Racconti
MESSAGGI RASSICURANTI DAL FUTURO
Non c’era spazio per me sull’isola, non c’era spazio e c’era troppo sole. Che cosa cercassi era chiaro. Un’altra isola, più
grande e più verde. Per cominciare tutto da zero, in un posto dove nessuno mi conosceva. Quello che era successo a me, le perdite che avevo subito, altro non erano che il preludio di ciò che doveva succedere alla terra, ma questo non potevo ancora saperlo. Tutto sarebbe cambiato.
Io, ventenne, inconsapevole che quello in cui vivevo fosse un mondo finito, volevo cambiare isola, e lo feci. Unica certezza,partire.
Aprii l’atlante stradale e la vidi uscire dal quadrante b-4 di pag 3 come fosse quadrimensionale. Attraversai il paese in perpendicolare verso nord e finalmente la raggiunsi. Tutto ciò per cui siamo qui, insieme, oggi, nacque così. Era il 2013, l’ultimo anno del “vecchio mondo”. Tutti voi, giovani amici presenti, lo conoscete solo per sentito dire. Avete avuto la fortuna di nascere nel “mondo nuovo”, illuminato, dove tutto è diventato facile, e onesto. Per le donne poi… addirittura un nuovo “Universo”! Non era così prima del grande Black Out del “13, e neanche subito dopo. Oggi, a distanza di 75 anni da quei giorni, sono una delle ultime testimoni del cambiamento e sono onorata di poter condividere con voi il frutto che esso ha prodotto nella mia splendida vita. Una vita andata ben oltre i sogni di una ventenne scatenata che nel “13 mollò tutto e scappò, determinata ad arrivare fin qui, senza sapere perché, come in preda ad un gesto di follia che, invece, era un semplice lampo d’intuizione.
Ma come facevo a saperlo? All’epoca c’ero dentro fino al collo.
LA PRIMA COPIA DEL GIORNALE
Da quando, tre anni prima, gli eventi avevano deciso di accanirsi
contro la vita di Rita Fani, lei aveva relegato nel più lontano
degli angolini il suo sogno di disegnare abiti da sposa e, tutte
le mattine tranne la Domenica, prendeva il treno delle 4,04 per
andare a lavorare in una conceria di pellami a due ore di viaggio
dalla sua città. E tutte le mattine la vedeva.
La maggior parte delle volte stava impettita di fianco all’edico-
la della stazione, stretta in un cappottone che sembrava essere
stato un capo pregiato, probabilmente blu, una volta.
Un sorriso senza denti, gli occhi vispi come a dire:
“quante cose ti potrei raccontare…”
Quella mattina Rita indugiò un attimo di troppo a guardarla e
perse il treno.”Poco male” pensò. Ce ne sarebbe stato un altro
dopo 40 minuti. Con quello delle 4,04 arrivava sempre venti
minuti buoni prima dell’apertura dei cancelli. Affrettando il
passo avrebbe ridotto il ritardo a meno di 15 minuti. Avrebbe
telefonato alle 6,30 precise, appena qualcuno avrebbe potuto
risponderle. Ora però sarebbe andata da lei.
Attirata da quel sorriso allo stesso tempo dolce e sfrontato,
s’incamminò verso quella grande, grossa ed elegante barbona e
sentì la propria bocca allargarsi, come colpita da una forza
contagiosa.
“Ciao” le disse quando le arrivò di fronte e l’altra di rimando:
“Ciao, aspetto il giornale”. “Io mi chiamo Rita” disse sentendo
chiara dentro di sé la sensazione di gioia frizzante e inconte-
nibile eccitazione che provava nelle occasioni inusuali o
importanti quando era bambina”. “Ah, allora anch’io oggi mi
chiamo Rita – fece la barbona allargando ancora di più, se mai
fosse stato possibile, il suo magnetico sorriso verso il mondo
- eccolo, eccolo che arriva!”
Saltellava da un piede all’altro la finta Rita mentre aspettava
che arrivassero i giornali del mattino.
“Non mi piace per niente sai quello che c’è scritto. Un sacco
di belle schifezze!”.
“Ma allora perché lo leggi?” chiese Rita “Si,si, lo leggo tutti
i giorni! La prima copia è sempre la mia! – e continuò guardan-
dola con un’aria un po’ sorpresa, un po’ divertita – se lo vuoi
sapere ripassa domattina, ora non posso, devo leggere il
giornale.”
“Ma come faccio? devo prendere il treno delle 4,04.” quasi le
urlò Rita mentre la sua temporanea omonima si stava allontanando
in direzione di una panchina dove sedersi, le rispose ridendo:
“Ahahahah! Allora sei in ritardo! Vieni due minuti prima, te lo
scrivo!”
Dopodiché, continuando a mantenere il suo immenso sorriso,
sprofondò nella lettura.
L’indomani Rita arrivò alle 3,45 e non la vide. Non subito almeno.
Quando si accorse che stava arrivando a passo lento e strascicato
mancavano 7 minuti alle 4, era ancora lontana e il suo treno
partiva dal lato opposto della stazione.
Se l’avesse aspettata avrebbe di nuovo perso il treno e non poteva
certo permetterselo per due mattine di seguito. Decise allora di
correrle incontro, anche se in cuor suo inziava a chiedersene il
perché. Che cosa avrebbe potuto mai rivelarle quella simpatica
barbona? Ma non fece in tempo a concludere il suo ragionamento che
se la ritrovò davanti con le gengive in bella mostra. E subito
anche a Rita si accese il sorriso. “Tieni – le disse infilandole
un biglietto ripiegato nel taschino – mi pare che vai di fretta!”
Quando Rita montò sul treno aveva un gran fiatone e dovette aspet-
tare alcuni minuti prima che il ritrmo della respirazione tornasse
regolare.
Poi estrasse il biglietto dal taschino e lo lesse:
“Ispirata dai tuoi occhi un po’ privi d’autostima
ho deciso, la risposta te la voglio mette’ in rima
e ti auguro dal cuore che tu trovi la tua strada
senza dubbi e compromessi prima che la morte accada.
Il giornale, in verità, non andrebbe proprio letto
non ce n’è notizie buone, questo mondo è maledetto,
Mi colpisce ogni fattaccio come un colpo con la frusta
ma al contempo mi rincuora d’aver scelto la via giusta.
Le menzogne rimpastate col dolore della gente
mi confermano ogni giorno che non sono una perdente
E’ una grande libertà pernottare alla stazione
son protetta, ho tanti amici e se voglio cambio nome.
La complicità asservita alla lunga fa ammalare
ti fa perdere l’amore per le cose pure e rare.
Ogni pagina trasuda d’ingiustizia e di dottrina
e ogni volta che lo leggo io mi sento una regina.
Resto fuori dal misfatto ma mi tuffo nella vita
e anche oggi, pei tuoi occhi, tutto il giorno sarò Rita.”
Le sembrò di sentirla ridere… Poi il silenzio. Il silenzio
dentro.
Quando scese da quel treno era felice. Non si chiese se un
giorno avrebbe disegnato abiti da sposa o fosse diventata anche
lei una barbona, ma sapeva che non lo avrebbe mai più ripreso.
IN TRE
Quando sdraiata sopra quel letto mi sento morbida ed il contatto
con le lenzuola mi da piacere, io sono corpo.
Quando divento pazza di gioia o m’emoziono per una storia
e poi m’incazzo per l’ingiustizia io sono essenza.
Quando decido per la mia vita se andare avanti o farla finita
ma poi capisco il buono che c’è,io sono mente.
Quando mi tuffo come un’acrobata e dopo scivolo nell’acqua tiepida
oppure danzo con i tamburi, io sono corpo.
Quando mi perdo in un orizzonte, quando arrossisco se ti ho di fronte
o mi commuovo vedendo un film, io sono essenza
Quando mi dico adesso basta con questa roba Che mi devasta
e poi riesco a fare anche peggio, io sono mente.
Quando ti sfioro la pelle ruvida, mi sale un brivido, divento avida
e poi mi sciolgo come un ghiacciolo, io sono corpo.
Quando rido e mi viene da piangere per la gente che sa solo fingere
e non crede a un domani migliore, io sono essenza.
Quando mi spingo oltre il dolore e non ascolto l’urlo del cuore
che a tutti i costi voglio azzittire, io sono mente.
Quando invece sono presente, serbo il controllo, non mi turba niente
tutto si ferma in equilibrio, io sono tutte e tre le me.
Quando osservo con mente placida i mille sintomi della mia anima
e li curo con grande rispetto, Io sono tutte e tre le me.