NAVIGATRICE

Una navigatrice solitaria…un pugno di sabbia…

il vento che lieve ma inesorabile

sospinge verso nuovi orizzonti… il calore e poi… aria…

Ecco come mi sento ogni volta che mi immergo

e mi apro al potente richiamo della Madre Terra.

Potente, altro non si può dire.

Sornione si insinua in ogni recesso della mia mente,

in ogni cellula del mio corpo

e senza accorgermene non sono più io…

o forse ora sono veramente io…

o forse ora non sono più…sono aria e sono roccia.

Come descrivere la leggerezza che provo

nel verde intenso che mi accarezza,

l’intensità degli aromi che mi dilatano le narici,

lo stordimento languido dell’altura,

l’imponenza della roccia che maestosa

svetta tra la fitta macchia a sfidare il mare.

E la musica…il vento suona la melodia della vita

tra i ricami del mirto fiorito.

E lo stupore bambino…

e non si spiega come tanta semplicità,

come basti tanto poco per sentirsi bene,

per dire “va bene così”, per capire…

che non c’è bisogno di altro…

che non c’è bisogno di niente…

Una navigatrice non più solitaria,

una navigatrice nel mare della vita.


 

L’ULTIMA PASSEGGIATA

Quella mattina un puledro ci attendeva

per la passeggiata nel bosco.

Tu vecchiarello eri bravo ad affiancarlo

nei tratti più difficili.

E quando riottoso si rifiutava di passare un fosso,

tu scuotevi la criniera e lo aspettavi paziente.

Quel giorno facemmo una deviazione

e ci recammo in una piccola radura.

Tu avesti un moto di gioia quasi eccessivo,

ma ti concessi tutta la lunghezza delle redini

per muoverti in libertà.

Spiazzato tirasti su la testa e

nitrendo mi scuotesti fortemente e

cominciasti a trottare quasi sul posto.

D’improvviso ti fermasti e violentemente

affondasti il muso nell’erba alta

strappandone un ciuffo enorme.

Hai masticato a lungo sbruffando e

guardandoti attorno.

E’ stata la nostra ultima passeggiata,

amato mio,

ed il ricordo più bello.


 

CARO SIPICCIANO

Fosti giovane e ridente,

ingenuo e inconcludente,

gioioso e impertinente,

fosti ardente e un pò sapiente,

non ti è rimasto proprio niente.

Con la nebbia o con il sole,

con il gelo o col tepore,

nulla cambia

nel dolore dell’amore.

Disperso, ma non perso,

scioglierai, forse presto,

un indegno controverso:

siamo di traverso!


 

ALBA

L’aria fredda e pungente mi sferza il viso

e mi chiama ad un nuovo giorno.

Il sole ancora si nasconde dietro il colle

e si diverte a giocare con i colori

e, come un pittore distratto,

abbozza appena un pò di nubi,

che subito si accendono di rosa, di arancio, di viola

ed il cielo gareggia con i verdi ed i celesti

su uno sfondo di un blu intenso.

Il piccolo presepe sul colle

ancora veste i diamanti della notte

e presto tornerà a fremere di vita.

Uno spicchio di Luna

guarda con un pizzico d’indulgenza

e Venere luminosa sorride,

si compiace e diffonde amore.

Il silenzio a breve sarà allietato

dal canto dei fringuelli,

che pronti saluteranno il sole,

che prepotente prenderà il suo posto

ed inonderà di calore il cuore di ogni creatura.

Il mio cuore ed i miei occhi

si riempiono di gioia,

mentre sto cercando

il mio posto al sole.


PROFUMO DI LIBRI

Inseguo pagine volanti,

lettere in caduta libera,

ma quanti volti ed occhi sognanti.

Passo leggera tra spiragli di luce,

polvere sospesa

bisbigli e risa.

Vedo mille colori sulle tele

e sento profumo di libri.


 

IL PAESE SENZA PIAZZA

La strada curvava fortemente a destra in discesa,

formando una piccola piazza invasa dalle auto.

Un piccolo gruppo di alberi circondava

il monumento ai caduti,

rubando altro spazio alle uniche due piccole panchine.

Prima di pranzo un viavai di persone affollava l’unico bar.

In realtà di spazio non ce n’era e

si stava sempre lungo la strada.

Uscendo dalla curva,

quasi a voler chiudere un punto di fuga,

la chioma di un enorme cedro

decorava il parapetto del belvedere,

ed era grazie a lui

se, quella strana accozzaglia,

pareva una piazza.

Una mattina all’alba scesi in piazza,

ma la piazza non c’era più:

avevano tagliato il cedro.


 

IL FRANCESE

Era un cavallone francese con un nome da femmina.

La sua stazza non era adeguata

al compito assegnatogli,

ma compensava il suo nome.

Ogni volta in campo gara

l’annuncio provocava ilarità,

ma il suono della campanella ne decretava la fine.

Con il suo galoppo possente,

i grandi zoccoli risuonavano sordi sul terreno

e quando al primo ostacolo

diventava leggero come una piuma

e volava alto più del dovuto,

un’improvviso silenzio

s’impossessava degli spalti.

Io piccola aggrappata alla sella

a volte faticavo a gestire la sua irruenza,

ma sempre mi ripagava l’ultimo ostacolo

che scatenava applausi sinceri.

Era un cavallone generoso ed affettuoso

sempre in cerca di riscatto

dal suo nome da femmina.