La poesia

Un foglio bianco,

una lunga e sfumata piuma d’oca,

una boccetta densa d’inchiostro.

A notte fonda,

quando il buio s’ottenebra

e il silenzio ammutolisce,

orologio,

unico fedele compagno dei sogni insonni,

m’inquieti con il tuo ticchettio,

mi ricordi che ho poco tempo.

Impugno la piuma

e non ti temo più:

davanti a me s’apre l’eternità,

e’l tempo non sembra più così esiguo.

Penna, carta e me stessa,

e l’infinito mare dei miei pensieri

sballottati dai flutti rabbiosi,

dalla musica di quel flauto lontano

che si stempera nell’aria

quando, a sera, il sole si nasconde.

Scuri ghirigori neri si spandono

come merletti,

come sentieri sconosciuti alle umane possibilità,

davanti ai miei occhi.

Pare quasi un fiume

che s’apre al mondo,

che defluisce da me,

come il vento tra le fronde,

come la nebbia che s’alza al mattino,

come la rugiada che scivola giù dalle foglie,

nel tepore del sole.

Nelle orecchie musica, canti, danze,

il sussurro degli angeli,

e posso essere ovunque,

in qualunque luogo,

in qualunque tempo.

E tutto è di nuovo silenzio.


 

Ed ecco ancora la speranza…

Ed ecco ancora la speranza

che vibra dentro di me

sospinta dalle incessanti ed infinite onde del mare

blu, screziate di verde.

La speranza di rivedere il sole,

la luna e le stelle,

di correre contro il vento;

il vento che la blocca lassù,

tra i rami dei verdi abeti

che si stagliano contro il plumbeo cielo invernale.

Non c’è speranza senza paura,

la paura di restare immobili,

di fissare la vita scorrere,

di non riuscire a coglierne ogni istante,

la paura di non comprendere;

ma non c‘è paura senza speranza,

la speranza che ci sospinge avanti,

che gonfia le nostre vele contro i venti contrari,

la speranza che ci fa credere

che anche le cose impossibili possano diventare reali.

La speranza resta nascosta dentro di noi,

racchiusa nello nostro cuore,

ci nutre,

ci disseta

come i rigagnoli di linfa che fluiscono nelle foglie nuove.

Una verde bottiglia di vetro galleggia

sull’aurea superficie del mare,

al tramonto.

Contiene un messaggio.

Sulla carta sottile e ingiallita dal tempo

sono scritte delle parole:

parole di speranza e di paura.

Allo stesso modo dentro ognuno

la speranza è flebile come la voce del silenzio,

ma basta.

Non smettere di sognare.


 

Dall’alto le chiome

Se chiudo gli occhi odo

il frinire delle cicale,

indelicato,

e mi par d’essere a casa mia.

Ma se levo lentamente le palpebre

mi sorprendo ancora di questo posto,

ancora una volta non capisco

cosa lo renda così straordinario.

Sarà la luce

che si frantuma sulle foglie,

tante tonalità,

innumerevoli verdi che si dilatano

se non li metto a fuoco

e riempiono tutto il mio campo visivo.

Sarà il canto delle chiome

che rispondono all’unisono

alla violenza del vento d’alta quota,

io non l’avverto sulla pelle.

Questo vasto spazio sembra rimpicciolirsi piano

al curvarsi degli alberi verso la radura

mentre sbattono

gli uni contro gli altri;

come trovarsi in una di quelle palle con la neve,

sospesi,

come per paura d’esser capovolti da mani invisibili.

Sarà lo scrosciare delle acque,

del ruscello,

dei rigagnoli,

rotta dalle rocce più alte

prima di gettarsi tra le rapide.

Sarà l’aria pulita,

il bastone ruvido tra le dita,

il crepitare delle foglie brune

ad ogni passo.

Saranno le storie di quell’ometto tarchiato

con i capelli grigi,

degli esploratori sulle montagne,

o le ampie vedute selvagge,

i pini loricati.

Sarà la magia del silenzio,

la pace di un momento

in cui si raccolgono mille pensieri

che vorresti dire

ma che non hai a cui dirli,

perché in fondo sai:

solo le montagne potrebbero comprenderli;

solo i falchi

rapidi sulle teste dei viaggiatori.

Un sentiero battuto corre nel bosco di faggi

che salgono alti dallo strapiombo

come a volerlo proteggere;

corre il sentiero

oltre gli alberi

abbarbicati sui versanti

con le loro forti radici,

invisibili nella terra.

Gli alberi che ci guadano correre;

l’uomo che corre

per l’agognata vetta!

E loro,

sono prigionieri della terra,

ma più alti,

più imponenti,

più longevi e più saggi.

E aspettano con pazienza:

non temono il tempo loro,

non temono i fulmini;

aspettano che la natura li vesta,

stagione dopo stagione.

La magia di questo posto va oltre noi stessi,

poveri pellegrini,

appagati a sera dal lungo cammino,

in un modo che non possiamo comprendere

se non da una prospettiva che ci guarda

dall’alto di quelle chiome.