Fede.

 

La strana solitudine

dei tuoi argomenti

riflette le ombre

del mio passato.

Fragile e docile

reagisci appena

alle utopie 

mentre anneghi nel caos.

In dissolvenza

scompari sempre di più

dalla vita di sempre

ed erigi da sola i tuoi altari.


 

Amore schivo.

 

Narrerò del tuo volto pallido, della tua magica illusione,

del tuo sogno vivido, della mia ammirazione.

Sapranno ai quattro angoli del tuo candore vivo,

dei tuoi pochi spigoli, del mio amore schivo.

Sono un povero vivente, un umile artigiano,

congegno di una vita assente e comodo ripiano.

Il destino non mi ha concesso bellezza boria e strafottenza,

invero, ho ottenuto solo accesso al mondo, vago, dell’apparenza.

Mai saprai che t’amo, nulla confiderò al mondo

di questo dolente ramo, di questo fuoco profondo.

Alla mia morte, soltanto saprai quanto i miei occhi hanno pianto

e, forse, solo allora verserai lacrime ricche d’incanto.



Infetto (A tutte le anime recluse).

 

Interloquisco con il dolore acceso da un sordo attimo di terrore,

da un ignoto conquistatore di corpi e anime di cristallo.

Mi confronto con le ombre per il tempo di ogni respiro,

mentre fingo coraggio mentre valuto la fuga.

Le mie mani sono lucide e fremono ad ogni tocco inatteso,

ad ogni microscopico scontro con la vita.

E le mie unghie crescono e si diramano

per vorticosi pendii mai esplorati.

Mi affaccio, mesto, ad ogni levata di luna,

al davanzale di una finestra,

mentre, al segnale, fluisce, sotto di me, il destino.

Il mio ospite reclama pillole di sofferenza,

reclama la mia debole fibra, reclama la mia malinconia.

Io non me ne curo e aspetto solo di potermi cullare

sulla tua pelle morbida, fra la vita e l’odore di te.