordato solo di avere soccorso un vagabondo ubriaco  (Ecco altre due etichette!) Ma dentro di sé sapeva che prima o poi l’avrebbe riascoltata.


COSI’ LONTANI, COSì VICINI

Salì sul treno. Era il rapido per Ventimiglia che partiva dalla città ligure alle 17, 40 del pomeriggio.

In particolare un martedì pomeriggio.

Savona stava immergendosi nell’imbrunire di questo anonimo giorno di fine ottobre.

Le persone sui binari parevano dipinte in un quadro come tante piccole formichine operose incatenate in destini a loro sconosciuti ma forse ineluttabili.

Tutto a lui pareva vuoto, privo di un reale significato, come una velata parvenza di realtà che nascondesse però in maniera assoluta la speranza di comprendere cosa vi fosse sotto.

“Come un presepe” pensava “Proprio come un presepe dove ciascuna statuina recita un ruolo che gli è già stato assegnato, come scolpita nell’eternità, ……, e deve pure far finta di stupirsi!!!!”

pensava con sempre maggiore irritazione.

Pensava al  suo capo che lo tediava con le più noiose e intricate questioni di lavoro. A lui venivano affidate sempre le pratiche più complesse, vista la sua preparazione e la sua naturale predisposizione alla risoluzione di quel tipo di problematiche.

Lui peraltro non capiva cosa vi fosse di tanto esaltante nel dirimere pratiche burocratiche tediose e prive di una reale concretezza, non condivideva l’entusiasmo dei colleghi nel lavorare in quel settore, cosa li trattenesse in ufficio a fare ore e ore di straordinario. Eppure tutti si rivolgevano a lui perché cose che a loro parevano intricate, quasi irrisolvibili, lui le risolveva in poche ore.

Tutto gli pareva banale in quel momento, insignificante, ovvio come un’equazione di primo grado per un alunno della quarta liceo.

Salì sul treno e si mise alla ricerca di uno scompartimento.

Mentre il suo sguardo pigro cercava semplicemente una postazione libera, vedendo facce sempre uguali, assonnate e perse nell’ordinario quotidiano, a un certo punto vide lei!

Fu quel suo sguardo magnetico a colpirlo, quello sguardo sicuro ma lievemente incerto, dolce e smarrito, sincero e profondo.

Già… quante cose può essere uno sguardo! Quanti mondi può rivelare!

Lei era bellissima, bruna, sensuale e nel contempo bimba, due occhi scuri e profondi, lineamenti fini che però rilevavano una vita già fortemente vissuta.

“Sarò tuo per sempre!!!” si disse e i suoi occhi tradivano quello splendido e inatteso stupore.

Capì che certe sensazioni capitano poche volte nella vita. Il suo cuore fu subito prigioniero.

Entrò nello scompartimento.

Lei, seduta sul sedile più vicino al finestrino appoggiata con la schiena rivolta al posto vuoto al suo fianco, si assestò girandosi verso di lui che si  sedeva nel sedile vuoto.

Continuò ad armeggiare col cellulare mandando sms.

Lui si sedette, trovò una posizione comoda inclinando la testa verso di lei. Nello scompartimento vi era inoltre una coppia di distinti signori anziani e una ragazzina che ascoltava musica con le cuffiette.

Lui iniziò a interrogarsi su di dove potesse essere la ragazza al suo fianco sperando in cuor suo che scendesse nella stessa stazione sua. Questo dubbio si dissipò presto. Lei parlando al cellulare con la madre gli rivelò indirettamente di essere destinata parecchie stazioni più in là.

Lui iniziò quindi a pensare a come poter attirare su di sé l’attenzione di lei in maniera tale da non apparire stupido e conseguentemente riuscire ad attaccare discorso.

Apparire stupido, si, perché la nostra società vive di schemi e appioppa etichette, ci disegna o meglio ci cuce addosso dei ruoli e se noi fuoriusciamo dagli stessi ci sentiamo immediatamente a disagio e veniamo subito giudicati.

Quasi ci fosse un occhio indagatore che ci sorvegli se stiamo facendo le cose giuste o meno.

A questo stava pensando.

Semplicemente le avrebbe chiesto come si chiamava, di dov’era e cosa faceva nella vita, ma no’!

Bastava solo come si chiamava, ma forse anche il nome è solo un’etichetta.

Fossero stati semplicemente un uomo e una donna in un parco, disegnati in una panchina in solitudine le avrebbe detto:” Sei bellissima, sei la ragazza più bella e affascinante che abbia mai visto, considerami tuo dal momento del tuo primo sguardo. Ti amo sin d’ora. Non voglio sapere nulla di te, nulla di più di quello che so adesso semplicemente guardandoti nei tuoi splendidi occhi. Vorrei condividere   con te il sole che ho visto sorgere stamattina, le montagne che ci circondano frastagliandosi all’orizzonte, le stelle che iniziano a dipingersi in questo meraviglioso cielo autunnale.

Vorrei condividere tutte le emozioni che rendono una vita degna di essere vissuta, vorrei essere un tuo pensiero solo per appartenerti per un istante”.

Invece le etichette, i percorsi prestabiliti, quindi un pretesto per attaccare discorso senza risultare troppo invadente o ridicolo agli occhi degli altri.

L’abbozzo di un sorriso nell’ascoltare la sua telefonata alla madre, nel riconoscersi nei discorsi che lei, nel suo ruolo di figlia, le faceva..

A lei, che anche incuriosita lo osservava, quel sorriso pareva distante.

Immaginava che lui fosse uno studioso, piuttosto che uno scienziato, o forse semplicemente una persona distratta e persa nei suoi pensieri e nei suoi sogni.

Aveva nel frattempo finito la telefonata e aveva ripreso a giocherellare col cellulare e nel contempo gli girava timidi sguardi, che sembravano chiedergli di chiarire questi suoi interrogativi.

Sembrava che gli chiedesse:”A cosa pensi? Cos’è che ti allontana dalla carrozza di questo treno? Perché non ti accorgi di me che sono qua e desidero solo che tu mi guardi? No, non farlo, lo desidero e non lo desidero.  è già tutto ordinato nella mia vita. O forse no, ma non c’è tempo per cose strane, non sono proprio possibili!”

Lui nel frattempo guardava le sua agili dita scrivere sms (quasi poteva leggere cosa scriveva da quanto erano vicini ma lei aveva una  spontanea fiducia verso quel ragazzo seduto al suo fianco)

E notò l’assenza di anelli e di fedine.

Si diceva: “ Ho ancora poco tempo ma forse non è impegnata. Devo cercare un argomento. Vediamo, peccato che è passato del tempo da quando ha smesso di parlare con sua madre e non sono stato pronto ad approfittarne, potevo attaccarmi a quello, sono il solito coniglio.

Ma se provassi con qualcosa di generico sui ritardi dei treni? No, è maledettamente puntuale.”

Lei poi si era messa a dormire, in realtà faceva finta, ogni tanto apriva gli occhi nella sua direzione  e sperava di incontrare il suo sguardo.

L’unica volta che gli sguardi si sono incrociati e si sono guardati per un lungo secondo un mondo si è aperto dentro di lui e lei.

Un mondo di gioie, di dolori, di sentimenti ed emozioni, un mondo di perché.

Perché non è possibile che io dica quel che penso? Perché le cose non sono mai semplici? Perché non basta uno sguardo per iniziare un grande amore?

No, purtroppo dominano le etichette, i ruoli, gli schemi sociali che vogliono che certe cose sia normale e socialmente condivisibile farle e altre no!

Così lui pensava. Inoltre era convinto che lei lo guardasse solo per curiosità,  che si chiedesse “Chissà cosa farà nella vita quel tipo così combinato?”

La stazione ormai si stava avvicinando e dalla sua bocca continuava a non uscire nulla.

Infine venne annunciata dal capotreno la sua stazione d’arrivo.

Lui si alzò controvoglia, si mise il giubbotto e uscì dallo scompartimento.

Incrociò il suo sguardo ancora un’ultima volta, un ultimo e profondo sguardo, pieno di rimpianti e di nostalgia, e si avvio all’uscita.

Sul suo sedile vuoto rimase il suo cellulare, la mano di lei lo prese…