Poesie
ODORE DI TERRA
Si era seduta in terra, con i pantaloni sporchi di fango, quando lui le era andato accanto portandole una tazza di camomilla.
– Camomilla? Dove l’hai presa? Qui non esiste.
– L’ho portata con me, per questi momenti. Oggi è stata dura.
– Io non riesco a togliermi di dosso l’odore di questa terra che sputa sangue. Ogni volta che alzo lo sguardo sono bagliori di fuoco. E i colpi di mortaio che sono ormai il ritmo di ogni nostro giorno qui. Ci stiamo facendo l’abitudine. Qui tutti ci hanno fatto l’abitudine, ma non deve essere così.
Non è normale che madri muoiano, che uomini saltino in aria, che bambini imparino la guerra prima dell’amore. Siamo in un cerchio senza uscita.
– La sera però sembra tutto diverso. Ora c’è un attimo di pace. Guarda la luna come è splendente. La morte sembra così lontana.
– Surreale vorrai dire. Un disco di metallo azzurro in un cielo massacrato che di giorno mangia polvere. E siamo surreali anche noi, qui, a guardare questa notte.
– E’ surreale dirti che il tuo sorriso la illumina?
– E’ da pazzi. Hai qualcuno che ti aspetta a casa.
– Qui non siamo a casa.
– Lo stai facendo per sopravvivere, per aggrapparti a qualcosa che non ti mandi fuori di testa in quello che sta diventando un campo minato.
– Lo faccio perchè adesso esistiamo solo noi due, qui. E posso immaginare di toglierti quella tazza che tieni con le mani che ti tremano, e baciarti sul collo. Posso immaginare che siamo in un campo di fiori pieno di lucciole e grilli, e sfilarti quella gonna lunga che porti e che si solleva leggera a ogni tuo passo. Posso immaginare di scioglierti i capelli e farli scendere ad accarezzarti la schiena nuda. Voglio immaginare che sotto questo cielo nero che odora di macerie possiamo fregare la guerra e l’odio con una vita che arriva.
– E allora stringi le mie ossa, respirami, toccami la pelle, lasciaci sopra le tue parole, lasciami dentro il tuo essere. Ferma il tempo perchè domani non potremo tornare indietro. Domani saremo di nuovo dietro a barricate diverse.
LE MIE RADICI
La donna seduta di fronte a lei aveva degli occhi turchesi sfavillanti.
Le chiese di lui, se per lui ci sarebbe ancora stata.
– Sì
– Perchè mai?
– Perchè è il primo uomo con cui non ho mai indossato maschere o dovuto inventarmi di essere altro da me. L’unico uomo con cui sono stata davvero io. Perchè mi conosceva. Non avevo bisogno di giocare a fare la donna. Con lui la ero naturalmente. È l’unico che mi ha guardata negli occhi e mi ha piantato i piedi per terra. Mi ha restituito ciò che ero prima, molto tempo fa-
– Lo ami?
– Sì. Non potrei non amarlo.
– Ancora?
– Sì.
– Dopo tutto quello che è successo? È un immaturo.
– Io amo l’uomo che era, non quello che è diventato. Quello che eravamo e non come siamo cambiati. Non eravamo noi. Esasperati. E lui lo sa.
– Ma lo vorresti ancora? Nel senso, lo stai aspettando?
– Non lo sto aspettando, non tornerà. Lo voglio, è diverso. Sono sua.
– Sua?
– Sì.
– In che senso?
– È l’unico a cui ho dato la mia vita. È l’unico che se l’è presa senza nemmeno guardarci dentro, che non l’ha voluta cambiare. Si è fidato di me per com’ero.
– E allora, perchè se n’è andato?
– Non lo so.
– Stai scherzando?
– No. Credo che fosse tutto troppo denso per lui. Credo che la mia vita fosse troppa per lui. Per sostenerla. Neppure io ci riesco a volte. Come potevo pretenderlo?
– Ma non è una giustificazione.
– Lo so. Mi ha ripetuto mille e più volte che non se ne sarebbe mai andato, che non dovevo più avere paura. Ma in fondo sapevo che lo avrebbe fatto prima o poi. Non potevo essere io a cambiarlo dall’esterno. Doveva volerlo.
– E ora cosa farai?
– Aspetterò che il dolore faccia il suo corso.
– Ma è passato del tempo…
– Non abbastanza.
– Non ti sembra un pò più leggero?
– Più leggero non mi basta.
– Cosa vuoi fare nell’attesa?
– Tornare nella mia torre.
– Ma avresti mille mondi fuori da scoprire…
– Lo vorrei, davvero. Ma mi manca qualcosa, oltre a lui. Mi manco io nei progetti da partorire, nelle imprese da condurre, nelle battaglie da vincere. Manco di testa e di cuore. E senza testa e cuore non si può vincere.
– Cosa vuol dire vincere?
– Vuol dire vivere. E io ancora una volta rinuncio. Senza vibrazioni il mio motore resta immobile.
– Vibrazioni?
– Sì, quelle che ti arrivano allo stomaco, dove risiede il respiro, l’anima, l’amore, la morte. Dove si concentra tutto ciò che siamo, lo stomaco. Che ride quando è felice, che sente le farfalle quando è emozionato, che si chiude quando prova dolore. Passiamo tutto attraverso lo stomaco.
– E il tuo com’è?
– In attesa. Che io ritrovi il coraggio di fare i conti con le emozioni nascoste, con ciò a cui ho rinunciato, con le mie radici e con quelli che vorrò siano i miei rami. Per ora sono in fase di potatura. Sono solo radici, e con quelle devo trovare il modo di fare pace. Non posso più fare finta di niente. Altrimenti questa volta non sboccerò più.
MAMMA
Mi hai dato le regole. Ma non i colori.
Solo riga e squadra. Nessuna matita.
Così disegnare diventa sempre uno sforzo di nervi
mentre mi perdo i dettagli contro quel muro bianco
su cui non so nemmeno immaginare luci e ombre.
Eppure i colori me li sento addosso, da qualche parte.